Antonio Manzo
Ad impensierire il consigliere di minoranza di Casal Velino, all’ingresso del palazzo di giustizia di Vallo della Lucania, non è tanto lo scatolone di documenti del Sistema che amministra il suo comune, amministrato da chi è finito agli arresti qualche anno fa a partire dal sindaco Silvia Pisapia e complici di giunta, funzionari e via dicendo. Ma ad impensierirlo è il balletto delle udienze del tribunale che sembra voler stendere sui tempi processuali per la sentenza l’ombra della prescrizione. Cioè cancellare i reati, far finire tutto a tarallucci e vino l’inchiesta penale tra ipotesi si corruzione e truffa con il denaro pubblico.
E’ il Cilento oggi, Anno Santo 2025. Cose che capitano a Santa Marina di Policastro, la “capitale” della invenzione della macchina conta-soldi per verificare le tangenti al Comune a Camerota, capoluogo dell’abusivismo edilizio, oppure quel che avviene a Sapri, la città della Spigolatrice che ignara troneggia in una bella statua di bronzo sul lungomare e sul porto delle risse e degli affari. O Montecorice, capitale della illegalità taciuta dove è saltato il mega-investimento, avversato da Angelo Vassallo, dell’imprenditore nolano Luigi Nusco.
Non ci sono statisti in giro nei piccoli comuni cilentani, ma solo dei sopravvissuti delle istituzioni declassate dallo spopolamento ma ben confortate dal silenzio colpevole e mascherato.
Corruzione e truffa
Per l’inchiesta di Casal Velino, cinque miliardi della Regione volatilizzati per una inesistente area Pip (piano insediamenti produttivi) che ha assicurato solo parcelle milionarie ai progettisti di una “cricca” fortunata che governa il Consac (consorzio cilentano delle acque)
A nulla varrà il lavoro dei pubblici ministeri e, soprattutto il meticoloso racconto investigativo fatto di carte e intercettazioni di un coscienzioso maresciallo dei Carabinieri della frazione Acquavella di Vallo della Lucania trasferito per conflitto di interessi dalla sua stazione di servizio ad un luogo imprecisato che lo tenesse lontano dalla presidenza della locale squadra di calcio del paese. Davvero incredibile la motivazione del Paese governato da decenni in un plateale e continuo conflitto di interessi maturato da molti vertici delle istituzioni a partire dagli anni Ottanta.
L’Italia così va: tra paura della prescrizione dei processi e la realtà punitiva fondata sul rigorismo assurdo fatto pagare al carabiniere che ha fatto il suo mestiere e dovere.
I tre nuovi business
Ma che amministrare può diventare anche uno scherzo lucroso, è dato anche dalla inutilità della lezione offerta dalla magistratura vallese. Dalla data degli arresti ad oggi sono continuate le presunte illegittimità in materia edilizia e immobiliare.
Tre esempi.
Il primo. Il piano urbanistico attuativo approvato dalla giunta di Silvia Pisapia che apriva la strada alla realizzazione di un complesso alberghiero alla foce del fiume Alento, in località Isola. Una iniziativa proposta dalla Forno srl, impresa di Poggiomarino riconducibile ad Andrea Forno. Il 14 dicembre 2020 l’area è stata sottoposta a sequestro preventivo da parte della Procura della Repubblica di Vallo della Lucania.
Secondo. La variante al piano regolatore generale denominata Villa Comunale per consentire la costruzione di 54 ville in una zona che era di proprietà della Polito costruzione fallita e poi finita nella mani di Aniello Saviano, genero di Giuseppe Bertolini re del cemento di Ascea condannato per bancarotta fraudolenta.
Terzo. La lottizzazione Adrisani, nome legato da strettissima parentela al boss scomparso Mario Fabbrocino, su un vecchio capannone in disuso e due fabbricati. Sarà un residence con alloggi turistici a pochi passi dal mare, ma la costruzione è iniziata al vertice della proprietà non compresa in una zona rossa di rispetto del Parco. E’ tutto in zona agricola con un residence di lusso perfino mascherato dalla previsiome di una quota per famiglie indigenti.
L’inchiesta e gli arresti
«Un meccanismo consolidato di gestione privatistica dell’ente pubblico». La Procura della Repubblica di Vallo della Lucania etichettò così il 30 gennaio 2018, i 13 arresti al Comune di Casal Velino, cinquemila abitanti nel Cilento.
