Giacomo Puccini, il wagneriano - Le Cronache
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Giacomo Puccini, il wagneriano

Giacomo Puccini, il wagneriano

Venerdì sera, alle ore 21, al teatro Verdi, sipario per la stagione lirica che inaugura con la terza opera del genio toscano, Manon Lescaut. Daniel Oren rilegge l’opera che ha diretto per la prima volta dopo il premio Karajan

Di Olga Chieffi

Salerno ama la “melodia puttana”, come la definiva Paolo Isotta, di Giacomo Puccini. Ieri mattina, il maestro Daniel Oren in duo con il Sindaco Vincenzo Napoli, nella conferenza di presentazione della Manon Lescaut che venerdì sera inaugurerà la nuova stagione lirica, si è dichiarato pucciniano fervente. Se il Sindaco Vincenzo Napoli  ha donato la sua attesa, alta citazione: “Tutto ha avuto inizio da una interruzione”  da Paul Valery, sottolineando il dire convinto di Daniel Oren che Manon Lescaut è opera di rottura, con alcun legame con gli autori precedenti quale l’ultimo Verdi di Otello e Falsataff, come , invece lo erano state le opere nell’ordine di Rossini, Donizetti, Bellini e, appunto, del cigno di Busseto, il quale ha attraversato un lunghissimo periodo del melodramma, intendiamo far notare che l’opera della quale celebreremo domani sera i 130 anni, è il Tristan und Isolde italiano. Il Tristan akkorde, apre le porte del secolo breve, ma s’intuisce chiaramente, e con quello stesso flou dei legni ad ancia doppia, nella Dante symphonie lisztiana, qui in Manon il secondo atto, come l’intermezzo, con il suo ripieno armonico discretissimo fatto ora di violoncelli col loro moto cromatico e alla seconda e terza viola, le inquiete fluttuazioni, l’ambientazione armonica in settime che non risolvono, che non “possono” risolvere mai, è un bel sentire wagneriano, anzi tristaniano, sicuramente un “esperimento operistico” dei tanti portati avanti da un Puccini che non ha ancora ben individuato un proprio percorso artistico ed estetico. Non crediamo ci siano mai brusche interruzioni nelle arti, come in  filosofia, come nella natura, non si riesce a non guardarsi intorno e Puccini ha vissuto la Milano del melodramma certo, ma anche dei primi concerti sinfonici con musiche wagneriane e in società col compagno di studi e di stanza Pietro Mascagni, acquistò lo spartito del Parsifal nei primi mesi del 1883, eccellenti allievi di storia della musica e di lettura della partitura, di quell’Amintore Galli, wagneriano convinto, il quale gli fece acquisire oltre il sentire germanico, anche l’anima italiana, ovvero la teatralità infallibile di Giuseppe Verdi unitamente a quel côté francese e quel gusto armonico debussiano, che sa rendere l’orchestrazione sensuale e trasparente. Ed ecco il Puccini uno e trino della Manon Lescaut. Quest’opera, che andrà in scena venerdì alle ore 21, sulle tavole del Teatro Verdi, per la regia di Pier Francesco Maestrini e le scene di Alfredo Troisi, sul podio alla testa dell’orchestra Filarmonica Salernitana e del coro, preparato dal nuovo direttore Francesco Aliberti, Daniel Oren, è un titolo di non facile lettura e tessitura, con quel suo “dolcissimo soffrir” in cui Puccini ha impastato uno scintillio che ha bisogno di nervi tesi per essere interpretato, perché non sia restituito come semplice vapore di galanteria. Oren conosce bene la Manon ed è stata la prima opera affidatagli dopo il premio Karajan, da quel grandissimo musicologo che è Gioacchino Lanza Tomasi di Lampedusa, il quale vide in lui la giusta fiamma per questo titolo. Puccini qui simula la galanteria: simula cioè, un immaginario Settecento che non ha alcuna consistenza realistica, seppure sembrerebbe averla, in particolare in qualche passo del secondo atto, ma si tratta di altro. Puccini aveva in mente un fuoco sensuale da sfiorare con delicatezza estrema: quei brucianti assedi del corpo che la giovinezza subisce e vive con allegrezza patetica, ma anche con stordimento, con cecità. E’ la sensualità dove c’è tutto con indifferenza, il male e il bene, l’avventura e la verità della passione, la morsa feroce della carne e la gioia di abbandonarvisi come al ristoro dell’acqua di mare. Protagonista assoluta dell’operismo pucciniano, la donna, che domani sarà Jennifer Rowley, aspira a una redenzione e a un compianto che l’impassibile teologia compositiva smentisce ad ogni piè sospinto, trafiggendone le dolcezze verbali con una musica che, in apparenza dolce, rivendica il suo assioma di nevrosi e sadismo.  In Manon Lescaut sono privilegiati i forti contrasti e la varietà degli ambienti e delle atmosfere, così come delle forme e degli stili musicali. Quest’opera si sviluppa intorno ai fulcri drammaturgici costituiti dai duetti, la cui posizione centrale è rimarcata dal fatto che le stesse arie nascono per lo più al loro interno (“In quelle trine morbide”, “Ah! Manon, mi tradisce” cantata dal cavaliere des Grieux che avrà la voce di Riccardo Massi e, qualora gli si voglia accordare la dignità di aria, l’assolo di Lescaut (Vito Priante) “Sei splendida e lucente”) o ne costituiscono una sorta di eco, come nel caso della romanza «Donna non vidi mai», per tutto l’arco della quale Des Grieux, che ha appena conosciuto Manon, non fa che richiamare alla memoria le parole di lei (“Manon Lescaut mi chiamo”) e la musica del precedente duetto; mentre altrove – è il caso di “Sola, perduta, abbandonata” – l’aria riempie il tempo dell’allontanamento di uno dei due personaggi, una condizione della quale il testo del brano denuncia già nell’incipit l’eccezionalità. Analogamente, sul versante opposto, il concertato dell’imbarco si costituisce e sviluppa intorno all’ennesimo duetto tra Manon e Des Grieux, che conserva la propria identità narrativa grazie alla netta contrapposizione tra il tempo psicologico – liricamente sospeso – delle frasi dei due innamorati e il tempo reale delle esclamazioni del Coro e dei ragionamenti di Lescaut, che la voce del Sergente (Angelo Nardinocchi), chiamando ad una ad una le donne destinate alla deportazione, scandisce allo stesso modo in cui il lento transito delle prigioniere misura lo spazio. A completare il cast Carlo Striuli nel ruolo di Geronte De Ravoir e del comandante di Marina, Francesco Marsiglia in quello di Edmondo, del lampionaio e del maestro di ballo, Natalia Verniol nelle vesti del Musico, l’oste che avrà la voce di Angelo Nardinocchi.