Centro commerciale allo svincolo A3,I ruoli occulti della politica, il mediatore e la camorra. Conte cosa fa? - Le Cronache
Cronaca

Centro commerciale allo svincolo A3,I ruoli occulti della politica, il mediatore e la camorra. Conte cosa fa?

Centro commerciale allo svincolo A3,I ruoli occulti della politica, il mediatore e la camorra. Conte cosa fa?

di Peppe Rinaldi

Nella scorsa puntata abbiamo parlato della costruzione di un centro commerciale sorto nei pressi dello svincolo dell’A3 di Eboli. Abbiamo riassunto una serie di elementi che hanno colpito la curiosità del cronista, così sintetizzabili: il cantiere subì nell’autunno del 2020 un repentino stop dopo l’arresto dell’ex sindaco Massimo Cariello; in quell’area, a memoria d’uomo, non è mai stato possibile fare alcunché; emergeva, ictu oculi, una costruzione a pochi metri dal tratto di competenza Anas; la società pubblica, interpellata al riguardo, ha fornito una risposta salomonica. Infine, indotti dalla piega presa dall’incrocio di tanti interrogativi e di risposte altalenanti, il cronista s’è messo a seguire una pista e, mentre lo faceva, si è imbattuto in un’altra traccia, ben più problematica di quanto già non lo sia il resto finora descritto. Il riferimento è alla documentazione depositata al comune di Eboli.

Sotto un sindaco è stato creato il problema – fra altri tre o quattro casi analoghi ancora coperti da “omertà”- , sotto un altro sindaco, quello di oggi, bisognerà porvi rimedio, alternative non paiono esservene, non è un deposito di attrezzi agricoli che diventa casa di campagna, qui si va molto oltre per ovvie ragioni.

Ma proviamo a spiegare come è andata sebbene non sia semplice tradurre il tutto in linguaggio corrente, la selva di regole e regolette è fitta e complicata, anche se fino a un certo punto.

Se il cronista non è stato indotto in errore, ciò che ha trovato nel fascicolo desta perplessità se si considerano alcune cose: la dimensione dell’intervento edilizio, il tipo di operazione urbanistica, la notorietà e la buona reputazione dell’imprenditore subentrato nella proprietà (non è che l’hanno fregato?), la collocazione dell’opera, praticamente a vista per chiunque, comprese le autorità locali di vigilanza e controllo che, in un posto del genere, ci passano almeno cento volte al giorno. A moltiplicare i “sospetti” ci sono poi i protagonisti più o meno occulti di questa operazione: inutile dire dell’ex sindaco, che naturalmente non figura in nessun atto, mentre invece emerge un altro soggetto molto legato al Cariello al quale una corposa informativa di polizia giudiziaria del giugno 2020, poi depositata alla Dda, dedica un intero capitolo a causa di rapporti obliqui con figure ora organiche ora contigue a potenti clan camorristici del napoletano. Sarebbe stato lui il “mediatore” dell’operazione, l’assegno circolare di deposito per l’acquisto all’asta fallimentare riportava il proprio nome nell’intestazione. Una figura che ha giocato un ruolo importante anche in altre tre o quattro occasioni di analoga fattura, tra tutte quella che ha portato dietro le sbarre l’ex primo cittadino limitatamente alla questione di un noto imprenditore caseario della zona. Ovvio che la curiosità del cronista si moltiplichi dinanzi a questo ginepraio di coincidenze.

Tornando al cuore del problema, cosa c’è nel fascicolo depositato in Comune? Se non abbiamo capito male, il problema è al contrario: non c’è niente di utile, cioè non compare la prima concessione edilizia, fondamentale base di partenza senza la quale è inutile parlare del resto, così come non c’è alcuna comunicazione o nota Anas al riguardo, ci sono tre fotografie stampate di brani di testo del Prg vigente che, però, non involgono questo caso bensì altri (un po’ come ha fatto Anas con la sua risposta, vedi puntata n.1), c’è l’atto di acquisto dei lotti svoltosi il 15 aprile 2016 dinanzi al delegato del giudice fallimentare, un avvocato di Salerno – col quale pure ha parlato il cronista –  due relazioni integrative dell’architetto incaricato, un professionista di Campagna, una delle quali ha anche un paio di passaggi esilaranti tenuto conto della “gravità” del caso; ci sono, ancora, la relazione dell’ufficio urbanistica con la firma di un funzionario e di un geometra comunale, quella dell’ufficio commercio e pochi altri documenti dall’apparente qualità “a schiovere”, cioè tanto per metterli nella pratica. Ci sono, ancora, due foto dello stato iniziale dell’area oggetto dell’intervento che non si capisce perché siano state inserite visto che potenzialmente proprio quelle due foto potrebbero un giorno trasformarsi in una prova dell’operazione così rischiosa vista la disparità evidente tra lo stato originario e quello attuale. C’è, infine, la famosa “Scia”, quindi un titolo edilizio, con la quale si dà all’ente avviso di inizio della trasformazione, che però non risolverebbe, semmai aggraverebbe, la posizione dei protagonisti in quanto si capisce a occhio che per quel tipo di opere non è sufficiente la formula racchiusa dall’acronimo Scia, cioè per un lavoro come quello al centro di questa piccola nostra inchiesta è fondamentale il cosiddetto “permesso a costruire”, la vecchia licenza edilizia in pratica. Qui non c’è perché, da quanto abbiamo potuto intendere, non è possibile rilasciarlo in quell’area, pena minaccia di (altre) manette ai polsi, oppure, ben che vada, di altri anni di processi, avvocati, tecnici, periti, geometri, divise, verbali, etc. 

