di Oreste Mottola
“In un certo senso la dieta mediterranea non è mai esistita.”. Tre celebri professori smontano la retorica sulla nostra tradizione alimentare: “è solo mitologia” Sono l’antropologo Vito Teti, più conosciuto come il teorico della “Restanza”, e lo storico John Dickie assieme ad Alberto Grandi. Vito Teti: “Per gli abitanti del sud Italia, ancora all’inizio degli anni Cinquanta, l’olio d’oliva era una rarità, il condimento era il grasso di maiale. Del grano non parliamone, si usava concedere il pane bianco – il cosiddetto “pane re grano”a chi era sul letto di morte” Alberto Grandi: “Nell’Italia meridionale non esistevano le malattie cardiovascolari diffuse nella società statunitense perché, molto banalmente, la nostra gente mangiava poco, era denutrita”. Era il 1954, quando il professore Sabato Visco dopo aver condotto un’indagine sul campo a Rofrano, profondo entroterra cilentano, documentò come questo fosse il comune più povero d’Italia, osservandone le quantità e qualità dei cibi a disposizione della popolazione. John Dickie osserva: “Nel 1975 Ancel Keys nella prefazione del suo libro ‘La dieta mediterranea’ dice chiaramente che questa non rispecchia la realtà, ma è un ideale. Questa formula però cominciò ad avere successo e cambiò l’idea degli italiani sulla loro cucina…” “Olio, grano, vino: i prodotti cosiddetti tipici della dieta mediterranea erano pochissimo o per nulla consumati dai ceti popolari, e non solo da loro. Essi dovevano essere venduti, per trarne qualche misera moneta. Per gli abitanti del sud Italia, della Campania, della Calabria e di altre aree del Mediterraneo, ancora all’inizio degli anni Cinquanta l’olio d’oliva era una rarità e il condimento era il grasso di maiale. Anche il vino era molto raro e di pessima qualità. Del grano non parliamone, perché addirittura era in essere l’usanza di concedere il pane bianco a chi era sul letto di morte”.
A parlare è Vito Teti, uno dei più grandi antropologi del nostro Paese, autore di testi fondamentali di storia dell’alimentazione. Il professore – a lungo ordinario di Antropologia culturale all’Università della Calabria, fondatore e direttore del Centro “Antropologie e Letterature del Mediterraneo” – definisce “invenzione” tutto il riferimento alla tradizione e alla tipicità di cui noi italiani ci facciamo vanto. “I ceti popolari aspiravano a questo tipo di alimentazione da cui erano esclusi, e soltanto negli anni Sessanta, dopo il boom economico, cominciò questo accesso al grano, all’olio e al vino. Poi le cose andarono migliorando sempre più”.
Con un paradosso però, come spiega Teti, perché “in un certo senso la dieta mediterranea non esiste mai. Non esisteva nel passato, perché si basava su invenzioni, mitologie, ricostruzioni fatte a posteriori. Una giustificazione dell’atavica condizione di penuria, sì era la “fame mediterranea”. Non esiste oggi perché le persone tendono a mangiare in abbondanza, a consumare in eccesso anche i cibi che fanno male, e quindi ad ammalarsi e ad essere obesi…senza dimenticare che l’obesità di oggi è una malattia, mentre in passato, quando quei cibi non c’erano, l’obesità era segno di benessere, bellezza, vigoria fisica.”
Un’invenzione, dunque. Per di più, di un americano, Ancel Keys, che coniò anche l’espressione “dieta mediterranea”. Spiega Alberto Grandi, professore di storia dell’alimentazione all’Università di Parma, padrone di casa con Daniele Soffiati di “DOI”, il podcast che ha raggiunto milioni di ascolti smontando la narrazione che circonda la nostra cucina: “Fu il fisiologo Ancel Keys a notare, dagli anni Cinquanta del Novecento, come le malattie cardiovascolari molto diffuse nella società nordamericana fossero quasi del tutto sconosciute in alcune aree dell’Italia meridionale, che lui aveva iniziato a frequentare insieme alla moglie Margaret durante il suo soggiorno a Pioppi, non troppo distante da Rofrano. .
Da qui la curiosità scientifica di comprendere se vi fosse un collegamento tra quello che si mangiava da quelle parti e il basso livello di colesterolo che si riscontrava in quelle comunità. Il collegamento c’era, ma molto banalmente stava nel fatto che la nostra gente mangiava poco, era denutrita. Quello che Keys e il suo team di ricercatori scoprirono era il mondo della fame. Quando arrivarono nel Cilento, in Calabria e nelle zone interne della Sicilia dovettero fare i conti con la fame nera e con gli occhi sporgenti e lucidi di bambini denutriti. I contadini che non avevano nulla da mangiare provavano difficoltà, disagio e vergogna a vedersi osservati dai ricercatori. Massimo Cresta, che partecipò a quelle ricerche, racconta la delusione dell’intera equipe quando comprese che la dieta mediterranea che si consumava nel Cilento 60-70 anni fa non era a base di olio d’oliva e di frumento, ma di castagne, granoturco e grasso di maiale”. E a proposito del famoso “Museo vivente della dieta mediterranea” a Pioppi, in provincia di Salerno, Grandi lo paragona alla biblioteca di Babele di Borges, il labirinto in cui sono conservati tutti i libri del mondo: non solo quelli che sono stati scritti, ma anche quelli che si sono persi, quelli che saranno scritti e quelli che non lo saranno mai. Insomma, la dieta mediterranea è qualcosa che avrebbe potuto esistere e che molte persone vogliono fortemente che esista…Un ulteriore contributo alla puntata lo dà John Dickie, Professore in Studi Italiani all’University College of London, scrittore e autore di programmi tv di successo come “De Gustibus – l’epica storia degli italiani a tavola”. “Nel 1975 – spiega lo storico – Ancel Keys ripubblica un libro di ricette uscito anni prima (‘Come mangiare bene per stare bene’) con un nuovo titolo, che si presta a catturare la fantasia del pubblico, sia anglofono che italiano. Il titolo è appunto ‘La dieta mediterranea’. Nella prefazione del libro Keys dice chiaramente che la dieta mediterranea non rispecchia la realtà di ciò che i popoli del mediterraneo mangiavano: è un ideale. Questa formula però cominciò ad avere successo e iniziò a cambiare l’idea degli italiani sulla loro cucina…” Alberto Grandi e Daniele Soffiati raccontano la vera storia della cucina italiana sdoganando alcuni celebri falsi miti. Ha fatto parlare di se anche all’estero, con la discussa intervista rilasciata da Grandi e Soffiati al Financial Times che ha aperto un dibattito anche in Italia. In ogni puntata i due autori mostrano come la ricerca storica quasi sempre smentisca le origini arcaiche delle nostre specialità culinarie e come molte ricette a cui attribuiamo radici antichissime siano in realtà invenzioni recenti.