Ci hai trasmesso la tua passione, ora ci sentiamo più soli - Le Cronache
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Ci hai trasmesso la tua passione, ora ci sentiamo più soli

Ci hai trasmesso la tua passione, ora ci sentiamo più soli

di Tommaso D’Angelo

Per tutti eri Marta. Per me eri Martina. Era il nome con cui me l’aveva presentata don Luigi, l’amatissimo parroco di San Felice in Felline. Non l’ho più cambiato, pur sapendo che non gli piaceva. Cominciò così un lungo percorso professionale: un mestieraccio che aveva nel sangue, senza paura, con tanta voglia di apprendere ma anche con tanta voglia di trasmettere agli altri colleghi. Con un carattere forte, da comando, anche spigoloso se vogliamo ma profondamente rispettoso. Iniziò con un fatto di cronaca nera, cruento per quello che era successo. Non mi disse no. Da cronista in erba si gettò subito nella mischia per rispettare una indicazione del direttore, da cronista vera si recò sul posto senza timori o paure. Sono quei segnali che ti fanno capire se la stoffa c’è oppure no. E Martina la stoffa ce l’aveva. Lo ha dimostrato nel corso dei mesi e degli anni, impreziosendo con la sua verve la redazione, lavorando sodo senza badare a nulla. Se Cronache ai posteri si vedrà riconoscere una storia di giornalismo vissuto di questa città, in questa storia un posto di primo piano l’avrà proprio Martina che al fianco del nostro Andrea Pellegrino, ha lottato giorno dopo giorno. Senza un attimo di respiro. Appassionata della Corea, amante del suo lavoro, effervescente e creativa. Il tuo ultimo gesto, donare le cornee, per aiutare il prossimo, è l’ultimo gesto del tuo impegno verso gli altri, verso gli ultimi. Ma credetemi, è proprio difficile scrivere qualcosa che non avresti mai voluto scrivere. Ma conoscendola avrebbe detto a tutti noi della redazione di fare poche chiacchiere e di lavorare. Lo avrebbe voluto, non potevamo deluderla. Anche se con la morte nel cuore. Ciao Marta, lassù tra gli angeli troverai l’abbraccio di don Luigi. Ciao Marta: da ieri siamo più soli. Ciao Marta.

di Pina Ferro

Ad una giornalista e soprattutto ad una cronista non possono mancare le parole. Oggi, parole non ne ho. Sto solo provando a metabolizzare una giornata atroce, cominciata troppo presto con una notizia che ti lascia senza fiato e finita ancora peggio. Tantissimi i ricordi che mi legano a te. Non dimentico la prima volta che sei arrivata in redazione: due occhi enormi nascosti dai capelli e una gran voglia di imparare il nostro mestiere. I primi articoli, la tua caparbietà e poi, dopo poco, avevi imparato tutto quello che c’era da sapere e lo hai dimostrato a pieno titolo. Da quel giorno sono passati diversi anni, per un po’ i nostri percorsi lavorativi si sono separati, nel frattempo tu ne hai fatta di strada dimostrando ogni giorno il tuo grande valore professionale. La tua testardaggine e caparbietà sono da sempre state la tua forza. Di te ho sempre apprezzato il rispetto che avevi delle idee altrui anche quando non proprio le condividevi. Ogni parola, frase ora mi sembrano inutili. Ciao Marta, fai buon viaggio.

di Erika Noschese

Ho sentito parlare di te fin dal mio primo giorno a Cronache. Ho avuto il piacere di conoscerti dopo qualche tempo; il tuo carattere forte e determinato mi intimoriva. Quando Andrea mi diceva di parlarne con te, io andavo in ansia. Non ne avevo motivo, l’ho capito dopo un po’. Tu eri così: forte, leale, “cazzuta”, sempre pronta ad aiutare gli altri. Non so quante volte ti avrò chiesto aiuto per un pezzo destinato a L’Ora: avevo l’idea, magari, ma non sapevo come svilupparla. E tu avevi una soluzione a tutto, non dicevi mai di “no” a priori; sapevi ascoltare e poi valutavi, sempre con obiettività. Per un po’ di tempo caffè, sigaretta e Comune sono state una costante anche per me: sapevo di trovarvi sopra, nella stanza di Celano. Tu sul divanetto, con il cellulare tra le mani. Il più delle volte discutevi con qualcuno. Eri ovunque. Ogni notizia degna di tale nome ti vedeva lì, in prima fila. Ascoltavi, scattavi, scrivevi. “Ma come fa?”, mi chiedevo spesso. E non ne sbagliavi una. Quanti pezzi ti ho chiesto di leggermi, quante cazziate prese perchè “10mila battute io dove cazzo me le metto?”. Però eri così: prima risolvevi il problemi, poi partivano i cazziatoni. Ma finivano là. Anche dopo un minuto esatto avrei potuto chiederti qualsiasi cosa, tu mi avresti aiutata. Tu e Andrea siete le persone a cui devo tanti “trucchi” del mestiere. Mi hai insegnato tanto. E io non ti ho mai ringraziata, non abbastanza almeno. Vola alto, Marta. Vola alto.

