di Oreste Mottola
Si svuota l’acqua della grotta di Pertosa in provincia di Salerno per studiare il misterioso villaggio palafitticolo dell’Oscurità. Il corso d’acqua nelle parti più interne della cavità e complesso di cavità carsiche ubicato alle falde dei Monti Alburni, in provincia di Salerno, sono state recentemente oggetto di un intervento di ricerca e documentazione speleo-archeologica realizzato grazie alla collaborazione tra la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di di Salerno e Avellino, la Fondazione MIdA, la Società Iren ed il Centro Regionale di Speleologia “Enzo dei Medici”. Lo comunica, in queste ore, la Soprintendenza stessa. L’indagine ha permesso di acquisire nuove informazioni su questo singolare insediamento che, in parte prendeva luce dall’apertura della grotta, ma che si sviluppava, in buona parte nell’oscurità”. Qui gli uomini vivevano sulla palafitte e disponevano di acqua corrente. L’indagine ha permesso il ritrovamento delle palificazioni e delle strutture, nonché il recupero di reperti, in buona parte ceramici. Pali lignei delle palafitte affioranti dall’alveo fluviale, facenti parte di un esteso impianto palafitticolo di età protostorica. Alcuni manufatti di varia cronologia e funzione derivanti da raccolte di superficie autorizzate “Il giacimento archeologico presente nelle Grotte di Pertosa-Auletta, noto sin dalla fine dell’Ottocento, è di eccezionale importanza in quanto conserva, caso unico in Europa in ambiente sotterraneo, i resti di una palafitta di età protostorica risalenti a circa 3500 anni fa. – spiega la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Salerno e Avellino – Tale struttura, a causa di una diga che sbarra il fiume ipogeo all’ingresso della cavità (eretta per finalità di sfruttamento idroelettrico), può essere indagata solo in casi eccezionali. È, appunto, ciò che è avvenuto nel gennaio 2024, grazie allo svuotamento dell’invaso idrico artificiale a seguito dell’accordo tra i suddetti enti. L’intervento ha permesso di documentare l’estensione dell’impianto palafitticolo nonché di perfezionare la conoscenza di alcuni settori dell’alveo fluviale in cui consistente appariva la presenza di testimonianze e reperti antichi, riferibili ad un lasso di tempo esteso dall’età neolitica all’epoca romana. Prossimamente sarà discusso un piano per la prosecuzione delle indagini, previste per il prossimo anno, nonché per la realizzazione di un convegno scientifico che faccia il punto sulle più recenti acquisizioni conoscitive”.
Nel 1898, due studiosi, Giovanni Patroni e Paolo Carucci, iniziarono le prime esplorazioni archeologiche nelle Grotte di Pertosa-Auletta. Patroni si limitò a scavare fino a un metro di profondità nella vasta antegrotta vicino all’ingresso, ma ciò portò alla scoperta di una stratigrafia complessa che fornì numerosi reperti risalenti a diverse epoche di utilizzo umano della grotta. Emerse anche una struttura di legno simile a una palafitta, che spinse Patroni ad approfondire ulteriormente, portando alla luce reperti sia dell’età ellenistico-romana che dell’età protostorica. Anche Carucci condusse ricerche sul terreno a destra dell’antegrotta, raggiungendo una profondità di 2,80 metri. A un certo punto, arrivò a tre metri di profondità e trovò una seconda palafitta.
Negli anni 2009 e 2013, sono state condotte indagini archeologiche moderne, ma il contesto era cambiato: il terreno era stato incorporato in una piattaforma di imbarco per i turisti, e la costruzione di una diga per sfruttare le acque ipogee a fini idroelettrici aveva innalzato il livello dell’acqua, sommergendo il sito archeologico per circa due metri.
Nonostante queste trasformazioni, le ricerche moderne hanno rivelato che un’ampia parte del sistema palafitticolo si estendeva anche lungo il margine sinistro dell’antegrotta, in gran parte sommersa dalle acque del fiume sotterraneo Negro, e che la palafitta si estendeva anche in zone completamente buie. Le datazioni al radiocarbonio dei resti lignei indicano che la costruzione risale alla metà del II millennio a.C.
Le Grotte di Pertosa-Auletta rappresentano quindi una fonte straordinaria di informazioni scientifiche sulle antiche popolazioni della Valle del Tanagro, preservate eccezionalmente grazie all’ambiente carsico. Il famoso complesso carsico di Pertosa presenta il caso eccezionale di due abitati palafitticoli costruiti all’interno dell’ampia antegrotta.
Le ricerche iniziate alla fine dell’Ottocento e poi interrotte per la realizzazione di un invaso artificiale sono riprese ultimamente consentendo di ricostruire al meglio le vicende umane che interessarono questo antro spettacolare. Una sorgente, dovunque essa si trovi, attira sempre l’attenzione dell’uomo. Quando si origina dalla viva roccia e le sue acque scaturiscono dal buio sotterraneo, poi, assume un carattere misterioso e magico al contempo. Nella bassa valle del Tanagro – fiume che attraversa tutto il Vallo di Diano, in Campania, per riversarsi infine nel Sele – l’ampio ingresso di una vasta caverna, come un enorme occhio scrutatore, ha controllato da sempre il passaggio umano nel territorio circostante.
Si tratta dell’imbocco di quelle che oggi conosciamo come Grotte di Pertosa, un sistema sotterraneo tra i più estesi dell’intera regione campana. Questa cavità, aperta al pubblico e visitata ogni anno da decine di migliaia di turisti, è enorme, con ambienti adorni di spettacolari concrezioni.
La sua maggiore peculiarità, tuttavia, è il torrente sotterraneo che vi scorre per lungo tratto e che riemerge in superficie dall’enorme entrata. Qui una diga, eretta attorno al 1910 per lo sfruttamento idroelettrico delle acque, ha innalzato talmente il livello del torrente che, per accedere nei recessi più profondi della grotta, è necessario utilizzare apposite imbarcazioni.
Proprio sotto la banchina costruita per il loro ormeggio si cela il segreto millenario delle Grotte di Pertosa: un duplice livello palafitticolo di cui il più profondo, esteso per tutta la superficie dell’antegrotta, circa 3500 anni fa rendeva transitabile un’area altrimenti occupata dal corso d’acqua e dalle sue sponde fangose.