Antiterrorismo a lavoro tra Eboli e Battipaglia - Le Cronache Attualità
Attualità Eboli

Antiterrorismo a lavoro tra Eboli e Battipaglia

Antiterrorismo a lavoro tra Eboli e Battipaglia

di Peppe Rinaldi

 

Nella grande discarica di uomini, animali e cose che ridisegna l’area agricolo-costiera che va da Battipaglia ad Eboli e viceversa, trovi di tutto. I colleghi di “Fuori dal coro” di Mediaset, proprio qualche giorno fa, hanno realizzato un breve reportage sul posto, un servizio che, tra l’altro, ha suscitato un moto di stizza di media e istituzioni locali cui, forse, non aggrada che venga ricordato che il colore della neve è il bianco. Il contesto è noto, ci vogliono sangue freddo e tenacia sufficienti per sottrarsi al flusso dei sensi di colpa, immotivati, nel guardare ciò che vive e si muove tra viottoli, slarghi e traverse di un’area sottratta a ogni norma, legale e morale. Degrado, violenza, sopraffazione, traffici vari, «sfruttamento dell’uomo sull’uomo», ricettazione, falsi permessi di soggiorno, furti, ricettazione, pedofilia, prostituzione, caporalato. E jihad: sì, anche questo è un problema che tocca quell’area, quindi tocca tutto il mondo. Non è argomento molto dibattuto, si fanno mille spallucce quando solo vi si accenni, siamo tutti «internazionalisti» con la gola degli altri, snobbiamo la realtà del nostro giardino, la dissimuliamo per impacchettarla e spedirla sulle nuvole con il canto funebre per poveracci sfruttati e oppressi. Nel frattempo lo sfregio è compiuto, ogni principio di civiltà è andato a farsi benedire e i «poveracci» stanno peggio di prima, basta farsi un giro e osservare. Eboli, in particolare, è stata scaraventata nell’abisso da quando ci fu una parziale liberazione dell’area dalle case abusive decisa dall’allora amministrazione comunista 30 anni fa, un caso da manuale di eterogenesi dei fini. Risultato: nasce il «Selestan», incubo e anarchia a braccetto. Cosa c’entri la (non) costruenda moschea a Santa Cecilia di Eboli e la islamizzazione in corso del territorio, non solo costiero, non è difficile da capire; come non sarà difficile comprendere perché da certe premesse generali, anche datate, si arrivi addirittura all’indecente spettacolo offerto dai cortei del 25 aprile e del primo maggio, a Salerno e altrove, culminati con l’orrenda canea razzista, essa sì, di questi giorni per la tragedia autoinflitta di Gaza (vedi foto). Tutto si tiene.

Le politiche di integrazione hanno fallito, se non in dimensioni piccole e private, non mostrano un senso o un’anima di fondo, sono frammenti di desideri e interessi unilaterali degli integratori con scarso seguito presso gli integrati o gli integrandi, specie se islamici.

 

Spineta-Lago-Campolongo: la direttrice del male

 

Si chiama Spineta-Lago-Campolongo l’area dove la radice di questo male ha attecchito con potenza. Per le forze dell’ordine combatterlo sembra spesso inutile, non solo per le croniche ragioni legate alla scarsità di mezzi, di personale e di risorse; non solo per un quadro normativo confuso, dispersivo e poco incentivante; non solo per le inclinazioni culturali di un pezzo importante di magistratura; non solo per la militanza squilibrata di pezzi di un clero «in jeans» ansioso di piacere al mondo, ma anche per un motivo terribile, sottaciuto troppe volte: l’accusa di razzismo, talora esplicita talaltra sottile, in capo agli operatori. “Le Cronache” s’è abbeverata, per quanto possibile, a fonti interne all’apparato investigativo salernitano e campano e tutte confermano, in sintesi estrema, questo dato: non riusciamo a portare a termine quasi niente che non sia assolutamente inevitabile o che abbia un clamore mediatico approvato dall’alto, se interveniamo su qualcuno, se proponiamo interventi di un certo tipo, se, insomma, proviamo a fare ciò per cui siamo pagati e che è giusto fare, scatta l’alert del razzismo e tutto si paralizza. Gli stessi stranieri conoscono a menadito la cantilena, vengono istruiti, respirano «quel» tipo di aria, frequentano «quel» tipo di persone italiane, usano «quella» litania vittimistica perché sanno che i primi a crederci saranno gli integratori, sia quelli coscritti che quelli imbottiti di fesserie altermondiste. Questo è quanto ci hanno raccontato, e non è neppure una novità, il razzismo di oggi è creato in laboratorio. Coperti da un comprensibile anonimato, gli operatori dell’antiterrorismo confermano a Le Cronache la tesi di questa piccola inchiesta: la direttrice dell’area individuata tra Eboli e Battipaglia è luogo di transito e nascondiglio di estremisti islamici, accanto a tutto il resto, a partire da «moschee» e «centri culturali» abusivi, a tacer di attività commerciali sparpagliate e mantenute peggio che nei paesi di provenienza, che le sempre vispe e occhiute associazioni imprenditoriali e di categoria non si sognano di denunciare, sarà forse per la famosa autocensura. Vengono assorbiti dai residenti dell’area, svaniscono nel nulla, si confondono tra braccianti e nullafacenti, dei quali spesso fanno parte, tutti sanno chi siano, cosa facciano, cosa farebbero e perché sono apparsi all’improvviso per poi sparire: non ce n’è uno che denunci, uno che allarmi, uno che avverta del pericolo derivante non da pochi pazzi bensì da numerosi e dissimulati applicatori di una dottrina condivisa da masse sterminate di persone. Più o meno come accade nella fantomatica Palestina, dove solo le nostre menti malate continuano a vedervi un unico blocco di vittime incolpevoli per le quali vale fare la battaglia della vita: purché si faccia su Facebook.

