di Antonio Manzo
La stagione del suo commiato acuisce i motivi del rimpianto. L’apparenza quotidiana sembra negare le sue alte speranze, ma quella che Peppino Cacciatore coltivo ed animò, in modo intrepido resta nel itinerario intellettuale italiano. Da filosofo, e da politico. Pensare per Peppino Cacciatore “fu mettere il pensiero in mezzo alla strada”, (mutuando una fortunata definizione del filosofo comunista Pietro Barcellona) perché la sua attività politica fu una grande esperienza del pensiero coniugata con una ineludibile passione civile. Da uomo di sinistra, da comunista. E lui non si ribellerebbe affatto al ricordo delle radici, in un tempo con troppi, avvilenti e cangianti appartenenze. E tuttavia, proprio la sua avventura sta lì a persuadere che occorre guardare oltre la superficie delle cose per comprendere che la speranza –e la verità – non esigono tracce abbaglianti, ma durano e sono forti in una luce discreta, quasi un ombra. La ricerca umana di Peppino Cacciatore si dispose su questo difficile limite dove c’era una via vissuta con la passione della storia del pensiero e una collezione di vita densa di esperienze. Peppino Cacciatore nella cultura del pensiero filosofico nazionale, si colloca non come l’esile schiera dei testimone del tempo ma un testimone delle sue idee. Molto di ciò che scorre nei nostri giorni sollecita, quasi in modo schiacciante, la coscienza inquieta della filosofia politica di Peppino Cacciatore e la sua indole di testimonianza di una idea militante non come significato di “militante” al servizio di un partito politico senza cedere il distacco intellettuale, come condizione preliminare a fondare la scientificità del giudizio storico-filosofico, ben al di là delle oscillanti opzioni della società sia nazionale che salernitana.
In una stagione di protagonismo precario e spettacolare, corrivo e accomodante, tendiamo a credere che il senso della lezione autentica di Peppino Cacciatore vada cercata proprio sul versante della testimonianza. Non c’è, da quella parte, il confortante clamore del successo se non il fascino di un’azione intraprendente che ha segnato la sua azione di fecondo intellettuale che ha prestato alla politica più di una idea più che solo la nobile eredità di un cognome. Molto di ciò che scorre nei nostri giorni sollecita, quasi in modo schiacciante la coscienza inquieta del filosofo-politico che aveva preconizzato il cambiamento epocale nelle sue pagine sui giorni della pandemia. Fame, arsenali, violenza e devastazioni chiedono minacciosamente ancora di ricorrere al suo pensiero filosofico e politico per dare conto delle nostre qualità nel tempo difficile che viviamo. La sua testimonianza intellettuale e politica non ha eluso una domanda di valore facendo diventare sempre più stringente il rapporto verità-libertà declinato , con passione, quando ricordò il suo amico e collega Roberto Racinaro. Fu quando parlò, da grande filosofo, del concetto di libertà vera per esprimere tutto il suo ragionato dissenso all’assurda vicenda giudiziaria che aveva vissuto il suo migliore amico. Ci sarà tempo per ricordare Peppino Cacciatore. Un compito che spetta alla città nella quale nacque, alla politica che amò, si suoi collleghi e agli amici che sono davvero tanti. A partire dagli affezionati amici-tifosi della Salernitana e del Napoli.