Conflitto d’interessi e Leone XIV. C’è ancora la speranza - Le Cronache Ultimora
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Conflitto d’interessi e Leone XIV. C’è ancora la speranza

Conflitto d’interessi e Leone XIV. C’è ancora la speranza

Aldo Primicerio

La vita è un susseguirsi di accadimenti paralleli, spesso avversi. Che sembrano appaiati e simmetrizzati nel farti perdere ogni speranza. Il caso, o qualcos’altro, chissà. E poi – forse capita anche a molti – ecco che la vita rivela la sua straordinarietà, nel concatenarsi di risposte capaci di ridarti quella speranza che appariva perduta.

Partiamo dagli antefatti, da due morti. Quella giuridica dell’abuso d’ufficio decretata dalla Corte Costituzionale, e quella fisica del grande Papa Francesco decretata da età e malattie. E da due risposte, nate la prima dalle pieghe del diritto, la seconda dalle mosse geniali del Conclave. Ecco la simmetria.

 

Simmetria 1. La morte dell’abuso d’ufficio. E poi la luce del conflitto d’interessi, tra la funzione pubblica e l’interesse personale. C’è ancora la speranza

Tutto nasce dalla sentenza dell’Alta Corte sulla non-incostituzionalità della legge 114/2024, la Nordio, quella che ha abrogato dal Codice Penale il reato di abuso d’ufficio. Una sentenza secca, stringata, che esclude qualsiasi obbligo internazionale, altrove invece riconosciuto, di mantenere il reato. Sembrava una questione chiusa, con tanti rammarichi ed anche tanti perché. Ed invece la sentenza della Consulta ne ha aperto una nuova. Perché esclude sì la violazione costituzionale, ma mantiene integro l’art. 6-bis della legge 241/1990, quello che norma e vieta il conflitto d’interessi. E qui nessun vincolo costituzionale, nessun paletto etico. E’ un cluster giuridico preciso. Perché il responsabile di una decisione amministrativa – un ministro, un governatore regionale, un sindaco, un assessore, un dirigente pubblico od anche privato – ha l’obbligo di astenersi in caso di coflitto d’interessi. Un Procuratore della Repubblica, un suo Sostituto hanno quindi spazio e dovere di approfondire e di potersi muovere.

L’abuso d’ufficio puniva l’arbitrio, l’intenzione di procurare un vantaggio ma anche un danno. Il conflitto d’interessi è invece il clou della incompatibilità morale tra funzione pubblica ed interessi personali. Insomma non si ha più l’obbligo di dimostrare intenzioni. Perché è sufficiente vi sia la commistione tra chi decreta in un atto e chi ne trae vantaggio. Lo scrive con esattezza giuridica Daniela Mainenti, professore di diritto processuale penale comparato a Economia e Commercio in Uninettuno, autorevole ateneo telematico a Roma.

Se è così, caro Carlo, hai fatto un buco nell’acqua, perché sei punto ed a capo. E quando te ne tornerai a casa, ormai non manca molto, ci sarà occasione per riaggiustare tutto, e riallinearci alle norme sull’abuso d’ufficio in vigore in tutto il mondo. Ma, attenzione, forse non ce ne sarà neanche bisogno. Quell’abuso d’ufficio, diciamocelo, non mai stato un punto fermo. Era una norma imperfetta, mai declinata come si doveva, troppo superficiale e indeterminata, e quindi velenosa e indisponente verso il sistema amministrativo e politico. Ma restava comunque un linfonodo nel corpo statale, una sentinella, che avvertiva sull’insidia di una neoplasia, del cancro minaccioso nel corpo dell’imparzialità. Dopo la sentenza molti hanno esultato, altri temuto un Far West politico-amministrativo. Ma Meloni, Nordio, Salvini, Renzi ed altri sono tutti in errore. Pensano che tutto si giochi sempre sul terreno del penale. Ed invece non è solo una questione di sanzioni, ma anche e soprattutto di prevenzione, di coerenza e di serietà morale della politica, ammesso che ce ne sia in quella di oggi.

