di Massimo Salvo
Sono da poco passate le 9.30 quando in Corso Garibaldi, all’altezza di “Foot Locker”, un manipolo di persone, impossibile da decifrare numericamente, avanza a grandi passi. Fischietto alla bocca e megafono alla mano, quel manipolo intona quasi all’unisono i cori più disparati, su tutti “Carminuccio uno di noi”.
«In fondo è per lui che oggi siamo qui», afferma uno dei due rappresentanti del “Da Procida”, Lorenzo Rago. «Questi fatti non devono più accadere. Sappiamo bene che il “Genovesi” è stato solo il teatro casuale degli eventi, che si sarebbero potuti manifestare ovunque». Dello stesso avviso è anche l’altro rappresentante dello stesso liceo, Luca Di Giuseppe. «Si tratta chiaramente di un caso isolato, dal quale ci dissociamo».
Difende la sua scuola Christian Pezzuto, rappresentante del tecnico commerciale coinvolto nei fatti. «Il messaggio che stanno facendo passare è errato. Macchia di credibilità l’intero istituto, che mai prima d’ora era stato coinvolto in casi simili. Tutto ciò non è giusto».
Il corteo intanto avanza rumoroso, sotto l’occhio costante di un paio di pattuglie dei carabinieri. Da Piazza Ferrovia attraversa via SS. Martiri Salernitani, accarezza Piazzetta Barracano e incrocia via dei Principati, non prima di aver costeggiato il tribunale. Passa anche sotto la redazione di “Le Cronache”, salvo poi approdare infine in Piazza Portanova, dove il corteo si arresta e si congeda.
«Vogliamo fortemente dimostrare che il “Genovesi” non è quello che è stato descritto», urla al megafono Gennaro Testa, al cui istituto tecnico appartiene. Qualcuno intanto, ordina ironicamente un applauso per lui, facendolo arrossire.
Meno timida è sicuramente Annalisa Di Filippo, del liceo scientifico “Francesco Severi”, che dice: «Siamo scesi principalmente in piazza per contrastare la violenza che c’è negli istituti, gli atti di bullismo e la strafottenza, se posso permettermi, da parte delle scuole, delle presidenze e dei professori, che non osservano questi fatti e se ne accorgono solo a gravità accaduta. La scuola – continua Annalisa – non è attenta a tali questioni, nel senso che si aspetta sempre che accada qualcosa di più grave prima di affrontarlo. Ora io non conosco la situazione del “Genovesi”, ma in generale invito chi di dovere a trattare maggiormente il tema della violenza negli istituti scolastici».
In sottofondo si consiglia a tutti di restare in campana. «Ogni giorno e sotto i nostri occhi accadono atti di bullismo, e i docenti o chi per essi non se ne accorgono. Questo anche perché la vittima di bullismo difficilmente denuncerà la propria condizione, per cui sta a noi intervenire in massa: l’unione, si sa, fa la forza». E ancora: «Carmine è solo il simbolo del fenomeno, che riguarda tanti altri ragazzi che ogni giorno vivono in una situazione difficile».