Il procuratore Borrelli ha parlato con il tono felpato e sapiente di un grande capo indiano, ma con i colori di guerra dipinti sul viso, nell’intervista rilasciata ieri in esclusiva a Le Cronache. Ci sono due frasi, nel suo lungo esame della situazione territoriale, che fanno riflettere. La prima: non si fanno i processi che non si vogliono fare! E’ un’allerta e un monito a molti. E’ un’allerta: perché sta dicendo che ci sono processi, ancora sotto traccia, che si vogliono fare e si faranno. Ed è un monito e uno stimolo urgente all’intero apparato giudiziario del Distretto. La sua critica, garbata ma spietata, all’andazzo sui processi lumaca relativi alla lotta alla criminalità organizzata, e il rimedio intelligente, ma scontato, da lui suggerito per abbreviare i tempi dell’audizione dei testimoni, sono sferzate a un generalizzato costume di trattazione dei processi con stile burocratico. I giudici non devono essere impiegatucci burocratici, ha detto Borrelli con forza. Ne ha risvegliato l’orgoglio professionale con le frustate del suo discorso. Ha descritto una Procura, al suo arrivo, priva di mordente e di capacità immaginativa. C’è voluto un grande coraggio per dire queste cose. Dietro la critica c’è il rammarico della verifica al suo arrivo di una organizzazione giudiziaria locale ferma all’ordinaria amministrazione, senza infamia e senza lode. Raramente un Procuratore della Repubblica, nel caso dei decenni passati, si è espresso con tale crudezza, pure nel garbo diplomatico dell’intero discorso. Ma la sostanza è la stessa dei discorsi della Procura della Repubblica di un tempo: quei discorsi e quelle interviste che vedevano la potenza tonante di Procuratori Aggiunti come il dimenticato, ingiustamente, Luciano Santoro. O come un po’ tutta la generazione, perduta nell’oblio ingiusto della storia, dei cosiddetti “Giudici Intellettuali”. Il sapore degli ultimi decenni, la fine dei dibattiti coraggiosi e del confronto pubblico anche con la stampa, ha nanizzato la figura del controllore per eccellenza, il Procuratore della Repubblica. Emerge, dal discorso di Borrelli, pare di capire tra le righe, che l’opera è tutt’altro che finita. Un uomo con la sua esperienza, che parte da lontano, dagli anni di Catanzaro come Procuratore Aggiunto, a quelli successivi come Procuratore Aggiunto Antimafia a Napoli, parla sempre con messaggi indiretti, che sta a noi interpretare. C’è l’altra frase della sua intervista estremamente inquietante, e foriera di nubi all’orizzonte: “A Salerno, la situazione della criminalità appare tranquilla. Ma è così perché si vuole che appaia tranquilla”. Il Procuratore ha compreso che c’è un disegno criminale di fondo che vuole allontanare dal territorio la curiosità dei Pubblici Ministeri. Il territorio salernitano deve apparire controllato e docile, perché l’indagine occhiuta delle inchieste non si sposti in profondità oltre l’apparenza banale della piccola criminalità. Borrelli sa che la criminalità organizzata non è più, solo, quella della bomba carta alle saracinesche e quella dello spaccio da crocicchio di strada. I grandi interessi del delitto organizzato passano attraverso gli intrecci societari delle grandi aziende e, verosimilmente, dei grandi gruppi economici, finanche pubblici. Borrelli sa che la nuova frontiera del contrasto legale al delitto passa non solo attraverso l’organizzazione della Direzione Antimafia, ma anche attraverso il potenziamento della Procura sui reati finanziari e tributari. In questa Regione stanno i veri Santuari della criminalità moderna. A Borrelli va il plauso e l’incoraggiamento di Cronache e di tutti i cittadini che credono nei valori della legalità. *
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