di Peppe Rinaldi
«Buongiorno, sono F.R. e oggi devo prendere servizio, mi indicate dov’è il mio ufficio?». Gli addetti alla sorveglianza del tribunale di Salerno strabuzzarono gli occhi dinanzi all’originale richiesta di questa persona che, il 12 novembre dell’anno scorso, si presentò alle porte del Palazzo di giustizia sventolando la classica carta regolarmente firmata e timbrata che gli annunciava la data di inizio del nuovo lavoro. Peccato fosse tutto “fake” come si direbbe oggi, cioè falso.
Il signor F.R. infatti era – ed è – uno dei 15 sinora identificati dalla procura di Potenza che, circa una decina di giorni fa, hanno ammanettato Girolamo Cicinati, 58enne ebolitano, dirigente del ministero della Giustizia, accusato di gravi reati (truffa, falso ideologico, falso materiale, simulazione di reato, depistaggio, possesso e fabbricazione di documenti falsi, il tutto commesso da pubblico ufficiale) con un corredo di pesanti aggravanti che non fanno sperare nulla di buono per l’indagato. Questo giornale se n’è occupato il 30 ottobre scorso.
Gli addetti all’ingresso della Cittadella giudiziaria, intuito che qualcosa non quadrasse, chiedono a F.R. di attendere un attimo, il tempo di fare qualche chiamata ai piani superiori per capire cosa stesse accadendo. Non ci volle loro molto per afferrarne il senso: qualcuno stava promettendo posti di lavoro pubblici proprio all’interno del tribunale. Questo qualcuno fu presto individuato: si trattava del fino a quel momento insospettabile dirigente amministrativo Girolamo Cicinati da Eboli.
Il coperchio dimenticato dal diavolo fabbricatore di pentole lo incarnò proprio F.R. che, con la sua estemporanea trovata, diede la stura alle indagini. Indagini aperte, sviluppate, chiuse e sigillate in breve tempo. Cicinati si trova ancora ai domiciliari nella sua Eboli. Prepara, legittimamente, la sua difesa.
F.R. sventolava fiducioso un foglio su cui era stata stampata una mail all’interno della quale era scritto che “La S.V. è invitata a prendere servizio il giorno 12 novembre 2023 ore 8 Palazzo di Giustizia Piano 10”. Le indagini appureranno che quella mail era stata mandata dal computer d’ufficio da Cicinati, forse stremato dalle richieste comprensibilmente pressanti delle sue vittime che da anni, tra una dazione e l’altra di piccole ma costanti somme di danaro, attendevano il miracolo di un posto pubblico che li avrebbe sottratti ad una vita di stenti in alcuni casi e di lavori manuali faticosi in altri. Invece è andato tutto storto, come sempre accade a chi cerca scorciatoie, peraltro su un terreno minato.
L’avvio delle indagini
Partono così le indagini, il pm di Potenza (la competenza lucana nasce dal fatto che il reato si è radicato dove Cicinati lavorava) delega la polizia che inizia subito a macinare risultati. F.R. prende a “cantare”, nel senso che racconta agli inquirenti cosa era successo. Schema identico anche per lui – e, più o meno, per le altre 14 parti lese – che possiamo tranquillamente riassumere così: davo a Cicinati a cadenza trimestrale, semestrale o quando serviva, somme di danaro dai 50 ai 100 euro per gli adempimenti formali di un concorso pubblico per l’assunzione di personale nei ranghi dell’amministrazione giudiziaria. Ora si trattava di chiamata diretta, ora di concorso per titoli ed esami, in un paio di casi Cicinati aveva perfino mandato le tracce di una prova scritta da eseguire a casa e rimandare poi via mail, cosa che pure avvenne in una fase in cui le sue vittime erano ancora speranzose di ottenere l’ambito posto di lavoro. F.R. però non era l’unico destinatario di quella mail, in copia c’erano i nomi di altri convocati per il 12 novembre, tutti puntualmente escussi dalla polizia giudiziaria e tutti sostanzialmente concordi nella ricostruzione dei fatti. C’era solo, a quel punto, da acquisire nuove prove della condotta dolosa del dirigente e attendere le determinazioni della magistratura: la quale non ha potuto non essere inflessibile dinanzi a tale scenario, aggravato dalla circostanza che Cicinati fosse un pubblico ufficiale che avrebbe approfittato dello stato di bisogno di gente disperata, stando a quel che si legge nell’ordinanza di custodia cautelare del gip di Potenza Salvatore Pignata.
