di Olga Chieffi
“…e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere/dei tamburelli sulla fossa fuia,
lo scalpicciare del fandango, e sopra/qualche gesto che annaspa…
Come quando/ti rivolgesti e con la mano, sgombra/la fronte dalla nube dei capelli,
mi salutasti – per entrar nel buio”.
E’ il Montale de’ “La Bufera” con il suo verso musicale, i suoi strumenti a percussione, il senso di angoscia che ci è balenato dinanzi, stamane nel “vedere” la notizia, poiché oggi è così, di quanto più crudo possa esistere, ricevere dai social, della scomparsa dell’appena diciottenne Antonio Senatore. Antonio aveva scelto di affacciarsi al mondo della musica, a soli sei anni attraverso la banda di Vietri, quella del Maestro Aniello Ronca, la formazione che è mancata nella processione di San Matteo e che Antonio Senatore ha seguito al fianco del suo Maestro al Liceo musicale Alfano I Rosario Barbarulo, istituto dove quest’anno avrebbe dovuto diplomarsi. Abbiamo deciso di usare il termine Maestro in queste poche righe, poiché ogni tanto, nonostante la riforma, le sigle, progetti e progettini, studenti, professori, docenti, dottori e dottorandi, ci piace intravvedere quella scintilla di romanticismo, quell’empatia, quell’ abbraccio che durerà per tutta la vita e anche oltre, che all’alba di ieri ha dato la forza a Rosario Barbarulo di avvertire, quanti conoscevano Antonio, attraverso l’umana parola. Quel maledetto sabato, la serata trascorsa a Cava de’ Tirreni, il ritorno, lo scodinzolo del motorino su di una strada, la statale all’altezza di Molina piena di buche, lo sbalzo nell’altra corsia, un’auto gli prende la testa, il suo appuntamento con la morte, poco dopo l’una della domenica. Mai così reali i versi de’ La Bufera. Un coacervo di dolore quello in cui è stata trascinata la famiglia di Antonio, il padre Alfonso, la madre Francesca Papalino, la sorellina MariaRosaria, l’intero Liceo Alfano I, il Conservatorio “G.Martucci”, presso cui si accingeva a frequentare il III anno nella classe del Maestro Paolo Cimmino, gli amici più stretti, una scuola quella delle percussioni che funziona splendidamente poiché c’è sana competizione e allo stesso tempo collaborazione, cameratismo, che abbiamo toccato con mano qualche volta, “gioco” e “conoscenza”, che in greco posseggono la stessa radice. Stamane, il dirigente scolastico Elisabetta Barone ha indetto per le 11,30, una cerimonia, nell’Aula Magna dell’Alfano I per ricordare Antonio attraverso lo strumento che più amava, il tamburo. Suonerà a lutto il tamburo, sarà “scordato”, il suo suono incrinato, ferito. E’ sembrato un brutto sogno la notizia dell’alba a Simone Parisi, insieme da ragazzetti nella banda di Vietri, come ai maestri che lo hanno accolto da piccolo e gli hanno messo gli strumenti in mano per consegnarlo alla vita, costruendo giorno dopo giorno la sua carriera musicale. “La tua grande passione per la Musica – si legge sulla bacheca Fb di Rosario Barbarulo – la tenacia, la tua allegria, ti hanno sempre contraddistinto, le battute per la tua amata Salernitana hanno creato tra noi un rapporto che andava oltre gli schemi di scuola, per me eri un amico, adesso tutto svanito. Ma io non voglio arrendermi: domani come da calendario alle 13.05 al suono della campanella ti aspetto in classe per la nostra lezione di percussioni preparando il nostro Pad per il riscaldamento al Tamburo che a te piaceva tanto. Non mancare”. Ai funerali, che non hanno ancora una data, in attesa dell’autopsia, ma si svolgeranno nella chiesa di San Giovanni, essendo la famiglia votata al Santo dell’Apocalisse, parteciperanno gli ensemble del liceo Alfano I e del Conservatorio per ritrovare Antonio tra le note. Ancora attoniti, per l’improvvisa scomparsa di Antonio, ragazzo, schietto e sincero, per aver perso inaspettatamente l’amico che ci voleva bene, con il quale si è condiviso momenti che sono patrimonio di un’umanità che cresce e migliora attraverso un’azione etica, ci stringiamo con grande affetto alla famiglia larghissima del giovane percussionista che comprende ben due scuole e tutti i suoi maestri. Un suono ci giunge da lontano, non si arresta, al di qua dei segnali definiti, al di qua del silenzio, che è solo un’apparenza, quel tamburo, mai più scordato e scorato, la voce di dentro di Antonio, che è la nostra, poichè l’uomo è libero e vive in quanto trascende con il proprio pensiero la stessa vita immediatamente vissuta, quando pensa la Vita.





