Alfonso Gatto: Il poeta fra calcio e ciclismo - Le Cronache
Salerno

Alfonso Gatto: Il poeta fra calcio e ciclismo

Alfonso Gatto: Il poeta fra calcio e ciclismo

di Orlando Santoro
Una bici ed un pallone, fra tour e stadi, ancor oggi si vedono i ricami.
Un nuotatore che non pedalava, cadendo e scrivendo, lo sport immortalava.
Cronache e fatti, da Coppi a Rivera, la sua dolce penna è ancor più vera.
Lontano dalla terra che gli diede i natali, il poeta Gatto, quello di ieri e del domani.
Alfonso Gatto, noto per i suoi versi, nutriva una forte passione per lo sport, soprattutto per il ciclismo e per il calcio. Il poeta salernitano seguì lo sport per tutta la vita e lungo l’intero arco della sua attività giornalistica, attività che svolse con una grandissima serietà professionale, cercando di equilibrare la cronaca con quel che gli era più consono, il tentativo di estrarre dagli avvenimenti la radice profonda. Dal ciclismo al calcio fino alle Olimpiadi, Gatto si occupò molto e a lungo per conto di diverse testate dei fatti agonistici. Né fu l’unico tra gli scrittori italiani del Novecento: nel giornalismo sportivo si cimentarono, tra gli altri, Vasco Pratolini, Dino Buzzati, Giovanni Arpino, Anna Maria Ortese. Nel 1947 e nel 1948, Gatto seguì il Giro d’Italia per “L’Unità”. Pagine suggestive quelle del poeta chiamato qualche anno più tardi dal “Giornale del mattino” di Firenze per raccontare il Tour de France del 1958 e ancora il Giro del 1959. Successivamente, il “Giornale” di Indro Montanelli affidò alla penna rossa di Gatto la rubrica” La palla al balzo” curata con riferimento prevalente, ma non esclusivo, ai campionati di calcio del 1974-75 e 1975-76. Un giornalista fortemente di destra chiamò a collaborare dunque un poeta fortemente di sinistra, a dimostrazione dell’apertura mentale di entrambi, Montanelli e Gatto.
Tifoso della squadra della città che gli diede i natali, simpatizzante del Milan ed in particolar modo di Rivera, Gatto era un abile nuotatore, amava il ciclismo, il calcio, ma non sapeva andare in bicicletta.
Tra i ciclisti che si lanciano lungo discese da capogiro, che scalano montagne dondolando come ballerine e soffrendo come pugili, un uomo che non sa andare in bici fa sicuramente notizia. E infatti, quando la voce si diffonde tra capitani e gregari della carovana, il poeta salernitano diviene il caso da additare e da guardare con commiserazione.
Lo scrive lo stesso Gatto in un articolo da Pescara, del 6 giugno, raccolto, insieme ad altre cronache del poeta dal Giro e dal Tour, in un volume del 1983, ormai introvabile, curato da Luigi Giordano per conto delle edizioni “Il Catalogo” di Lelio Schiavone.
Quel giorno Coppi, “che è un bravo ragazzo” scrive Gatto, propone di fargli da maestro. “Si immagini quale onore per me – risponde l’autore de Il capo sulla neve – ” ma è come se un bambino che deve frequentare la prima classe abbia per maestro un professore d’Università”. Il campione insiste e i due si danno appuntamento per una lezione. Anche davanti all’insigne professore, Gatto non riesce a stare in equilibrio, ha paura di fallire, si sente inadeguato. “Mi lasci scendere”, supplica. E’ troppo tardi, il poeta crolla per terra, mentre Coppi scuote la testa e decine di curiosi “non si azzardano nemmeno a ridere per la soggezione di vedersi lì Coppi davanti con l’aria del maestro”. “Ma io so nuotare” cerca di spiegare Gatto a Coppi e agli altri, senza ottenere però nemmeno un’alzata di spalle. Il risultato fu disastroso solo in apparenza, perché il poeta, raccontando quell’episodio su “L’Unità”, ci regalò una frase memorabile: Cadrò, cadrò sempre fino all’ultimo giorno della mia vita, ma sognando di volare. Per Gatto le biciclette diventano “Macchine da angeli” e quindi ” non possono servire solo a camminare, sono come le parole, ci permettono di comunicare, di aprire nuovi orizzonti, di cadere per sognare di volare”.
Inoltre è da precisare che vi è una differenza sostanziale fra il Gatto ciclista e quello calciatore.
Quando il poeta racconta del Tour, entra nel giro della corsa, mentre nel calcio è fuori, ovvero, come osservava Gianni Mura, Gatto può essere: “seduto in uno stadio o davanti alla tv ma per quanto
s’immedesimi e parteggi sarà più spettatore che attore, infatti trasmette emozioni, è un osservatore del pubblico sportivo,ed è sempre pronto ad approfondire qualche aspetto particolare oppure a lasciarsi trascinare dal suo estro creativo, regalandoci veri lampi di poesia anche nei resoconti dagli stadi”. È proprio per questo interesse verso la vita che cronaca giornalistica e poesia si incontrano: il poeta guarda i sentimenti, scruta i pensieri, legge i comportamenti e non si limita all’arida narrazione di una partita di calcio. Molto emblematico è il suo articolo del 1975, scritto per Gianni Rivera, dove definisce il calciatore: “un uomo puro che ha onorato l’intelligenza e la cultura dello sport, lasciandoci negli occhi la sua immagine di ragazzo invulnerabile che rinvia al mittente l’ingiuria che nemmeno riesce a scalfirlo”. Il calcio viene paragonato da Gatto, alla poesia, “un gioco che vale la pena vivere, anche il poeta ha il proprio campo verde ove parole, colori e suoni vanno verso l’esito felice”. “Fa anche lui il gol o lo lascia fare, dando spazio alle ali, al lettore che gli cammina al fianco e che entra in porta con lui, nella felicità di avere colpito il segno”.
Naturalmente non mancò un inno alla sua salernitanità, infatti nel 1975, scrisse per la squadra della città che gli diede i natali e che con tanto amore e lontananza seguiva con un pizzico di nostalgia: “Voglio bene alla serie C, sono nato, cresciuto e pasciuto con la serie C e non ho mai dubitato che, a parlare di noi laggiù, era l’Italia tutta. La Salernitana, che arrivò persino al salotto dei Grandi, ebbe in una piazza d’armi, il suo primo campo. Io voglio bene alla mia serie C, agli eroi di casa”.
Alfonso Gatto, il poeta ermetico del ‘900, che con la narrazione di fatti di cronaca sportiva, ha regalato momenti entusiasmanti e soprattutto adornati da una penna che, ancor oggi, delizia l’animo dei lettori e di quei tanti che non l’hanno dimenticato.