Dalle aule dell’Università di Salerno agli ambulatori dell’Africa - Le Cronache
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Dalle aule dell’Università di Salerno agli ambulatori dell’Africa

Dalle aule dell’Università di Salerno agli ambulatori dell’Africa

di Clemente Ultimo

Dalle aule dell’Università di Salerno agli ambulatori dell’Africa subsahariana per sostenere la vita che nasce, tra difficoltà semplicemente inimmaginabili per chi vive la sua quotidianità nella realtà italiana. È questo il cuore dell’iniziativa che offre la possibilità alle giovani ostetriche di vivere un’esperienza di cooperazione internazionale in Etiopia o in Sud Sudan, grazie al progetto “Prima le mamme e i bambini” sviluppato dalla Fondazione Rachelina Ambrosini in collaborazione con l’associazione Medici con l’Africa Cuamm. Iniziativa cui il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Salerno ha aderito nel 2018. Nell’ottobre di quell’anno, infatti, è partita per la prima volta verso l’ospedale St. Luke di Wolisso, in Etiopia, una delle giovani neolaureate presso il corso di laurea in Ostetricia.

«Uno dei punti focali del nostro impegno in Africa – sottolinea Tommaso Maria Ferri, presidente della Fondazione Ambrosini – è dedicato al contrasto di uno dei problemi più gravi con cui sono costretti a confrontarsi numerosi Paesi del continente: l’altissimo tasso di mortalità infantile. Di qui l’idea di stipulare accordi con le Facoltà di Medicina degli atenei italiani per inviare ostetriche nelle strutture mediche africane coinvolte nel progetto, così da lavorare alla formazione del personale e locale e, nel contempo, prestare la propria attività negli ambulatori e negli ospedali».

Attualmente le giovani ostetriche laureatesi presso l’Università di Salerno affrontano la propria esperienza di cooperazione internazionale presso l’ospedale St. Luke di Wolisso in Etiopia – una struttura realizzata dagli italiani, a circa 200 chilometri dalla capitale Addis Abeba – e in Sud Sudan. Oltre alle strutture ospedaliere ci sono, ovviamente, ambulatori e dispensari, dove le condizioni operative sono decisamente più difficili e precarie.

«In questi casi – spiega il presidente della fondazione Ambrosini – le giovani ostetriche sono costrette ad intervenire senza strumenti, in condizioni inimmaginabili in Italia: un’esperienza sul campo molto importante. Sono quaranta giorni davvero intensi (tanto dura la missione africana per le ostetriche, nda), anche sotto il profilo meramente quantitativo: basti pensare che l’ultima delle ostetriche partite da Salerno in poco più di un mese ha gestito circa 150 parti».

Il filo che lega la Fondazione Ambrosini all’ateneo salernitano non riguarda solo la Facoltà di Medicina, ma anche il Dipartimento di Scienze Politiche. In questo ambito è nato il Laboratorio di Cooperazione Internazionale, esperienza che messo in contatto gli studenti con testimoni in grado di raccontare la propria esperienza maturata nel vasto mondo della cooperazione, un bagaglio di esperienze che investe gli aspetti più diversi, in grado di offrire una panoramica completa.

«Tra i nostri obiettivi – dice Tommaso Ferri – c’è sempre stato anche quello di offrire ai giovani del Mezzogiorno opportunità che altrimenti non avrebbero, a differenza dei loro coetanei settentrionali. È per questo che siamo costantemente impegnati nella costruzione di una rete di collaborazioni che ci consente di offrire, in modi diversi, il meglio delle esperienze maturate in Italia ed all’estero, così da arricchire il loro bagaglio e la loro preparazione. Questo per noi è un obiettivo che non ammette deroghe. Peccato, però, che non sempre il nostro territorio si sia dimostrato attento a recepire questa disponibilità: è un fatto che ad oggi le richieste di collaborazione indirizzate alla nostra fondazione arrivino prevalentemente dall’asse Torino – Padova».

A dispetto di ritardi e “distrazioni”, non mancano certo esempi virtuosi di costruzioni di una rete di collaborazione che non conosce barriere, arrivando anche a coinvolgere il mondo carcerario. Nei reparti femminili di tre carceri – Roma, Benevento e Reggio Calabria – sono sorte delle scuole di cucito che realizzano, tra l’altro, un capo di abbigliamento davvero particolare: dei cappellini di lana per neonati. Cappellini che le ostetriche che partono per l’Africa nell’ambito del progetto “Prima le mamme e i bambini” provvedono a consegnare.

«Può sembrare paradossale inviare indumenti di lana nei Paesi subsahariani – spiega il presidente Ferri – eppure questi cappellini e le babbucce sono dei presidi salvavita per molti neonati prematuri. Ma partiamo dall’inizio: alcuni anni fa, in maniera del tutto casuale, il dottor Dell’Oglio (fratello del sacerdote scomparso in Siria nel 2013, nda) mi fece notare come gestire un parto prematuro in un dispensario privo della strumentazione più elementare, figurarsi di un’incubatrice, è estremamente difficile, eppure un contributo fondamentale poteva arrivare da un semplice cappellino di lana e da un paio di babbucce: riscaldare le estremità può contribuire a salvare un prematuro. Di qui è partita una piccola mobilitazione che oggi ci consente di mettere in rete realtà così diverse, unite per sostenere la vita».