Il dottor Montano e la salute riproduttiva - Le Cronache Attualità
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Il dottor Montano e la salute riproduttiva

Il dottor Montano e la salute riproduttiva

Patrizia Tortoriello

C’è un Paese che si guarda allo specchio e non si riconosce. Che smette di generare, smette di crescere, smette di immaginarsi nel tempo. Quel Paese è l’Italia. E l’immagine riflessa non è un ritratto demografico, ma un responso biologico, crudo e silenzioso: la fertilità maschile sta crollando. Non per una legge della natura, ma per la violazione continua del suo equilibrio. Il 13 maggio scorso, a Salerno, presso l’Aula Blu dell’ASL, si è tenuto un incontro che ha unito rigore scientifico, consapevolezza civile e visione politica. Si è parlato infatti di ambiente, fertilità e prevenzione. Argomenti considerati marginali, quasi scomodi. Eppure in quelle analisi, nel seme umano, c’è una diagnosi collettiva e una resa dei conti. Al centro del dibattito, il progetto “EcoFoodFertility”, ideato e coordinato dal dott. Luigi Montano, uroandrologo, PhD in Biologia dell’Evoluzione, già presidente della Società Italiana di Riproduzione Umana, ma soprattutto uno “scienziato civile”. Montano ha capito prima di molti che la salute dell’uomo non si misura solo con l’assenza di malattia, ma con la capacità di trasmettere la vita, e quindi di garantire una continuità, un destino. Il seme, dice, non mente. È il primo a rivelare le ferite dell’ambiente. Gli spermatozoi, fragili e mobili, sono come i testimoni di un processo. Raccontano quello che respiriamo, mangiamo, beviamo. Raccontano quello che siamo diventati. Per questo ha studiato il liquido seminale di oltre 2500 giovani italiani, sani, non fumatori, tra i 18 e i 22 anni, provenienti da aree diverse del Paese: dai comuni dell’Alto-Medio Sele fino alla Terra dei Fuochi, a Taranto, alla Valle del Sacco, a Modena. E ha scoperto un dato che inquieta: nella maggior parte dei casi, nei territori più inquinati, la fertilità è già compromessa. Gli spermatozoi sono meno numerosi, meno mobili, più danneggiati. E soprattutto, portano con sé la traccia invisibile dei metalli pesanti, degli interferenti endocrini, delle microplastiche, rinvenute persino nei fluidi follicolari femminili di donne sottoposte a fecondazione assistita. Il numero medio di figli per donna è sceso a 1,20 nel 2023, ben al di sotto del livello di sostituzione generazionale di 2,1. Le microplastiche, spesso veicolo di sostanze chimiche tossiche come PFAS, bisfenolo e ftalati, sono note per i loro effetti negativi sul sistema endocrino e sulla salute riproduttiva. Tutto questo non arriva da un’istituzione calata dall’alto. EcoFoodFertility nasce in provincia, nell’ospedale di Oliveto Citra, con l’aiuto di associazioni, scuole, gruppi di cittadini, e cresce fino a diventare una rete scientifica nazionale, un modello di “citizen science” che coinvolge il CNR, l’Enea, l’Istituto Superiore di Sanità e numerose Università italiane ed europee. È scienza partecipata, è medicina del territorio, è bioetica in azione. E non si limita a denunciare. Accanto ai dati c’è una proposta: la prevenzione ambientale attraverso lo stile di vita. Trial clinici condotti sul campo, come lo studio FASt, hanno dimostrato che una Dieta Mediterranea a base di alimenti biologici, combinata con attività fisica moderata e stile di vita sano, può migliorare significativamente i parametri riproduttivi anche nei soggetti più esposti, invertendo in parte gli effetti degli inquinanti. È una bonifica possibile, in attesa di quella dei territori. Il progetto, che si sviluppa in ottica One Health, ha esteso le sue indagini anche al mondo animale: recenti ricerche su cani domestici e sul falco pellegrino, predatore apicale e “spia” dell’ecosistema, confermano la capacità di alcuni biomarcatori riproduttivi di rivelare la qualità ambientale. EcoFoodFertility sta anche disegnando una cartografia del rischio, una mappa invisibile dell’Italia contaminata. Un Paese dove non ci sono più solo “terre dei fuochi”, ma più terre dei fuochi, disseminate tra nord e sud, tra campagne e città. Luoghi dove l’ambiente è stato piegato al profitto e il corpo — il nostro corpo — è diventato il deposito dei suoi scarti. Montano non cerca titoli, non insegue poltrone. Ma i suoi dati sono finiti sulle pagine delle più autorevoli riviste scientifiche di tossicologia e andrologia, tra cui Reproductive Toxicology, Environmental Toxicology and Pharmacology e European Urology Supplements. Il progetto è stato premiato dal Parlamento Europeo, dall’UNESCO, dal Campidoglio. Riconoscimenti che non cambiano la sua rotta: stare vicino alla gente, raccontare quello che i numeri non dicono, ma che il corpo sente. Il vero punto, però, non è la statistica. È il giudizio biologico che ci raggiunge. I nostri gameti, quelli che un tempo rappresentavano la potenza generativa, oggi portano la firma dell’inquinamento. E con essa, un’accusa: avete tradito il patto tra l’uomo e il mondo. Ecco perché Montano propone una medicina nuova: predittiva, ambientale, personalizzata. Una medicina che non cura solo la malattia, ma che la previene, restituendo dignità alla fertilità, non come dato clinico, ma come diritto umano e sociale. C’è un passaggio, nelle parole di Montano, che racchiude il senso di tutto: “La fertilità è il primo bene comune. È l’inizio della salute pubblica. È la porta del domani”. In un Paese che discute di natalità come se fosse una questione di incentivi economici, EcoFoodFertility mostra che prima dei bonus servono bonifiche. Che prima dei numeri servono verità. E che nel corpo dei giovani italiani, spesso apparentemente sani, si nasconde una ferita già aperta, che va affrontata con urgenza e responsabilità. L’incontro di Salerno, allora, è stato qualcosa di più di un convegno. È stato un appello alla coscienza, un invito a guardare il presente con lo sguardo di chi verrà. In un’Italia che invecchia e si interroga sul proprio futuro demografico, Luigi Montano ha acceso una luce. E il seme, questa volta, non è solo metafora. È una prova e una sentenza. È l’inizio, forse, di una cura.