di Peppe Rinaldi
«Snelliremo le procedure burocratiche». «Faremo tabula rasa di lacci e lacciuoli che intasano gli uffici pubblici». «I cittadini non dovranno più sottostare alle folli pretese della burocrazia». Eccetera. Eccetera. Eccetera.
Alzi la mano chi non ha mai sentito pronunciare tali e tanti impegni, ovviamente in modalità solenne, da parte di chi era candidato al pubblico servizio per via politico-elettorale. Da destra a sinistra, da sotto e da sopra, da qualunque angolazione la si osservi, l’andazzo della nostra pubblica amministrazione è sempre lo stesso: asburgico nella forma, latino, molto latino, nella sostanza, dove “latino” sarà qui da intendersi nell’accezione negativa, ossia indolente, sfibrato, leguleio, in larga parte indecente, specie se confrontato con il peso fiscale esercitato sulla collettività, per non dire degli emolumenti pagati ogni mese allo sterminato esercito del pubblico impiego.
Nei giorni scorsi questo giornale s’è occupato di un caso, tra i tanti, di insulsa organizzazione degli uffici del Distretto sanitario 64, quello di Eboli (il secondo più grande della provincia dopo quello del capoluogo) dove chissà quale mente superlativa ha partorito la seguente formula organizzativa dell’ufficio: per una banalissima richiesta di visita domiciliare, un cittadino deve recarsi fisicamente in una delle sedi, dalla quale verrà poi spedito in un’altra a distanza di alcuni chilometri, salvo poi essere costretto a tornare nella prima, dove già era stato e nella quale doveva materialmente effettuare la richiesta iniziale. Tutto per far girare carte, timbri, autorizzazioni e ammennicoli legali vari a valle dei quali, se tutto va bene, il cittadino si troverà stremato quasi avesse dovuto sopportare un interrogatorio di polizia vecchio stampo: il tutto perché, verosimilmente, a nessuno dei premi Nobel di cui dispone la nostra sanità territoriale (a partire dal vertice) interessa più di tanto che il cittadino diventi una pallina da ping pong, sono probabilmente molto occupati a pensare ad altro. Onore a quei dipendenti che, nonostante tutto, fanno sforzi immani per servire il pubblico pur essendo però sempre meno e sempre più demotivati.
Se qualcuno pensava che questa strampalata vicenda del Distretto 64 fosse unica dovrà ricredersi quando leggerà ciò che, manco a dirlo, deve affrontare il cittadino che abbia la necessità di un trattamento di riabilitazione. Parliamo dei tanti casi di disabilità fisica, mentale, post traumatica, congenita e così via. Problemi grossi quanto una casa, vissuti spesso in totale disperazione da migliaia e migliaia di famiglie campane, nel nostro caso salernitane.
Regolamento (ma no!) alla mano, apprendiamo che dal 2019 vige un vademecum per i servizi riabilitativi che ricorda molto più un trattato di astrofisica che non un documento che aiuti e accompagni l’utente in un universo nel quale, peraltro, non s’è neppure introdotto volontariamente.
La data del regolamento per accedere a questo tipo di prestazioni sanitarie è del 19 novembre 2019, l’intestazione, invece, sa di sfottò: «Assistenza riabilitativa. Efficientamento processi operativi. Comunicazioni». In calce la firma del dirigente sanitario, dottoressa Grazia Gentile, capo del settore per l’intero territorio di competenza dell’Asl, in tutto 13 distretti sanitari.
Ecco, non sappiamo cosa il dirigente Asl intenda per “efficientamento”: pur essendo un tremendo neologismo di origine burocratica, pare che con esso si voglia dire che si realizza una cosa per migliorare il funzionamento di un’altra.
Bene, allora vediamo.
Un disabile, un malato, in generale un utente che abbia necessità di cure riabilitative, in virtù di questo efficientamento, si vedrà consegnare due pagine fitte fitte, con questo comma che richiama quell’altro, la legge che riprende la precedente che a sua volta cita il decreto, l’acronimo che integra l’acrostico, il punto che punta l’appunto, insomma il solito manicomio. In due pagine si supera il ping pong del Distretto 64 per entrare in una partita di rugby, anzi di football statunitense. Come una magica carezza del boia al condannato sul patibolo prima dell’esecuzione, al disabile/utente si dice che se si vuole curare deve fare 9 (nove!) passaggi formali, accuratamente individuati uno per uno. Al lettore risparmiamo l’elenco dettagliato per senso di pietà, si aggiunga soltanto, e sommariamente, che per ognuno di questi passaggi (andare dal medico curante, poi farsi timbrare questo e portarlo di nuovo dal medico, poi sottoporlo a un altro medico, stavolta interno all’Asl, poi andare presso una struttura sanitaria accreditata, verificare che ci sia posto e che la copertura sia garantita, poi tornare di nuovo qui, recarsi lì, controllare questo e verificare quello…) ve ne sono almeno altri 3 o 4, a loro volta con altre 2 o 3 sotto-indicazioni alfanumeriche con precise direttive, e via delirando in burocratese. In pratica, circa 45 (cinquanta!) “step” prima di iniziare la (eventuale) cura.
Tutto questo per l’«efficientamento», figuriamoci se non lo fosse stato.
Non è colpa del dirigente, naturalmente, anche se pure quest’assunto vale fino a un certo punto perché pare non sia vietato immaginarsi in autonomia uno snellimento o una semplificazione, visti i poteri conferiti e, soprattuto, gli emolumenti percepiti da chi è dirigente sanitario.
Il regolamento del novembre 2019, tutt’ora in vigore, ha la sua fonte in una delibera di giunta regionale del 2004 (epoca Bassolino) pur essa zeppa di spagnolismi e farraginosità. Ma ora – e non da ora – c’è De Luca, impegnatosi più volte sul tema della “palude burocratica” come egli stesso definisce spesso, a ragione, certi contesti. Conoscendo un po’ la mentalità del presidente della Campania, forse paragonare la sua gestione, almeno su questo terreno, al suo antico nemico di partito potrebbe stimolarlo a prendere veramente il famoso lanciafiamme e carbonizzare gli uffici Asl una volta per tutte.
Lo farà? E quando?