Tra analisi ed emozioni si sono concluse le celebrazioni del trentennale dell’intellettuale totale
Di OLGA CHIEFFI
Il nuovo, strabismo, conversione nella diversione, dentro-fuori, relazione, contaminazione, coerenza, indipendenza, figure, molteplice tensionale, leggerezza, felicità, questi i termini chiave degli interventi che si sono susseguiti ieri pomeriggio alla Fondazione Menna, per ricordare il suo dedicatario Filiberto. Dal critico d’arte, al giornalista, dal politico al medico, dal “maestro” vero, quello che segna la vita per sempre, donandoti quelle “lenti colorate” di kantiana memoria, che ti accompagneranno in ogni esperienza, Filiberto Menna è stato ricordato da Giuseppe Cacciatore, nel suo impegno politico col Partito Comunista, il dentro e fuori degli intellettuali nelle istituzioni, la liberazione dalle incrostazioni staliniste e post- staliniste del marxismo che ripensava come un insieme dinamico e articolato, l’idea di una politica che andasse oltre i suoi schemi, oltre i suoi stessi tentativi di definirsi, per cercare nell’agire di uomini e di donne il pensiero che lo sorregge, per dare a esso e alle sue passioni un senso e una visibilità capaci di orientare l’agire comune, di tracciare un orizzonte del generale. Poi, l’ “allieva”, Pina De Luca, alla quale Filiberto ha insegnato lo “strabismo”, ha ricordato la ferace esperienza di Figure, e la partecipazione a questa rivista di capiscuola della nostra cultura, Vattimo, Argan, Cacciari, Tafuri, Bertolucci, e tanti altri su di una linea infinita che passa da Proust a Rilke, Nietzsche. Alfonso Amendola, traversando gli interventi di Lorenzo Mango e Paolo Balmas, della mattinata, tra la “trasparenza dei pensieri” e lo “sciogliere i nodi”, ha ricordato la generosità e l’esposizione in prima persona di Menna e il suo luogo d’azione, la strada, e ancora l’esperienza giornalistica di Filiberto Menna, naturalmente innovativa, raccontata da Antonio Bottiglieri direttore della Gazzetta di Salerno, una voce “fuori” in quegli anni dove i giornali erano fotocopia con le “veline” imposte dal palazzo comunale e di Enzo Rago che lo ebbe quale direttore di Telecolore. Il messaggio che ci viene forte da Filiberto Menna è che l’esercizio estetico deve far corpo con la pratica concreta e che è il suo esclusivo contenuto “concreto” di verità, per cui, ciò che veramente importa è conservare intatto, anzi accrescere di continuo, nell’arte, il nucleo vivo e insopprimibile di quel messaggio civile, operando sopra la mente degli uomini, attraverso i suoni e le immagini, le parole e i gesti, così da ricondurli, oltre ogni sospensione e rottura, empirica e provvisoria, alla volontà e alla capacità di modificare le proprie convinzioni e convenzioni. Il pomeriggio del convegno è stato quindi impreziosito dalla performance di Pietro Lista che si è presentato con uno striscione del 1980 che campeggiava in un’affollatissima Piazza Amendola ad un comizio di Filiberto Menna “Il faut changer la vie”, un omaggio al Maggio francese del 1968 e dalle conclusioni della moglie Bianca Pucciarelli Menna in arte Tomaso Binga. La sintesi dell’ uomo Filiberto le lasciamo alle parole pronunciate dalla nipote Gemma Criscuoli. “Se l’aveste incontrato per strada, vi avrebbe dato semplicemente l’ impressione di un signore distinto dagli occhi vivaci. Se però gli aveste parlato, avreste intuito in lui il dono della leggerezza, che non è il vestito della vacuità, ma una sensibilità raffinata, svincolata da ogni schema. Per Filiberto l’empatia non era una parola, ma uno stile di vita: amava ascoltare, farsi attraversare da esperienze e relazioni, perché estraneo alla supponenza e al pregiudizio. Chi ha i numeri per eccellere è quasi sempre innamorato del suono della propria voce e fa degli altri il proprio palcoscenico. Filiberto ha sempre preferito l’ironia per togliere terreno all’ottuso interlocutore di turno o anche solo per cogliere ciò che agli altri sfuggiva e di certo non ha mai avuto bisogno di un piedistallo per farlo. Pur avendo avuto poche occasioni per stargli vicino, ricordo bene il suo senso del gioco. Oggi ci muoviamo tra parole disabitate. Abbiamo istituzionalizzato la pretesa infantile di ridurre il mondo al nostro ombelico. Opporsi al nulla è sempre più estenuante. È smarrita la prospettiva di un progetto comune di crescita e oggi Filiberto combatterebbe lo scenario che in una brevissima lirica una grande autrice profetizzò: “Se tu volessi/se tutti volessero/nessuno vuole”.