
Aldo Primicerio
“Non più”, due avverbi. Quante volte li incrociamo. Un’infinità. “Non più” ci evoca diversi sentimenti legati al passato. Ad esempio il rimpianto, il dispiacere, la nostalgia. Il rimpianto è sulle opportunità mancate o sui comportamenti passati che si vorrebbe cambiare. Il dispiacere è quando si perde qualcosa di prezioso. O anche quando occorre accettare una situazione indesiderata. La nostalgia, invece, è un sentimento che fa emergere il desiderio di un passato idealizzato nella nostra mente, spesso associato a un senso di mancanza e di benessere.
Perché nel titolo associamo il “Non più” a 4 parole evocanti persone, fatti, valori?
Partiamo da Francesco, il Papa che non c’è più. Il 7 prossimo si apre il conclave per eleggerne il successore. Non so cosa avvertiate dentro. L’attesa spasmodica a molti sembra quella che precede lo sparo della partenza del Palio di Siena. Con i cardinali che sembrano cavalli inquieti che sbuffano dalle loro narici fremendo per l’attesa. Ed è qui che il conclave ci strilla nella testa il primo “Non più”. Perché non ne uscirà più un altro Francesco! Sotto gli affreschi di immane bellezza della Cappella Sistina i cardinali sono attesi ad una analisi dei problemi della Chiesa di oggi: le vocazioni sacerdotali, le congregazioni femminili, le omofilie, le guerre, le diseguaglianze sociali. Sarà molto difficile, eppure il conclave dovrà decidere l’identità del futuro pontefice. Difficile perché il fronte ultraconservatore, che per 10 anni ha scatenato contro Francesco un’offensiva senza precedenti, e continua a scatenarla contro la sua memoria, impedisce che si delinei già un candidato. Non si vuole sbagliare, non si vogliono bruciare nomi. I progressofobi vogliono essere certi quando aprire la campagna di deligittimazione e di demonizzazione delle innovazioni bergogliane. E favorire un nome capace di riportare la “quiete” nella Chiesa. Due le provocazioni di Francesco su cui, secondo loro, fare dietrofront: l’omosessualità ed il ruolo della donna nei sinodi. E quindi ecco il “Non più” un secondo Francesco, “Non più” il Papa della gente, “Non più” l’outsider dei pontefici, “Non più” il Papa fuori dagli schemi.
“Non più” la famiglia, paradossalmente minacciata dal lavoro, il più grande bene dell’umanità
Non siamo così stupidi da condannare il lavoro come un imputato sotto processo. Eppure c’è un aspetto di cui spesso non teniamo conto, quello del lavoro che divide e disgrega la famiglia. Per il lavoro i nuclei familiari si dìsfano. Spesso bisogna andare lontano dalla propria famiglia. Vicino casa, o in intere regioni del Sud il lavoro manca , e quindi bisogna spostarsi dove ci sono le aziende e le possibilità di occupazione. E la conseguenza è che le famiglie si frantumano. E quando un figlio o una figlia vanno al Nord o all’estero, spesso è lì che si mette su famiglia, si creano nuovi nuclei familiari, nuove mogli e mariti, nuore, generi, nipoti. Tutti lontani dal papà e dalla mamma. E questo legittima il “Non più” la famiglia. Un’osservazione che può apparire insignificante. Perché lavorare è vitale ed importante più di tante altre cose. Eppure quanto è doloroso e triste quando i figli sono a lavorare lontano, senza che il papà e la mamma possano goderseli. E quanti soldi bisogna spendere con l’auto o il treno per trascorrere qualche giorno o poche ore con i propri figli. E qui tornano forti i richiami a soluzioni. Come ad esempio l’incentivare la creazione di aziende, od il valorizzare le peculiarità dei territori in cui si nasce, dove però c’è l’indifferenza del potere e dei governi al “Non più” la famiglia
“Non più” lo stesso mare. Ci avvertono i gabbiani, “rifugiati economici” da un mare che non è più il loro. E ci ricordano i migranti in fuga dalla loro terra