 

Simmetria 2. La scelta di Leone XIV risposta del mondo cattolico alla politica del “grande bastone”, dell’absolutismo di molte destre. C’è ancora la speranza

Molti l’hanno letta così. La discesa in campo di un pontefice come Robert Francis Prevost è una risposta etica, culturale ed anche politica a chi vuole imporre sovranismi, populismi a senso unico, soliloquismi monologistici. Non si spiegherebbero diversamente espressioni come “pace disarmata e disarmante” o “ponti da costruire per il dialogo”. Espressioni accolte con interesse anche da Putin e persino da Xi Jinping, inascoltabili invece solo dagli sciocchi. Tra i quali, spiace dirlo, dobbiamo includere Merz e von der Leyen, che il giorno dopo l’ascesa di Leone hanno ripreso a parlare di riarmo a tutta forza. Demenza politica, o demenza e basta? Insomma solo ieri temevamo per il Non più Francesco, ed oggi dobbiamo ricrederci. Lo dobbiamo con il primo Papa statunitense, il primo che abbina participi passati e presenti, il primo che saluta nelle tre lingue della sua triplicità personale, la natività inglese, la missionarietà peruviana, la oririginarietà italiana. Ma soprattutto il Papa che sceglie di abitare dov’era Francesco, che lascia invariate le sue scelte, che lo ricorda commosso mentr’era sofferente ma coraggioso nella benedizione pasquale. Pur nella sua acutezza, Bergoglio non avrebbe mai immaginato una successione del genere.  E non avrebbe mai immaginato che il suo nome rimanesse inciso – come scrive il vaticanista Marco Politi – nella storia di tre momenti difficili di tre epoche epoche complesse. Il primo momento nel 1978, quando i cardinali eleggono il primo Papa polacco Karol Wojtyla per rompere lo schema della guerra fredda Est-Ovest. Il secondo nel 2013, quando il Conclave sceglie in Jorge Maria Bergoglio il primo Papa latino americano di un mondo sempre più globale. Ed il terzo nel 2025, allorché elegge il primo Papa statunitense Robert Francis Prevost, si dice anti-Trump ed anti-Vance. Il Papa che – ad un mondo che si riarma per un possibile conflitto senza vincitori e senza vinti, verso la distruzione di ogni forma di vita del pianeta – annuncia una nuova sorprendente agenda agli autocrati della Terra. Insomma un Conclave che sembra segnare una svolta, una nuova epoca e, che in un momento così difficile, mostra il suo straordinario equilibrio. Ed anche una grande maturità, quando persino il grande candidato Parolin preferisce abdicare ed orientarsi, lui d il suo gruppo, verso un uomo fatto di polvere e di umiltà. E Politi, davvero unico nei confronti, accomuna i tre pontefici. Karol l’ex operaio nelle cave di pietra, Jorge Maria frequentatore delle bidonvilles di Buenos Aires, e Robert Francis umile missionario nelle lande peruviane della mafia e del traffico di cocaina. Va detto. Lo svolgimento degli eventi ha ribaltato ogni critica verso la Chiesa cattolica. Che ha saputo zittire tutti preferendo un pontefice missionario avvezzo al sudore ed alla polvere ad un curiale colto e diplomatico. E qui Francesco ha avuto ragione. Lo aveva scelto come prefetto dei Vescovi e selezionatore dei candidati alla carica episcopale, insomma un interprete della “Chiesa che cammina”.

Ed infine quel “chi ha potere si faccia piccolo”. Una grandezza, una immensità di pensiero cui è impensabile arrivi chi pensa a riarmarsi o, peggio, a concordare l’Albania come partenza del Giro d’Italia alla vigilia delle elezioni politiche a Tirana. Che bassezze, un abisso. D’altronde, come può farsi piccolo chi già lo è?