Il depistaggio
A nulla valse il tentativo di Cicinati di sofisticare la situazione comunicando ai pesci finiti nella sua rete che le assunzioni erano state rimandate (per l’ennesima volta) e che il 12 novembre non avrebbero più dovuto presentarsi “in ufficio” in attesa di nuove comunicazioni: F.R. ignorò l’avviso e si presentò in tribunale scatenando così l’ovvia reazione della legge. Intanto una dirigente dell’ufficio giudiziario, fatalmente anche lei di Eboli, scrive una nota al presidente e ai dirigenti della Corte d’Appello di Potenza dove racconta i fatti. Il procuratore capo Giuseppe Borrelli viene, ovviamente, informato e così cominciano a delinearsi i contorni della truffa. Il numero 1 dei pm salernitani scrive a sua volta ai colleghi di Potenza mettendoli sul chi va là. E’ l’inizio della fine, culminata con le manette. Cicinati stesso, in quanto dirigente ancora in servizio, riscontrerà la nota della dirigente di Salerno ma, a quel punto, va nel pallone commettendo un errore madornale: manda una mail ai suoi superiori e colleghi chiedendo il cambio delle pass-word del sistema informatico sostenendo che qualcuno s’è intrufolato nel server facendo partire comunicazioni false. La classica zappa sui piedi. Non ci è voluto molto per appurare che quella mail era stato proprio lui a crearla e mandarla: dall’analisi dei tabulati telefonici, per esempio, nell’ora e nella data di invio della mail il cellulare di Cicinati era «saldamente» agganciato alla cella di Potenza, cioè mentre era in servizio. Avvicinato dai poliziotti con uno stratagemma mentre si trovava alla sua scrivania in tribunale, Cicinati mostrerà il suo computer e la sua casella di posta elettronica, cercando insieme agli inquirenti traccia dell’invio incriminato. Naturalmente l’aveva cancellata. Dimenticando, però, che per i periti informatici è un gioco da ragazzi ritrovarne traccia nonostante la consueta cancellazione.
Le testimonianze
univoche
In seguito, pian piano spuntano nuove testimonianze, come le ciliegie, una tira l’altra dopo lo sblocco iniziale della prima, tutti quelli individuati vengono sentiti dagli inquirenti e tutti verbalizzano la stessa cosa. Si arriva al giugno di quest’anno quando la polizia irrompe a casa di Cicinati ad Eboli, nonché nel suo ufficio di Potenza, rinvenendo durante le perquisizioni materiale di interesse investigativo. A quel punto, ad indagini ancora in corso, il dirigente viene trasferito a Roma, trovando temporanea sistemazione nei ranghi dell’Ispettorato del ministero della Giustizia. Il timer delle manette nel frattempo scorreva fino ad esaurirsi un paio di settimane fa con gli arresti ordinati dal gip di Potenza.
Il clamoroso raggiro continua a tenere banco nelle discussioni tra le aule dei tribunali di Salerno e Potenza e per le vie della città, dove in tanti lo ricordano come severo e puntiglioso presidente di seggio in varie tornate elettorali.
Quanto alle vittime, che dire? Si tratta di persone spesso in serie difficoltà, alcune delle quali furono pure messe sotto controllo dagli inquirenti come spesso accade in certe situazioni: tra essi poteva anche nascondersi un complice di Cicinati che, magari, potrebbe aver con questi litigato decidendo poi di accusarlo. Infatti vengono messi sotto controllo anche i telefoni di un pugno di soggetti tra i 15 complessivamente censiti, quelli più attivi in pratica, che facevano da tramite tra Cicinati e gli altri caduti nella trappola. Non ci vorrà molto a capire che tutti, indistintamente, erano stati gabbati, per anni, dall’insospettabile dirigente. «Ora presentiamoci a casa sua, io ci sono andato un asacco di volte, ero diventato anche amico della moglie, vediamo cosa ci dice il dottore a questo punto, è passato troppo tempo e questo posto di lavoro non arriva», dirà la sua vittima principale, M.A., muratore oggi quasi sessantenne, malato di cuore e ora anche di depressione proprio a causa di questa storia, che a Cicinati dice di aver dato soldi per oltre 10 anni non solo per un posto di lavoro per sé ma anche per sua figlia e suo genero: rispetto ai quali sempre M.A. verserà somme di danaro di tanto in tanto per accaparrarsi un lavoro pure per loro. Ovviamente non era vero niente. Di vero, oggi, c’è solo che il dirigente si trova in panni che nessuno vorrebbe mai indossare.
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