A Casal Velino, secondo l’ipotesi della Procura, che sarà confermata o smentita dal prosieguo della vicenda giudiziaria, amministratori comunali e tecnici avrebbero trasformato l’attività amministrativa in una incessante ricerca di benefici e vantaggi privati., tra le quali il sindaco, che è un avvocato amministrativista, funzionaria del Consorzio Consac, e si chiama Silvia Pisapia. L’inchiesta affonda le sue radici nel 2006 e per la quale sono imputati l’ex sindaco Domenico Giordano ed i responsabili dell’ufficio tecnico comunale Domenico Pinto ed Angelo Gregorio. Avrebbero presentato alla Regione Campania false manifestazioni di interesse da parte di privati che sarebbero stati interessati all’acquisto di lotti nell’area pip. Firme fasulle di persone ignare. Tutto ciò perché, senza quelle manifestazioni d’interesse, il Comune non avrebbe potuto incassare i circa 5 milioni di euro destinati da Palazzo Santa Lucia alla realizzazione del piano di insediamento produttivo. Per lo stesso motivo, secondo la Procura, il sindaco Pisapia deliberò che le aree erano state già espropriate.Ma tutte le aree, sostengono gli inquirenti, sono al centro di un falso i perché a quella data 26 lotti su 29 non erano stati espropriati e non erano più espropriabili a causa della decadenza del vincolo espropriativo
In questo contesto, s’inquadra anche il reato di peculato che sarebbe stato commesso da Luigi Rispoli, progettista e direttore dei lavori del Pip, nonché presidente della Consac spa, società di gestione idrica a capitale interamente pubblico. Rispoli – è la tesi della Procura – avrebbe prelevato dalla Consac 191.068 euro e con essi avrebbe acquisito un lotto. Al pagamento al Comune, però, non sarebbe mai conseguita la stipula dell’atto pubblico e l’effettiva acquisizione del lotto da parte della Consac. L’ipotesi degli inquirenti – che sarà verificata nel prosieguo della vicenda penale – è che la somma sia alla fine tornata nella disponibilità di Rispoli.
L’ombra della prescrizione
Che vi sia l’ombra della prescrizione del processo al sindaco Pisapia c’è fin dall’udienza preliminare fissata dal gup il 13 ottobre 2019 ma che rischiò di saltare ancor prima di cominciare perché il primo avviso inviato agli imputati dall’ufficio del giudice per le indagini preliminari recava l’anno 2019. Data poi corretta. Ma che le date ballino a piacimento sul calendario del tribunale di Vallo è dato anche dall’ultimo errore compiuto per la prossima convocazione al processo dei tecnici del Genio Civile
Le mani sul porto
Il sindaco Silvia Pisapia entra in scena nella vicenda dell’affidamento alla cooperativa Marine Service dei servizi portuali, di manutenzione e raccolta rifiuti. Insieme a Lucio Esposito, il responsabile dell’ufficio economico finanziario di Casal Velino, a Pasquale Cammarota, a capo dell’ufficio tecnico – amministrativo ed a Giuseppe Schiavo, il responsabile della Polizia Municipale, Pisapia avrebbe affidato direttamente a Marine Service i servizi senza consultare, come avrebbero dovuto fare per legge, almeno cinque operatori di mercato.
Il tutto anche attraverso il frazionamento artificioso degli appalti allo scopo di non oltrepassare la soglia dei 40.000 euro oltre la quale è vietato l’affidamento diretto senza interpellare altre società ed imprese.
Come contropartita – ipotizzò l’inchiesta – Angela Lista, referente di Marine Service, avrebbe assunto nella sua società persone indicate dalla maggioranza. Lo stesso meccanismo delittuoso – è la tesi della Procura – avrebbe regolato i rapporti tra il sindaco, l’assessore Giovanni Cammarota e Raffaele Cammarano. Quest’ultimo amministratore della Cilento Mense, affidataria senza gara e senza che fossero stati mai consultati altri operatori economici della refezione nelle scuole di Casal Velino dal 2016 in avanti per un importo di circa 178.000 euro.
Cammarano avrebbe in cambio assunto in Cilento Mense persone indicategli dal sindaco e dall’assessore. I ti dò un appalto, e tu mi dai posti di lavoro. Così il diritto al pane quotidiano viene trasformato in un piacere elettorale, se non mafioso.