Possibile? Possibile che una famiglia di imprenditori esperti e navigati si sia fatta gabbare oppure si sia incamminata su una strada tanto impervia dove rischia di vedere andare in fumo una bella porzione di danaro oltre che di reputazione? Tutto può essere, solo il tempo ce lo potrà dire.

Nel 1990 al potere cittadino c’erano ancora socialisti e comunisti, erano gli anni delle vacche grasse, tempi in cui non si andava troppo per il sottile in termini di permessi, autorizzazioni, licenze e quant’altro: in quell’anno fu rilasciata un concessione edilizia (la n. 265/90) ad un imprenditore al tempo organico al potere politico, atto che pure fece molto discutere in quanto l’area urbanisticamente non lo avrebbe consentito. Quell’imprenditore, poi fallito dopo anni, in quel posto avrebbe potuto impiantarvi solo un «capannone amovibile», cioè smontabile, e la licenza venne data pure «in deroga alle norme che regolano le distanze dal tratto stradale», l’attività esercitata poteva essere autorizzata solo come «officina». Che in realtà sia stato fatto altro in quei capannoni è un discorso diverso ora e che rischia di portarci fuori strada. Sta succedendo la stessa cosa anche adesso? Non possiamo saperlo, possiamo soltanto ipotizzarlo sulla base degli atti ufficiali e il ragionamento sin qui sviluppato.

Il nuovo Prg non ha modificato la sostanza delle disposizioni valevoli per quel posto, ha adeguato alcune cose ma di costruire un edificio alto più dei sei metri “autorizzati” ab origine, peraltro non amovibile ma inchiodato al terreno come una normale costruzione, con una distanza massima di circa 16 metri, quindi meno perfino dei 20 metri previsti dai regolamenti locali, dal manto stradale Anas (che, a questo punto, non si capisce bene cosa abbia misurato nella recente verifica se le distanze minime sono 30 o 60 metri a seconda dei casi), dove nella più ottimistica previsione si potrebbe esercitare la vendita solo all’ingrosso e non al dettaglio, ecco, tutto questo non appare superato. Il che è un guaio grande quanto una casa, anzi quanto un centro commerciale a tre piani. Per non dire dei problemi attuali tra il cantiere in questione e l’Asis per l’allaccio dell’acqua potabile qualche centinaio di metri più sopra, nell’area dove c’è la Esso: una operazione che costerebbe intorno ai 70 mila euro, molto complessa, dove si tratta di scavare sotto la strada dello svincolo autostradale che, quindi, andrebbe pure chiuso per fare i lavori (e Anas che farà?), un fatto che si accompagna a questo ulteriore quesito: come ha fatto l’Asl a dare parere favorevole se nel posto non c’è nemmeno l’acqua potabile?

Una lettura dell’atto di vendita del tribunale comparata con la relazione tecnica del professionista incaricato sarà utile per capire o avvicinarsi alla comprensione di cosa possa essere accaduto. Nella relazione dell’avvocato del tribunale c’è scritta una cosa, in quella dell’architetto ci sono alcuni di questi passaggi meno, però, quelli che avrebbero bloccato tutto.

Non si certifica, qui, l’esistenza di un reato, peraltro prevedibile, ci si fanno domande alla luce della conoscenza del territorio, dei protagonisti occulti della faccenda, della storia locale e dell’andazzo generale in questi ambiti.

Una bella grana potrebbe diventare questa vicenda per il sindaco Mario Conte, nel senso che ora dovrà approfondire spedendo la pattuglia dei vigili urbani specializzata, non foss’altro perché in altre aree della città, vedi Prato e Santa Cecilia tra le più note, la tagliola dell’antiabusivismo è già scattata implacabile. Se poi troveranno tutto in regola tanto meglio, si vedrà, non è auspicabile che si apra un’altra brutta pagina com’è accaduto con l’ex Ises, un concentrato di truffe a destra e a manca finito nella palta grazie soprattutto alla bulimia politico-finanziaria di chi amministrava a partire dal 2016. Da indiscrezioni trapelate nell’ultima ora pare che nelle scorse sere ci sia stato un incontro conviviale tra il sindaco, il suo vice e l’imprenditore coinvolto da questa vicenda: al centro ci sarebbe stata la volontà “politica” di farlo intervenire nell’acquisto all’asta dell’ex foro boario. Pare che non se ne sia fatto nulla, nel senso che l’imprenditore sarebbe stato bruciato sul tempo da un concorrente.

(2_fine. La precedente puntata è stata pubblica venerdì 14 luglio)