di Andrea Pellegrino
“Da processo Amato siamo finiti a processo Del Mese”. L’ex deputato e già sottosegretario sintetizza cosi le ultime battute del processo sul crac del pastificio Amato. La scorsa settimana l’ultima udienza con l’esame dell’onorevole Paolo Del Mese, richiesto dalla difesa; l’8 febbraio la requisitoria del pm e della parte civile. Poi, seguiranno le arringhe difensive e quindi la sentenza.
Onorevole Del Mese, siamo giunti alle battute finali. Lei ha sempre detto che si è trattato e si tratta di un processo mediatico… «Mi sento un cittadino che sta subendo da anni una specie di linciaggio mediatico per vicende che invece dovrebbero essere ristrette ad argomenti specifici e ben delineati. Dico che è un processo mediatico per un motivo molto semplice e mi limito a constatare la parte iniziale del procedimento penale: mi riferisco all’istanza di custodia cautelare emessa nei miei confronti, impregnata da una filosofia sconcertante e non veritiera, in quanto si riferisce a fatti ed eventi completamente inesistenti».
Come ad esempio? «Il decreto salva banche. Si afferma una sorta di soggezione nei miei confronti da parte delle banche per aver emanato il provvedimento. La verità è che il decreto salva banche è dell’ottobre 2008, emanato dal governo Berlusconi, quando io avevo cessato le funzioni non solo di presidente della Commissione Finanze, ma addirittura di parlamentare fin dall’aprile 2008. Ma è da quel provvedimento che la Procura fa delle valutazioni, descrivendomi come una persona “con spiccata capacità a delinquere, famelico, ingordo”. Ma non solo” il colonnello Mancazzo fa valutazioni anche sulla mia persona, spingendosi a mettere in discussione il mio operato di uomo delle istituzioni. Ma come si permette! Tra l’altro il colonnello non si è mai presentato in udienza, nonostante fosse il primo estensore dei verbali di accertamento. Ed è proprio in virtù di questa considerazione, per lasciarlo alla storia e agli atti, che durante il mio interrogatorio mi sono soffermato molto su tutto il mio operato politico e professionale, mettendo in evidenza come le considerazioni fatte sul mio conto non avessero alcun fondamento, ma si basavano solo sulla necessità di trovare un capro espiatorio mediatico sulla questione Amato. Tant’è che ad oggi sembrerebbe che l’unico imputato di questa vicenda sia il sottoscritto, avendo patteggiato tutti gli appartenenti alla famiglia Amato, ad eccezione del compianto Cavaliere Giuseppe Amato, purtroppo deceduto. Per cui da processo Amato, oggi, mediaticamente, si parla di processo Del Mese».
Ma oltre il Salva Banche quali sono gli altri elementi posti a base della tesi accusatoria sin dalle indagini preliminari? «L’attribuzione di emissioni da parte mia di alcuni assegni dal valore di 420mila euro cadauno, di cui non ce n’è neppure uno, neanche di importo minore, acquisito agli atti; l’esistenza di 10 conti correnti bancari di cui appena 3 realmente esistenti, attribuzione di movimenti di somme in contanti, mai provate, anzi ho dimostrato l’inesistenza; mastrini della ditta Amato incomprensibili, contraddittori e non veritieri, alcuni di essi addirittura manomessi, basta considerare che ogni azienda deve avere un solo mastrino, ma nel caso di specie nessuno ha accertato il motivo per cui ci fossero ben tre mestrini e perdi più uno diverso dall’altro; ed ancora, attribuzione di somme date ad altri soggetti con cui io non c’entro niente; rilevanza data a contraddittorie dichiarazioni nei miei confronti rese da coimputati che, pur di giustificarsi hanno scaricato su di me vicende e responsabilità inesistenti, così come è poi emerso nel dibattimento. C’è da dire che la legge prevede che la pubblica accusa non solo deve acquisire le prove contro l’imputato ma anche quelle a favore e naturalmente il mio disappunto è dovuto al fatto che non sono state presi in considerazione tutti gli elementi documentali a mia discolpa, sottoposti all’attenzione del P.M., del GIP e del Tribunale del Riesame, dalla mia difesa. Elementi che smentiscono documentalmente tutti i rilievi mossi nei miei confronti. Anzi mi hanno tenuto addirittura agli arresti domiciliari per un anno, con un pm che ha dato parere sfavorevole ad ogni mia richiesta, comprese quelle che riguardavano il mio stato di salute, in quanto in quel periodo sono stato ricoverato in un ospedale per un intervento chirurgico, subendo addirittura perizie sul mio stato di salute da parte di medici nominati dal Tribunale e dallo stesso P.M.. Tra l’altro sono stato l’unico a non essere stato interrogato prima dell’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare. In verità, l’interrogatorio in un primo momento fu fissato e poi annullato dallo stesso Pm, poi ci sono state richieste verbali da parte della mia difesa al fine di ottenerlo, richieste mai accolte. In questo modo molte cose potevano essere chiarite prima. Come ad esempio i miei contatti col curatore, per definire l’importo del mio debito nei confronti di Giuseppe Amato e non del Pastificio. Preciso: era un prestito personale di cui disconoscevo soltanto il quantum ma non il “se”. Ricordo trecento accessi della Guardia di Finanza per i controlli, piantonamenti in ospedale, assistenza da parte di un agente di polizia penitenziaria durante la mia “confessione”, con un esisto sorprendente per l’agente che ascoltava, in quanto il monaco mi assolse immediatamente da ogni peccato. Ho subito un anno di custodia cautelare che non è stata quasi mai applicata ad imputati dello stesso reato, in tuta Italia. Rilevo, dunque, un accanimento quasi terapeutico nei miei confronti da parte dell’accusa che non ha eguali. Accanimento che inizia con la conferenza stampa tenuta dalla Procura all’inizio del procedimento. In quell’occasione mi fu attribuito un’appropriazione di circa cinque milioni di euro dalle casse del pastificio….sic! Un processo sulla mia vita».
Ma cosa c’entra con il fallimento del Pastificio? «Nulla. Io ho chiesto ed ottenuto da Giuseppe Amato, non dal pastificio (con cui non ho mai avuto nulla a che vedere), un prestito personale tutto tracciabile che non ha nulla a che vedere con l’attività e le vicende del pastificio Amato. Si tratta di un fallimento di circa 200 milioni di euro, al quale avrei concorso con il succitato prestito personale di dimensioni irrisorie la cui entità è oggetto di accertamento civile. Vengo accusato di aver concorso con questo prestito al fallimento, appare superfluo ogni commento. Ma che c’entro io con il fallimento del pastificio Amato? Del resto, se avessi avuto tutto questo potere sulle banche, per quale motivo i soldi non avrei dovuto farmeli prestare da loro? Questo sembra ovvio. Un processo kafkiano. La verità è che si stanno svolgendo due processi: uno mediatico sulla mia vita e un altro relativo al prestito». Come andrà a finire? «Sono sereno con la mia coscienza e sono convinto che la giustizia divina, come ho già detto diverse volte, alla fine è sempre prevalente.
Come andrà a finire? Nel corso del dibattimento il quadro accusatorio è stato smontato. Sono consapevole, come ho già detto che c’è stato troppo effetto mediatico sulla vicenda, con l’entrata in scena di personaggi di altissimo livello per cui non mi illudo. Tuttavia visto l’andamento processuale, le modalità con cui il dibattimento è stato condotto, con ampio spazio per tutte le difese, ho fiducia nell’operato della giustizia e, pertanto, mi rimane uno spiraglio di speranza. Mi auguro di non sbagliarmi».