 

L’abbraccio con la camorra e il nucleo del Gia algerino 20 anni fa

 

Secondo acquisizioni investigative, anche recenti, chi controlla una parte del circuito degli alloggi per queste persone è riconducibile a un paio di clan di camorra del napoletano, in specie un gruppo di Castellammare di Stabia. Il legame tra Napoli e relativo hinterland (Arzano, in particolare, è sede di stamperie clandestine di alto livello) con l’Algeria per il traffico di passaporti falsi è nota da anni, e Napoli è a un tiro di schioppo. Oltre 20 anni fa, poco prima che il mondo venisse brutalmente rovesciato con l’11 settembre degli Usa, giorno di festa con distribuzione di dolcetti e inni all’Altissimo per le strade dei pacifici palestinesi, fu segnalato il transito nell’ex mercato ortofrutticolo di San Nicola Varco (dove oggi c’è il Cilento Outlet Village) di tre militanti del “Gia”, Gruppo islamico algerino, sanguinari tagliagole salafiti che in quegli anni sgozzavano persone in quantità industriali. Di questi, uno venne intercettato dai carabinieri, al tempo guidati da un giovane ufficiale dalla schiena dritta e dal senso del mestiere, portato in caserma e interrogato per una notte intera: erano ancora gli anni in cui un esponente delle forze dell’ordine poteva lavorare senza l’incubo che uno sguardo di troppo a un delinquente qualunque comportasse per lui l’accusa di tortura, altro regalo fatto al sistema Italia dalla sgangherata combriccola progressista in Parlamento. Ancora non si sapeva cosa fosse Al Qaeda, l’Isis men che meno e l’intifada, che già scannava ebrei da anni non con la fionda ma facendosi esplodere tra civili innocenti sui bus e nei bar – la chiamano Resistenza – , era guardata con ammirazione e trasporto da quel mezzo mondo afflitto dalla nota patologia. “Ogni lavoro che facevamo, in ogni operazione di un certo tipo c’era sempre qualcuno che ci diceva di stare attenti…se no sembriamo razzisti: finché, a furia di autocensure e timidezze, la situazione ci è sfuggita di mano, come vediamo oggi nelle strade e nelle piazze”, confida a Le Cronache l’ufficiale oggi tra gli alti ranghi dell’Arma.

Fu al «Lago» che nel luglio del 2021 la Polizia intercettò e arrestò Afia Abderrahman, noto come Abu Al Bara, terrorista marocchino affiliato ad Al Nusra, la corrente dell’Isis cui aderiva l’attuale «presidente» siriano Al Jolani, mentre giocava alle slot machine in un bar circondato da un gruppo di connazionali che sapevano bene chi fosse e cosa facesse. Abu Al Bara, dopo l’arresto, nominò come legale l’avvocato Cembalo, noto nel mondo degli immigrati islamici del territorio per una serie di motivi che oggi lo vedono nei guai con l’autorità giudiziaria di Salerno, ma questa è un’altra storia. Molti i foreign fighters (i combattenti esteri) che transitano tuttora in zona Lago, tanti, monitorati dal nostro efficiente personale dei reparti specializzati costretto a lavorare tra mille ostacoli: come Ez Heddine Gharroumi, che stazionava in questa area, seguito fino a Milano e poi lì arrestato, processato e infine espulso per terrorismo.

Di rimando a tutto ciò troviamo la trappola mentale nella quale in molti cadono, anche figure di un certo peso intellettuale e culturale: bisogna distinguere – recitano in coro -, una cosa è l’islam, altra cosa sono gli estremisti. Come no: al netto di casi eccezionali, chi non ha notato le maree e maree e maree di musulmani che scendono in strada in ogni angolo del mondo per protestare e prendere le distanze dagli estremisti che gli rovinano la religione? (3_fine)