di Malavoglia
La peggiore opposizione della storia d’Italia, da oltre due anni impegnata a combattere contro i mulini a vento della “pericolosa deriva fascista” che attraverserebbe il Paese, tesse un giorno sì e l’altro pure la ragnatela di una consolidata fiction di polemiche strumentali, nel replay mediatico di un noioso “bla bla bla” quotidiano. Eppure, gli esponenti regionali, provinciali e locali di questa stessa opposizione, forse per meglio distinguersi, ci stanno assordando con il più totale silenzio di fronte all’elezione del nuovo rettore dell’Università degli Studi di Salerno. Il professore Virgilio D’Antonio, eletto lo scorso 3 luglio con un consenso plebiscitario, ha ricevuto gli auguri da tutti gli esponenti del centro destra campano-salernitano, ma neppure una parola dai rappresentanti regionali e locali del centro sinistra. Come se l’università di Salerno fosse improvvisamente diventata una res nullius. Tace il Governatore della Regione, tace (quindi) il Pd, tacciono i suoi alleati e sodali, con buona pace del rispetto per le istituzioni, se chi le rappresenta non è persona gradita ai vertici di Palazzo Santa Lucia. Il che fa supporre che il matrimonio politico tra Vincenzo De Luca e Vincenzo Loia, rettore uscente, fosse ben più che una corrispondenza di amorosi nomi di battesimo. Ed è evidente che il professore D’Antonio, dopo essere riuscito a far convergere su di sé i voti di tutti gli altri candidati, rimarcando con chiarezza il proprio programma di discontinuità rispetto alla precedente gestione, non possa corrispondere ai desiderata di chi, negli ultimi sei anni, ha messo più di un piede nell’ateneo di Salerno, attraversando le molte porte spalancate dalla compiacenza di Vincenzo Loia, che avrebbe dovuto continuare a tenere saldamente serrate, se non avesse tradito la linea del suo predecessore e sostenitore, Aurelio Tommasetti. Il patto del silenzio tra i deluchiani regna dunque sovrano. Di certo non ha più l’oro in bocca ma si sta rivelando di cemento armato, quale epitaffio di un cafonal style che può essere forse preso a modello, quale autentica, consolidata dimostrazione della coesione del centro-sinistra campano. Una coesione tutta pilotata (ancora!) dal medesimo uomo, inossidabilmente solo al comando. A fronte di questo silenzio condiviso, appare illusorio, quasi ingenuo, il tentativo dei vertici nazionali di scardinare il potere del marchio De Luca in Campania, fidando sulla bocciatura del terzo mandato. È ormai chiaro il progetto del “dopo”: cambiare tutto per non cambiare niente, con un candidato-avatar che sappia fare il bel manichino da esporre in vetrina, lasciando campo libero alla longa manus del Presidente in scadenza. Progetto, del resto, in tutto e per tutto condiviso dal rettore uscente dell’Università di Salerno, che aveva candidato la professoressa Alessandra Petrone, sua alter ego, senza minimamente preoccuparsi dell’evidente inadeguatezza del personaggio nel ricoprire la massima carica dell’Ateneo. E senza neppure considerare che il corpo accademico avrebbe potuto reagire negativamente di fronte all’ennesima imposizione di un irricevibile diktat imposto “dall’alto”. La convinzione dei capi che non sanno politicamente morire è di potere osare l’impossibile, seguitando a cavalcare l’onda lunga di un successo costruito prima sull’illusione suscitata nei più e poi sul senso di inerzia passiva di un elettorato frammentato e diviso da qualche bonus o da qualche rendita di posizione oculatamente distribuita. Tutto diventa fattibile in un contesto territoriale – quale quello salernitano – di per sé chiuso e disabituato al confronto, facilmente ridotto a satrapia di un potere che, in trent’anni di paziente e sistematico lavoro, ha modellato a sua immagine tutte le cariche più in vista e più rappresentative della città di Ippocrate, soprattutto in campo culturale. L’Università ne era l’ultima, ambita conquista. Personaggi-vetrina a parte, la selezione è stata fatta sempre al ribasso, puntando sui meno capaci, ergo fedelissimi al potere che li ha selezionati proprio sulla base della loro insipienza. Fatti salvi i successi di alcuni singoli esponenti culturali e alcune iniziative autogestite, prive degli strombazzati finanziamenti targati “Regione De Luca”, Salerno, da anni, non produce culturalmente parlando più nulla, se non una serie di eventi di facciata, autoreferenziali, che animano le sue strade e nelle sue strade restano. Preferibilmente in quelle del centro antico, che fa più chic, giusto per restare in tema di vetrine. La città brilla dunque di abbaglianti riflettori per celare il proprio nulla. Sotto il vestito niente, in un sistema in cui si prediligono le partite di squash agli incontri di tennis. Al centro sinistra campano vorremmo dunque dare un consiglio: a volte, sottovalutare la stanchezza di un popolo non sempre bue, può diventare pericoloso.





