Capaccio. Paolino governa senza maggioranza - Le Cronache Attualità
Attualità Capaccio Paestum

Capaccio. Paolino governa senza maggioranza

Capaccio. Paolino governa senza maggioranza

di Erika Noschese

Una maggioranza senza maggioranza, un’opposizione che, salvo Simona Corradino, non si oppone. L’era Paolino non è certo partita sotto una buona stella, costretta com’è a scegliere se fingere una continuità con l’amministrazione Alfieri o provare a imporsi come vera alternativa, il nuovo che avanza. Ebbene, piccola anticipazione: in entrambi i casi il risultato è fallimentare. Gaetano Paolino non riesce a imporsi e oggi più che mai fa rimpiangere Alfieri persino a quei cittadini che lo avevano duramente contestato (e non senza motivo). Nell’ultimo consiglio comunale il primo cittadino ha messo in scena un vero e proprio teatrino, un goffo tentativo di imporre le sue ragioni. Capaccio Paestum ha toccato il fondo, e non certo per colpa dei cittadini, il 3 ottobre 2024 con l’arresto di Alfieri. Da allora ogni tentativo del Comune di risalire appare vano. E no, la giunta tecnica nominata per volontà di Gianfranco Valiante, già sindaco di Baronissi e improvvisato consigliere fidato di Paolino, non ha risollevato le sorti di una città in crisi. È invece da apprezzare il coraggio di chi, a un certo punto, ha detto basta, mostrando di non voler in alcun modo contribuire a devastare ulteriormente la comunità. Angelo Quaglia, Antonio Agresti, Igor Ciliberti, Maria Rosaria Giuliano, Antonio Mastrandrea, Gianmarco Scairati ed Eustachio Voza hanno dimostrato di non temere di lasciare la poltrona tanto cara al sindaco, disposto a governare perfino con l’opposizione pur di restare in sella. Hanno mostrato di non avere paura del ritorno alle urne, ma solo di avere a cuore le sorti di una città che tenta di risorgere dalle sue ceneri, come una fenice. La seduta sulla mozione di sfiducia non ha aperto una frattura, l’ha semplicemente resa visibile, ufficiale, certificata agli atti. Gaetano Paolino è ancora sindaco solo per formalità amministrative, non certo per legittimazione politica o autorevolezza morale. Governa senza maggioranza, senza progetto, senza credibilità e, soprattutto, senza più squadra. La città lo ha visto per ciò che è: un sindaco politicamente nudo, privo della narrazione trionfalista che per mesi aveva provato a cucirsi addosso. Ha ripetuto a lungo che “tutto era sotto controllo”, che la maggioranza era compatta. Il voto in aula ha mostrato l’esatto opposto: la maggioranza non esiste più, e non da oggi. Ha solo smesso di fingere. I sette consiglieri che lo hanno sfiduciato non sono avversari storici né sabotatori professionali. Sono gli stessi che Paolino ha utilizzato come trampolino per entrare a Palazzo di Città, la struttura politica e civica che gli ha consegnato la fascia tricolore. E oggi quella squadra gli ha detto con chiarezza: non sei più il nostro sindaco. Una sentenza definitiva, perché non arriva dall’opposizione, ma dal cuore stesso della sua coalizione. Il voto ha prodotto una radiografia impietosa: sette ex alleati lo sfiduciano, tre rimangono con lui senza spiegare perché, gran parte dell’opposizione, dopo mesi di critiche furiose, improvvisamente tace e si astiene, mentre la Giunta resta inchiodata alle poltrone come se nulla fosse accaduto. Ed è qui che il grottesco prende forma: Paolino non è stato difeso, è stato lasciato in vita per omissione. Sopravvive non grazie al proprio valore, ma alla mancanza di coraggio altrui. Se un sindaco resta in carica solo perché nessuno ha il coraggio di assumersi la responsabilità della sua fine, non siamo davanti a un governo: siamo davanti a un accanimento terapeutico istituzionale. E mentre Paolino festeggia come se avesse vinto una battaglia, la città si chiede cosa ci sia esattamente da celebrare. E poi c’è il ruolo di Simona Corradino, unica consigliera di opposizione che non si è arresa, non si arrende, non si arrenderà. Ha votato a favore del documento e, ancora una volta, ha dimostrato di lavorare solo e unicamente nell’interesse della città. Un politico con la P maiuscola, una donna che non si lascia convincere, che non molla la sua idea per un posto in giunta o, peggio ancora, per garantire l’assunzione di un parente. Non cede. Non ricatta. Amministra e lavora nel rispetto di quei cittadini che, in lei, hanno voluto riporre fiducia. Capaccio Paestum è sospesa in un immobilismo che finge normalità, ed è proprio questo il pericolo più grande. In questo scenario di sbandamento, mentre molti guardavano il pavimento aspettando che qualcun altro decidesse, Angelo Quaglia, unitamente ai firmatari della mozione, ha fatto ciò che la politica dovrebbe fare sempre: assumersi il peso della verità. Non si è nascosto dietro tatticismi, non ha detto una cosa ai cittadini e l’opposto in aula, non ha evocato problemi per poi svanire al momento del voto. Ha guardato la città, il mandato ricevuto e ha detto con chiarezza: così non si può governare. La mozione di sfiducia non è stata vendetta né rancore: è stata igiene democratica, un atto di responsabilità verso una comunità che merita molto più di un’amministrazione agonizzante sostenuta da tre fedelissimi e da cinque indecisi per convenienza. I “dissidenti” hanno fatto ciò che altri hanno temuto: hanno detto che il re è nudo. E soprattutto, lo hanno dimostrato con un voto. In un panorama di esitazioni, equilibrismi e autodifese, la coerenza diventa rivoluzionaria. E così, mentre chi per mesi ha definito Paolino incapace e isolato al momento decisivo si è tirato indietro, resta una domanda inevitabile: era tutto solo teatro politico? Perché se ritieni un sindaco inadatto, lo sfiduci. Se non lo sfiduci, allora pensi che possa restare. E se non lo pensi, ma lo fai restare lo stesso, il problema non è Paolino: sei tu. Questa contraddizione indigna i cittadini più della crisi stessa. E poi c’è l’immagine più surreale: una Giunta senza maggioranza, senza progetto, senza mandato politico, che però resta lì, serena, immobile, come se la città non fosse precipitata nel caos. Nessun assessore ha ritenuto di dimettersi. Nessuno ha detto: “La legittimazione è saltata, facciamo un passo indietro”. Così Capaccio Paestum ha inventato una nuova forma di governo: il Comune a sedie fisse. Il voto ha chiarito tutto: la maggioranza non c’è più, il patto politico è finito, la fiducia si è dissolta, l’amministrazione è ormai solo un involucro. Paolino potrà continuare a firmare atti, convocare riunioni e sorridere nelle foto, ma resta ciò che è: un sindaco fuori tempo massimo, un amministratore rimasto senza amministrazione. Capaccio Paestum merita di ripartire, non di restare ostaggio della sopravvivenza personale di un uomo che la sua stessa squadra ha politicamente dimesso. La politica vera lo ha già capito. La città lo aspetta.