Barone: la “pagella” non è una novità - Le Cronache Ultimora
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Barone: la “pagella” non è una novità

Barone: la “pagella” non è una novità

di Erika Noschese

 

 

Il decreto che introduce la “pagella” per i dirigenti scolastici ha acceso un vivace dibattito nel mondo dell’istruzione. Il Ministro Valditara lo ha definito un provvedimento storico, ma i sindacati ne chiedono il ritiro, temendo un controllo eccessivo del Governo e una limitazione dell’autonomia scolastica. Per fare chiarezza su questo tema controverso, abbiamo intervistato Elisabetta Barone, dirigente scolastico del liceo statale “Alfano I”, che ci ha fornito una prospettiva approfondita sulla questione.

Il ministro Valditara ha definito “un provvedimento storico” il decreto che introduce la cosiddetta pagella dei dirigenti scolastici. Qual è il suo pensiero in merito?

«La valutazione dei dirigenti scolastici non è una novità.  Fino al covid, annualmente i dirigenti erano tenuti a compilare un portfolio evidenziando i risultati raggiunti in relazione agli obiettivi assegnati dal direttore regionale in fase di rinnovo del contratto.  C’erano dei nuclei di valutazione composti da dirigenti scolastici e dirigenti tecnici che incontravano i dirigenti per discutere del portfolio presentato. E alla fine del percorso i dirigenti ricevevano un giudizio di valutazione relativo sia ai risultati raggiunti sia ai processi messi in atto finalizzati al raggiungimento dei risultati. Mi sembra, pertanto, eccessivo parlare di provvedimento storico.  È più corretto dire che si ripristina il processo di valutazione e lo si collega alla retribuzione di risultato, come previsto dalla legge 107».

I sindacati ne hanno chiesto il ritiro, affermando che tale riforma legittima il controllo del Governo sulle prestazioni e limita l’autonomia degli istituti. È così?

«La valutazione dei dirigenti scolastici è atto necessario se vogliamo che la Dirigenza scolastica sia equiparata anche economicamente al resto della pubblica amministrazione. La questione non riguarda il principio ma il fatto che le scuole hanno un’autonomia estremamente limitata in quanto tutto il personale docente, tecnico e amministrativo non è né selezionato né valutato dal dirigente scolastico che, pertanto, può agire nel limite delle professionalità di cui dispone la scuola. Quando si chiede ad un dirigente di raggiungere un obiettivo (es. Riduzione della dispersione scolastica implicita ed esplicita) bisogna poi tener conto del numero di assenze dei docenti, delle competenze didattiche, della propensione all’innovazione didattico/metodologica dei docenti ma anche alla scarsa partecipazione delle famiglie ai processi educativi dei propri figli. È dunque necessario tenere conto delle variabili che incidono fortemente sul raggiungimento dei risultati. In ogni caso, la valutazione non limita l’autonomia degli istituti. Se la si guarda come una possibilità di discussione con il direttore generale dei nodi irrisolti delle nostre scuole potrebbe essere un buon punto di partenza.  La questione vera è il punto di vista da cui si parte. Se si valuta per comprendere quali sono i punti nevralgici su cui operare, la valutazione dell’operato del dirigente scolastico è un ottimo punto di partenza, viceversa se il punto di vista è quello del giudizio punitivo si sta solo cercando un capro espiatorio».

Il fatto che tali risultati coinvolgano una parte della retribuzione dei dirigenti scolastici, come se fosse un finto incentivo, ha senso?

«Tutti i dirigenti della pubblica amministrazione hanno uno stipendio che è composto da una quota fissa e una parte variabile che comprende la retribuzione di  risultato. Anche in questo caso la questione non riguarda il principio che è sacrosanto. Un dirigente ha la responsabilità dei risultati della struttura che dirige, visto che sia il dirigente che le attività della struttura sono pagate con risorse pubbliche, ovvero con le tasse di tutti i cittadini. Ancora una volta la questione riguarda il margine reale di autonomia del dirigente che si ritrova in una scuola il cui ente proprietario (comune o provincia) è del tutto inadempiente (l’80%delle scuole italiane è fatiscente e non a norma.  Nella nostra città ci sono forse solo 2 scuole tra primo e secondo ciclo a norma!), in territori spesso deprivati dal punto di vista economico, sociale, culturale (si pensi al fatto che nella nostra città gli unici luoghi dove si legge sono le scuole, in assenza di una biblioteca comunale e  della chiusura di quella provinciale) e con interlocutori che per la maggior parte pensano di poter usare le scuole come un bancomat piuttosto che immaginare di offrire un contributo per la crescita culturale e quindi sociale ed economica dei propri territori. La retribuzione di risultato va dunque commisurata ancora una volta alla reale possibilità di operare del dirigente nelle condizioni date».

In che modo tale provvedimento migliora/peggiora le attività del dirigente scolastico?

«Non le migliora né le peggiora. È un bilancio che ciascuno di noi fa regolarmente alla fine di ogni anno quando verifica la progettazione e l’organizzazione messa in campo con i risultati raggiunti (esiti degli scrutini, prove Invalsi, prosecuzione degli studi e risultati raggiunti dagli ex studenti nel prosieguo della carriera scolastica e professionale. La valutazione dei dirigenti si accompagna alla rendicontazione sociale che annualmente il dirigente predispone per dar conto dell’operato della scuola ai suoi stakeholder. La questione vera è: a chi sarà affidata la valutazione dei dirigenti? Il sistema prevede che la valutazione sia effettuata da dirigenti tecnici, dirigente scolastico e il direttore generale. Tutto dall’alto. Sarebbe stato opportuno inserire il feedback degli stakeholder, come nel sistema di valutazione precedente».

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