di Matteo Maiorano

Collega, amica, punto di riferimento. In questi anni sei stata tutto questo per me, arricchendo il mio bagaglio umano e professionale con l’animo di chi ha saputo sempre andare oltre gli schemi. Le tue ramanzine erano all’ordine del giorno: grazie a te che hai sempre creduto nel mio lavoro, che oggi più di ieri sarà sempre un po’ tuo. Il tuo spirito libero e la grande professionalità saranno per me sempre un riferimento. Eternamente grazie.

di Fabio Setta

Per chi di parole ne scrive tante, ogni giorno, dovrebbe essere facile. Invece, non è così. Questa volta non può essere così. Le immagini si offuscano, i ricordi si accavallano, il dolore stringe il cuore. Non è giusto, Marta. Non è giusto quanto è successo. Negli ultimi tempi, per diverse motivazioni, ci siamo visti di meno ma di giorni trascorsi a Cronache insieme ne abbiamo passati tanti, tra battaglie, problemi ma anche risate e divertimento. Come sono tanti gli aneddoti e i ricordi che restano dentro e che non è facile trascrivere in poche righe. Le mie gufate sul tuo Milan, però, me le ricordo bene. E quante risate, quando ti lamentavi dei furti della Juventus. E poi, proprio ora che è tornato Ibrahimovic. Non doveva andare così, no. Era davvero una notizia che non avremmo mai voluto leggere. Ti sia lieve la terra, Marta.

di Adriano Rescigno

C’eri, quando ho iniziato a scrivere, ad ogni pezzo, ad ogni correzione. C’eri, quando avevo un problema e tu con un sorriso e quasi sempre una ramanzina me lo risolvevi. C’eri dall’altro lato del telefono o della scrivania. C’eri. C’eri, quando ho ricevuto la notizia dell’arrivo del mio piccolo Riccardo che adesso porterà quel calzini che gli hai portato dalla Corea con orgoglio e presto saprà di avere una grande zia che lo guida e lo guarda dal cielo con la certezza che nei tuoi passi saprà trovare la sua strada. C’eri per qualsiasi cosa, e qui panini con Andrea mancheranno tantissimo ed ora dopo tanti articoli chiusi io non so andare avanti, non so cosa scrivere, non so come faremo senza di te, ma ce la faremo nel tuo nome che solo a pronunciarlo fa tremare i polsi, come quando in maniera sgrammaticata muovevo i primi passi sulle colonne di Cronache. C’eri e ci sarai per sempre Zeppola. Per sempre, continua a guardarmi che poi sbaglio troppo. Mi manchi e non so cosa pensare, posso solo prometterti che userò meglio le virgole, lo giuro. C’eri e ci sarai per sempre.

di Antonio Stanzione

«Il tuo sorriso è sempre stato uno sprono importante nei momenti difficili. Con il tuo carattere forte hai sempre saputo gettare il cuore oltre l’ostacolo. Sei stata un grande riferimento umano, continuerai a dare direttive dall’alto».

di Tonino Saviello

«Ho assistito alla tua crescita professionale sulle colonne di questo giornale, passo dopo passo. Eri una ragazza speciale, preziosa, di rara intelligenza. Che la terra ti sia lieve».

di Andrea Bignardi

È davvero difficile pensare che tu non ci sia più. Ti ho conosciuto circa un anno e mezzo fa, ultimo collaboratore approdato nella grande famiglia di Cronache prima e de L’ora di Cronache poi, prima che in questa maledetta notte la tua vita venisse spezzata irrimediabilmente dalle atroci Parche del destino. Ho avuto l’onore e il piacere di poter contare sui tuoi consigli, professionali oltre che di vita, soprattutto nei momenti di difficoltà. La tua schiettezza senza pari era il tuo punto di forza, e ti distingueva dall’ipocrisia che oggi regna sovrana. Era una sincerità che però rappresentava una certezza, uno sprone a coltivare la mia passione per il giornalismo tra i mille impegni quotidiani, prima universitari poi lavorativi. Continuerai, ne sono sicuro, a rappresentarlo.

