
Di Olga Chieffi
Ritornerà Gaetano Lo Coco, sul podio del Teatro Verdi di Salerno, alla testa dell’Orchestra Filarmonica del nostro massimo, per porre un aureo sigillo, domani, alle ore 21, alla rassegna, musica d’Artista, firmata da Antonio Marzullo e Daniel Oren, che ha realizzato sin dal 29 novembre, una splendida colonna sonora per le feste natalizie del teatro Verdi con punte altissime, rilevate con i concerti di Mario Biondi, Edoardo Bennato, Fiorella Mannoia, Vinicio Capossela e su tutti il galà di Danza che ha salutato grandissimi protagonisti i primi ballerini del teatro alla Scala con Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko. L’orchestra presenterà, quale solista, un nome luminosissimo del panorama violinistico internazionale Pavel Berman, un mito della scuola russa, insegnante al Conservatorio di Lugano e all’Accademia Lorenzo Perosi di Biella, che dedicherà al pubblico del nostro teatro, il Concerto in re maggiore per violino e orchestra, op.35 Pëtr Il’ič Čajkovskij, musica pura, un gioco di suoni senza alcun rimando al mondo fuori di essa, ma ascoltandolo è difficile non sentirsi portati in un racconto di emozioni. Čaikovskij lo scrisse nel marzo del 1878 a Clarens, in Svizzera, dove era riparato dopo il disastroso fallimento del matrimonio con Antonina Milukova con il quale il compositore aveva cercato se non di risolvere, almeno di mimetizzare la sua omosessualità. La composizione è in parte ispirata al primo grande Concerto romantico, quello op. 64 di Mendelssohn. Il primo movimento, “Allegro moderato”, si avvale di una calibrata dialettica fra solista e compagine orchestrale, che sfrutta una invenzione melodica lirica e pregnante; la cadenza, come in Mendelssohn, è prima della ripresa e non al termine. La centrale “Canzonetta (Andante)” è un Lied di impronta popolare, basato sulla tenera cantabilità del solista. Il Finale (“Allegro vivacissimo”) è una pagina di trascinante vitalità, dove l’elemento zigano si converte in strepitoso virtuosismo; ma non mancano, nei vari episodi, pause liriche di raffinato lirismo, prima che la partitura venga suggellata da una brillante coda ad effetto. La seconda parte della serata sarà interamente dedicata all’esecuzione della VII sinfonia di Ludwig Van Beethoven in La maggiore, op.92. La grandiosa visione di Wagner della “Settima” come “apoteosi della danza” serve a introdurre il discorso in un contesto piú specificamente musicale: la “Settima” costituisce un punto di arrivo e di passaggio nello stesso tempo, che dal punto di vista formale e stilistico corona in modo del tutto particolare la conquista beethoveniana del dominio sinfonico. La continua espansione della ricerca sulle possibilità della sinfonia, quale si era concretata nella seconda maniera, approda infatti nella “Settima” a una riduzione dell’ambito formale che in sintesi significa un passaggio di livello nel modo di considerare i rapporti e le funzioni all’interno dell’itinerario formale della grande forma sinfonica. Questo processo risulta evidente sia sul piano del carattere e del divenire dei temi, sia su quello delle loro funzioni nei rapporti di contrasto e di opposizione nello svolgimento dei quattro tempi, sia nella tecnica degli sviluppi e delle elaborazioni, sia, infine, nella ricerca sulle proprietà strutturali dei fondamenti del linguaggio; e questi non sono che alcuni, anche se i principali. Su un piano piú generale tale riduzione, che si arricchisce già dei connotati precipui che porteranno agli esiti massimi delle opere dell’ultimo periodo, condiziona anche l’ulteriore grado di appropriazione del modello della forma-sonata, che qui dà vita ad una concezione formale unica ed assoluta proprio in quanto è il risultato di un processo che, disimpegnatosi via via dalle strette dell’individualismo eroico in lotta, è giunto ad analizzare e ad oggettivare i termini stessi del proprio sviluppo. Nella Settima, dunque, Beethoven realizza un decisivo passo verso un modo nuovo di concepire la musica e, in particolare, la costruzione sinfonica, fondandosi unicamente sul contrasto nel fluire del tempo degli elementi puramente musicali organizzati al loro stadio primario: essenzialmente, come successione e opposizione di ritmi. Il ritmo è il fondamento strutturale che sta alla base della Sinfonia e che, materializzandosi, ne riempie di contenuto formale lo schema astratto che Beethoven derivava dalla tradizione (forma-sonata per i due tempi estremi, rondò e scherzo, rispettivamente, per quegli intermedi); il rilievo assoluto che il ritmo vi assume spiega fra l’altro l’origine della interpretazione di Wagner, la sua immagine poetica e figurativa: che cosa è infatti la danza se non sublimazione del ritmo musicale? Ma piú importante è forse ribadire come in questa Sinfonia sia superato ogni concetto di contrasto tematico (perché non esistono temi come individualità distinte e autosufficienti in lotta fra loro), e perfino sia abbandonata la traccia convenzionale dell’itinerario tonale, anch’essa come travolta nell’incessante divenire ritmico: lo sfruttamento delle possibilità connesse alla articolazione ritmica secondo un principio che si potrebbe definire di “variazione integrale”, da una parte, la loro organizzazione in funzioni e relazioni che esse stesse concorrono a creare, dall’altra, questi sono i concetti fondamentali che in-formano la struttura di questa splendida pagina.