Di Olga Chieffi
Nella giornata di ieri è mancato “fisicamente” ai vivi il sociologo, l’intellettuale, il docente, il maitre a penser Domenico De Masi. Lo conosciamo per essere stato il primo presidente della Fondazione Ravello, per aver rivoluzionato il Festival wagneriano, aprendo il cartellone all’interazione di tutte le muse, anche del cinema, creando non poche polemiche, tra i tradizionalisti e i modernisti, sua l’idea e la realizzazione dell’auditorium affidato al segno di Oscar Niemeyer, gli stages di formazione dedicati ai giovani proprio nell’ambito del Festival, incontri , libri, mostre, diversi eventi in ogni giornata del calendario estivo. Oggi che amici, allievi, collaboratori, continuano ad onorarne il segno indelebile che ha lasciato nel percorso di vita, non resta che “fare” insieme il piccolo libro dell’anima, secondo i dettami del suo “ozio creativo”. Cos’è cambiato, infatti, con la morte? Cosa cambia – quando l’attesa resta sospesa di fronte al compimento? L’essere andato di là, nell’invisibile, dell’artista e dell’amico ci pone assiduamente la domanda circa il di là e il di qua della soglia paurosa che tutti ci rende vili, ma anche ardenti di curiosità. La disparizione emana verso di noi il fiore di un’amara, ma nuova primavera, di un’era da esplorare, in cui ritagliare una nuova terra d’amicizia e colloquio. Pure ci sollecita l’urgenza d’intrecciare, senza sosta, visibile e invisibile, per costruirci un veicolo, non so, magico di contatto che può essere la musica, un’immagine, l’assoluto del mare, il giardino di Villa Rufolo, la bacchetta di un direttore. Tutto cambia e tutto resta per noi tutti se la morte rompe i sigilli e la parte di vita ch’era stata trattenuta fluisce e torna a noi, per questo rimaniamo disorientati di fronte alle morti e come presi da rimorso. Pur, tuttavia, cosa resiste oltre la morte, i concetti e le teorie sono immortali, resistono al tempo. La cosa meravigliosa di una teoria è che a distanza di anni dalla sua formulazione risulta sempre molto attuale, almeno nella maggior parte dei casi: il concetto di ozio creativo ha superato la prova del tempo e potrà accadergli solo di divenire ancora più alto, spirante e ispirante. L’ozio creativo è quella condizione in cui si trova colui che, svolgendo un lavoro di tipo intellettuale o artigianale, non solo lavora e quindi crea ricchezza, ma allo stesso tempo si diverte anche, perché l’attività gli piace. Secondo De Masi, questa condizione, che un tempo apparteneva a pochissime persone, oggi riguarda il 70% dei lavoratori. Al tempo di Marx era solo il 6%. Insomma, per usare le parole di De Masi “l’ozio creativo è l’unione di lavoro con cui produciamo ricchezza, di studio con cui produciamo sapere e di gioco con cui produciamo allegria. L’insieme di queste tre cose dà origine a quelle che possiamo chiamare ozio creativo”. Si lavora senza accorgersi di farlo. D’altra parte se non ci si diverte non succede nulla e niente come questo concetto è più consono all’ arte, allo sport, alla musica, alla scrittura, al teatro, alla danza. Tanti gli allievi che hanno lasciato un ricordo oggi per il loro docente poichè il Maestro è generoso, offre aiuto, suggerimenti, ispirazione dentro e fuori l’aula, segnala svolte e insegna prospettive, indica una via e la illumina, col proprio esempio, col proprio “fare”, col proprio porsi sempre in gioco, instilla il dubbio, che è la via per uscire dalla “selva”, un passaggio sicuro fatto di pochi principi chiari, su cui procedere, lavora indefessamente con severità, nella costruzione del sapere, senza mai aggobbire sotto sistemi pre-confezionati, verso sempre nuovi traguardi, conquistati in prima persona. La ricompensa è l’onore di trasmettere qualcosa, di accendere una scintilla in chi viene dopo, un piacere puro, “gratuito”, quindi, impopolare. L’Ozio creativo è quel “fare” che in greco si traduce “poiein” in ma in senso specifico anche “creare poesia”: un doppio significato che rende bene quella sintesi di spirito creativo e di sensibilità artistica. Con queste ragioni estetiche ci porremo in viaggio alla ricerca della Gioia, di Gaia, joie, che è in connessione con gaudium e che a sua volta proviene da getheo (gioire)e si compone del ghe della terra e del theo brillare, ma anche del muoversi, rapidamente. La gioia, però, ha anche la stessa radice di giocare, mentre la terra di γιγνώσκω, quindi di suonare e recitare, se intendiamo giocare come play. Per i Romani l’otium era il tempo libero da dedicare alla creatività, ma oggi è possibile parlare ancora di ozio creativo? Secondo De Masi è proprio in questo tipo di società che il concetto sprigiona tutta la sua potenza. Nella società post-industriale in cui la creatività predomina sulla manualità, i confini tra lavoro, studio e gioco devono fondersi. Il lavoro è diventato molto più flessibile proprio quando è diventato prevalentemente intellettuale. “Purtroppo, con la parola lavoro indichiamo occupazioni diverse. Il minatore lavora, il giornalista lavora. Bisognerebbe utilizzare due parole diverse. Per il lavoro intellettuale si dovrebbe parlare non di lavoro ma di ozio creativo. Non a caso i Romani utilizzavano i termini otium e negotium”. L’otium infatti non era associato ad una situazione di passività bensì ad un tempo libero dalle occupazioni della vita politica e dagli affari pubblici, nel quale era possibile aprirsi alla dimensione creativa.Il presupposto dell’ozio è la serenità. Se una persona è serena, si diverte a lavorare e sta bene con coloro che lo circondano, lo spazio per l’ozio è infinito. In questo senso, l’opposto dell’ozio è la preoccupazione. Inoltre, sempre secondo il sociologo, si ozia meglio in un contesto in cui tutti sanno oziare. Il motivo è semplice: chi non sa oziare odia quelli che oziano. In conclusione, Mimmo De Masi propone la sua ricetta dell’ozio creativo. “Bisognerebbe ridurre l’orario di lavoro a quindici ore settimanali per far diminuire la disoccupazione. Quindi, parità, ascolto, democrazia, amicizia, emozione saranno gli ingredienti di un giusto luogo di lavoro come di esecuzione che ci dovrà fare intravvedere il nuovo mondo. A noi orfani di Domenico De Masi il compito di continuare a muovere le emozioni che abbiamo vissuto, i rapporti saranno nuovamente possibili, grazie alla differenza e al dialogo, che si risolverà in discorsi, racconti d’Amore, ozio creativo, unico viatico valido per il futuro dell’ Umanità.