di Marco De Martino

«Mi scusi signorina, è qui la festa del centenario della Salernitana?», e tu: «Marcolììììììì!!!!!». E giù un abbraccio, lungo, caldo, interminabile, come solo tu riuscivi a dare. Mai avrei pensato che quello sarebbe stato l’ultimo, altrimenti ti avrei stretta un po’ di più. In questi attimi in cui non ti abbiamo più qui con noi, scorrono davanti a me le tante giornate passate insieme, le gag in redazione accompagnate da quella tua risata coinvolgente, le discussioni calcistiche sul tuo Milan e, naturalmente, sulla nostra Salernitana. Di lavoro parlavamo poco, quasi mai. Per questo più che una collega ti consideravo un’amica. Anzi, una sorella maggiore, nonostante tu fossi più piccola di me. Lo fosti davvero quella volta in cui scoppiai in lacrime di fronte a tutti i colleghi, distrutto dal dolore per l’imminente perdita della mia mamma, e tu sapesti tranquillizzarmi con qualche parola e con il tuo abbraccio. Quell’abbraccio lungo, caldo, interminabile che non ci sarà più. E che mi manca già.

di Giovanna Naddeo

Se potessi esprimere un solo desiderio, tornerei a sette giorni fa, domenica 22 dicembre. Negozi affollati, corsa agli ultimi regali, non per noi impegnati con lo speciale di Natale de “L’Ora di Cronache”, non per te che, con addosso un felpone rosso troppo grande per la tua corporatura, mi spronavi, tra un “cazziatone” e l’altro, a fare presto, a velocizzarmi. E già si pensava al numero successivo! Eri, anzi sei, sei il cuore pulsante di questo progetto editoriale. Sono stata l’ultima ad arrivare in redazione, la «piccolina» come usavi chiamarmi in privato, ed è a te che devo tutti i passi in avanti che ho fatto nel giro di così poco tempo. Tra coloro che mi fanno compagnia in queste colonne, ho avuto l’onore e il privilegio di lavorare al tuo fianco per minor tempo, eppure mi hai donato tanto, professionalmente e umanamente. Stavamo iniziando a conoscerci anche fuori da interviste e conferenze stampa. A unirci, oltre la somiglianza nel cognome e gli «occhiali con riflessi verdi», la passione per le pellicole di Kim ki-Duk. Sei fonte pura di energia, Marta. Continua a illuminarci da lassù.

di Brigida Vicinanza

Ci volevi tu per farmi rimettere questa penna su questo foglio, in queste pagine. Ma le parole fanno fatica ad uscire. Eppure mi hai sempre detto: “Vuoi essere più sintetica? Troppi periodi, sfoltisci”. E questa volta, hai avuto ragione. Ho sfoltito talmente tanto che non riesco più a scrivere. Perché tanto più scrivevo e più mi correggevi, più volevo fare, più mi fermavi perché “non la meritano una come te qua”. Lo sai bene tu, Marta. Che una come te qua, era veramente troppo. Ma io ti avrei preferito in un angolo della Corea del Sud, a rincorrere un sogno, piuttosto che a rincorrerci dall’alto. Sono arrivata in quella redazione quando avevo soltanto 19 anni. Mi hai messa seduta di fronte a te e mi hai detto “Bene, domani andrai a questa conferenza. Poi vieni qui, scrivi l’articolo e vediamo come fare”. Non ci credevi nemmeno tu che sarei venuta e non mi sarei mai più alzata da quella sedia. Anche quando hai deciso che dovevo usare la “tua” di sedia. Mi hai urlato in faccia tante, troppe volte. Abbiamo fatto l’abbonamento ai silenzi lunghi, spesso parlati più di mille parole, ma che si sono interrotti sfociando in un abbraccio. “Ecco, adesso non prenderci l’ abitudine che io e te a queste cose non ci crediamo”. “E questo a chi lo facciamo fare? Ma scusate, c’è la Vicinanza!”. E da lì, ogni volta che mi fermavo, perché stanca, mi hai sempre detto di rialzarmi perché c’era da lavorare. Pagine su pagine, caffè dopo caffè e sigarette a metà perché “dobbiamo finire presto”. Mattina, pomeriggio, sera. Sempre. Anche quando avevo a che fare con la tua testa dura, anche quando mi dicevi “la Vicinanza impara bene perché insegno io”. Che scherzo hai fatto? Gli scherzi li fa quel caro Barone di Pellegrino. “Mi raccomando Andrea, Brigida”. Lo so, forse non mi hai perdonato perché ho colto il tuo suggerimento di “scappare”. Ma io ti perdono se continui a dirmi che la giornalista la so fare, ma devo continuare ad imparare. E tu, continua pure ad essere così maledettamente rompiscatole. Che io ho imparato bene, e tu lo sai. Sempre e per sempre, con i tuoi grandi occhi che non sapevi proprio truccare, ma erano veri così. E continuano a leggermi i pezzi.