Alberto Cuomo
Nel nostro tempo convivono generazioni diverse sì che appaia difficile mettere in luce quale di esse sia maggiormente interprete di quello che veniva detto “spirito della storia”, pur nella consapevolezza non vi sia alcuno spirito e alcuna storia. Forse anzi è proprio la molteplice diversità, anche temporale, a caratterizzare la nostra epoca. Si contano almeno cinque generazioni: quella dei Baby Boomers, la Generazione X, la Generazione Z, i Millennials e la Generazione Alpha. Cinque generazioni con abitudini, gusti, interessi, modi di socializzare, visioni sociali e politiche del tutto diversi, tanto che gli esperti di marketing si rivolgono a ciascuna di esse con approcci differenti. Secondo le analisi sociologiche i Baby Boomers, sono i nati tra il 1945 e il 1964 che hanno vissuto il boom economico e l’esplosione demografica, sì da essere ottimisti e individualisti. Le persone della Generazione X, nate tra il 1964 e il 1980 sono state al centro delle rivoluzioni sociali e le prime ad approcciarsi ad Internet e al nuovo, tanto da essere in genere intraprendenti. Gli ex ragazzi della Generazione Y o Millennials, sono i nati tra il 1980 e il 1995 cresciuti con internet e computer la cui padronanza li rende ambiziosi e competitivi. I giovani della Generazione Z, venuti al mondo tra il 1995 e il 2010, sono nativi digitali, conoscono il web e i social network, sono aperti, meno rigidi rispetto alle generazioni precedenti, multiculturali. I giovanissimi della Generazione Alpha, nati dopo il 2010, sono disponibili ad una grande quantità di stimoli, hanno familiarità con l’intelligenza artificiale e la realtà virtuale e appaiono spaesati rispetto alla realtà tangibile. Ma, oltre i temi e i contenuti che coinvolgono le diverse generazioni, oltre le forme stesse in cui si pongono, quale è la loro relazione con il tempo, se si vuole con il futuro, in cosa consiste per loro l’avvenire e, nella loro visione del tempo, sono diverse o simili? Forse le serie tivu, che vedono il successo con la partecipazione di anziani e ragazzini, possono aiutarci nel comprendere meglio la relazione che abbiamo con il tempo (e del resto un giovane filosofo, Tommaso Ariemma, insegna la filosofia giocando con le serie televisive). Tra le più viste oggi, sulla piattaforma Netflix, vi è “Running point”. Ispirandosi alla vera storia della presidente di una delle maggiori squadre del basket NBA americano, quella dei Lakers di Los Angeles, la serie narra le vicende di una giovane donna che si trova a dirigere una squadra di pallacanestro di proprietà della sua famiglia, alla morte del padre e dopo la squalifica del fratello maggiore. Naturalmente vi sono tutti i luoghi comuni delle serie, il femminismo, i rapporti fluid, la famiglia allargata etc. Ma quanto caratterizza la serie è il running, l’andare di corsa delle scene. Running point forse è anche il canestro che il pivot o un esterno fa a volo su passaggio del playmaker, il regista. Allo stesso modo comunque si susseguono le scene, in maniera veloce, con argomenti diversi che coinvolgono la giovane manager, quasi sia una sitcom, e del resto come queste i suoi episodi durano solo 25 minuti mentre solitamente nelle serie durano 50-60 minuti. La differenza sta nel fatto che la sitcom, da situation comedy, si gira in un unico o in pochi scenari, mentre gli episodi delle serie sono dei veri minifilm con molte scene, interni ed esterni, primi piani e campi lunghi ed altri espedienti propri al cinema. Ebbene, per contrarre tutto quanto accade in 25 minuti, come è in Running point, è necessario un montaggio veloce, con scene brevi, che tuttavia consentano allo spettatore di rimanere padrone della rapida narrazione. Un tempo quindi quasi azzerato, in cui si accumulano gli eventi. Un’altra serie di successo, almeno alle prime battute, è L’arte della gioia, con sceneggiatura e regia di Valeria Golino, in cui si narra l’emancipazione sociale e sessuale di una ragazza siciliana di inizio Novecento. Anche qui, più che la trama sono i tempi cinematografici che ritmano l’assunzione della storia narrata. Pur non essendovi tempi lenti come nelle soap-opera, nella serie della Golino, i colori pastosi, che evocano Sergio Leone e i macchiaioli, in un “c’era una volta”, i contrasti tra la solarità siciliana e gli “scuri” degli interni, ci conducono verso ritmi più meditativi e in tempi lunghi. Tra le due si insinua la serie distopica Severance 2, ovvero scissione, diretta da Ben Stiller per Apple tivu, che narra di una azienda, la Lumon Industries la quale sottopone i suoi addetti ad una procedura sanitaria attraverso cui vengono separati i ricordi personali da quelli legati al lavoro in modo tale da determinare una sorta di schizofrenia secondo cui l’interno dei soggetti, se si vuole io e inconscio, niente sanno del super-io e viceversa. E a guardar bene le tre serie illustrano il dualismo del tempo che viviamo, non solo nella divaricazione tra passato e futuro, che sembrano essere senza legami sia nei giovani che negli anziani, quanto anche nella compresenza di tempi azzerati o quasi nulli, si direbbe inutili, e tempo eterno. E monumenti a questa doppiezza del tempo sono le architetture di Zaha Hadid, particolarmente la stazione di Afragola e quella marittima di Salerno. Infatti entrambe sono caratterizzate da una struttura statica possente che, appunto, sfida l’eternità, e tuttavia il loro spazio è uno spazio privo di riferimenti, per eventi effimeri, a tempo zero. Questa convivenza di effimero ed eterno può riscontrarsi anche nell’esperienza delle persone, ad esempio i politici, i quali pur vivendo i tempi brevi cui si è condotta la politica, divenuta gioco quotidiano, senza progetto, mera tattica priva di strategia, tentano di rimanere in eterno sul proprio scranno, come è da Trump sino a De Luca.