Un paragone ispiratoci da un mirabile scritto di Ferdinando Boero, zoologo e naturalista, nato a Genova ma professore nell’Università di Napoli. Ricordate “Gli Uccelli” di Alfred Hitchock? Il gabbiano che ferisce con il becco la fronte dell’attrice protagonista Tippi Hedren? La sorpresa degli abitanti del posto per un episodio mai accaduto prima? L’aggressività che si dilata come un contagio tra tutti gli uccelli? Boero ci avverte che la finzione cinematografica può diventar realtà. Perché di recente a Venezia sono apparsi cartelli come Attenzione ai gabbiani, Non mangiate per istrada, Un panino in mano diventa un obiettivo, Arrivano in picchiata e ve lo strappano via. E non solo a Venezia. Roma dista quasi 50 km dal mare, eppure i grossi gabbiani reali sono dovunque, sui tetti del Campidoglio o sui terrazzi di via del Corso. Volano bassi, spesso rovistano e devastano i contenitori dei rifiuti spargendoli tutt’intorno. Ma perché? “I gabbiani reali sono uccelli marini – racconta Boero – e, naturalmente, mangiano principalmente pesci. Mangiano anche altri uccelli, da sempre. Ma i pesci sono sempre più rari (li prendiamo noi). Se andate su un banco di pescheria potrete vedere con i vostri occhi: i pesci locali sono sempre più scarsi, e dominano specie allevate o importate da altri mari. I gabbiani, con meno fonti di sostentamento, dovrebbero diminuire di numero. E invece cercano cibo altrove. Nelle discariche, ad esempio, dove abbondano gli avanzi. Hanno scoperto le città e, invece di fare i nidi sulle scogliere a strapiombo sul mare, li fanno su tetti e terrazze, dove difendono nidi, uova e pulcini, come noi difenderemmo i nostri figli”.
Insomma sono “Non più” uccelli marini, e sempre di più uccelli terrestri. Perché nelle città mangiano “Non più” i pesci ma sempre di più pane ed altri cibi di noi umani. Hanno cambiato la loro dieta, si sono adattati ad un nuovo ambiente, quello urbano. Ma perché? Perché il mare è “Non più” lo stesso di prima. E loro si rifiutano di piegarsi al cambiamento. Fuggono in altri ambienti, non trovano più quello per cui nascono volano e muoiono, e quindi fuggono sperando di poter sopravvivere altrove.
Ci ricorda qualcosa di familiare? Ma certo. I gabbiani ci ricordano i migranti, cui questi uccelli si assimilano come “rifugiati economici”.
Sono proprio come noi. Come i nostri nonni e bisnonni che andarono via dai loro paesi, dalla miseria e dalla fame al Sud e al Nord, per cercare pane e fortuna altrove. Proprio come i migranti di oggi che fuggono dall’Africa, che sfidano le torture e gli stupri, le insidie del mare e la morte. Ed i gabbiani fuggono, spingendo altre specie all’estinzione. Proprio come facciamo noi umani. Noi che deforestiamo e stravolgiamo l’ambiente con l’agricoltura a tutti i costi. Che intossichiamo l’aria con il metano ed il Co2 dal letame degli allevamenti intensivi di bovini. Che depauperiamo i mari con la pesca industriale, le reti a strascico, e con la sciocca ed autolesionistica pesca sportiva. Noi che pensiamo di eliminare le specie ostili, uccidendo anche quelle indigene che vivono lì da sempre. Che consideriamo la natura come una cosa progettata apposta per essere da noi depredata. Che ignoriamo come essa più viene ferita e più si difende. Come le specie animali che resistono ai pesticidi, o come i batteri che si difendono diventando antibioticoresistenti e spingendo noi umani alla morte. Noi che pensiamo di risolvere tutto, l’avete letto?…assicurandoci. Come consiglia Sua Intelligenza il Ministro per la Protezione Civile a chi chiede indennizzi per le catastrofi naturali. Senza pensare che quando saranno troppi e quindi impagabili, diventeranno un debito. Sì, proprio come quel debito che stiamo contraendo con la natura. In fondo, noi umani non siamo meno sprovveduti degli animali. Anzi loro sono assai meglio di noi, perché sono dei puri. Non hanno la parola, e quindi non hanno mezzi, occasioni e tempo di imitare le nostre bugie, la nostra ipocrisia e la nostra stupidità.