«Ritengo che l’attività politica che sostiene e connota la vita delle nostre pubbliche amministrazioni sia talvolta più complice che vittima della paludata burocrazia che ci affligge. Talvolta, le attenzioni sono più rivolte a scegliere personale gestibile e fidelizzabile che funzionari competenti e liberi dagli interessi elettorali. Si verifica così una proliferazione di annunci normativi senza che, poi, ci si impegni concretamente per dare attuazione alle norme. Il tutto, con una grande dispersione di tempi e con attese che pregiudicano o affossano del tutto le attività private. Si dà importanza e valore al ruolo più che avere riguardo all’interesse collettivo, che risulta travolto con pregiudizio per gli interessi degli ultimi, come accade quando la richiesta è finalizzata, come nel caso di Villa dei fiori, a potenziare e rinnovare servizi di prima necessità nell’interesse di categorie svantaggiate».
È questo il pensiero del giornalista Andrea Manzi, al quale abbiamo chiesto un parere sull’attuale deriva burocratica delle nostre istituzioni, che alcuni giuristi hanno definito una “stravagante degenerazione burocratica dell’anarchia”. Manzi è stato, tra l’altro, caporedattore del Mattino, fondatore e direttore, per il gruppo “l’Espresso”, del quotidiano La Città e vicedirettore del Roma, una lunga attività che gli ha consentito di verificare i disagi dei cittadini rispetto ai ritardi delle decisioni amministrative e ai danni provocati da una burocrazia dietro la quale spesso si nascondono interessi di istituzioni che bloccano le attività private con motivazioni arbitrarie se non addirittura annullate dal controllo giurisdizionale.
«Nelle pubbliche amministrazioni, specie quelle meridionali, dovrebbe farsi largo un reclutamento del personale ispirato dal merito, nonché dalle capacità attitudinarie e interpretative degli addetti, il che dovrebbe preludere a una profonda e innovativa riscrittura dei controlli anche civili e penali. D’altra parte, favorire una moderna ed efficiente capacità amministrativa è una finalità imposta da leggi e regolamenti anche per poter utilizzare i fondi strutturali. Si chiama, con linguaggio comunitario, “capacity building”. Il che significa che nessun territorio, specie quelli meridionali segnati da un ritardo storico in termini di sviluppo, può affacciarsi sul futuro e realizzarsi in maniera competitiva senza le competenze necessarie. Nei nostri contesti meridionali si va addirittura oltre e si ritardano le decisioni o le si articolano in modo tale che confliggano con il diritto per creare difficoltà a operatori che, probabilmente, vengono considerati poco funzionali a un progetto elettorale e di puro potere. Naturalmente, non è il caso di generalizzare, ma quando ciò accade le conseguenze – continua Manzi – sono dannosissime e provocano pregiudizio non solo a chi incappa in questi meccanismi oscuri e impuri ma a tutta la società che finisce per vedersi privata di opere e di servizi. La pubblica amministrazione, quindi, da alleata quale dovrebbe essere finisce per diventare ostile al cittadino, se non addirittura antagonista».
L’amministrazione pubblica, tra l’altro, non dovrebbe essere ermetica nelle sue decisioni e nei suoi percorsi burocratici. «Al contrario – sostiene Andrea Manzi – l’amministrazione dovrebbe, sin dall’inizio del percorso che il privato intraprende, far conoscere con chiarezza quali sono gli obiettivi possibili e quelli vietati, come costruire la pratica o il procedimento, ponendosi fattivamente al servizio del cittadino e dell’impresa con fare costruttivo. Invece accade – continua il giornalista – che si frappongano ostacoli, in qualche caso artificiosi, senza mai chiarire come superarli per poter raggiungere l’obiettivo. Naturalmente, questa deriva impone serie riflessioni in termini di legalità e di modernità della pubblica amministrazione e suscita inquietanti interrogativi sulle strategie e sulle finalità di tali condotte. Al punto che alcuni interventi della magistratura, teoricamente non auspicabili perché limitativi del valore e dell’autonomia della pubblica amministrazione e anche della politica, finiscono per apparire indispensabili per riparare ai danni e ricostruire una certezza del diritto, senza la quale la democrazia perde il suo valore sia formale che sostanziale».