di Erika Noschese
L’arresto di Franco Alfieri, ex presidente della Provincia di Salerno ed ex sindaco di Capaccio Paestum, ha scoperchiato il vaso di Pandora. E oggi, sul tavolo della Procura, ci sarebbe un dossier di oltre 2mila pagine e un centinaio di omissis. La lista degli indagati è lunga: la Guardia di Finanza, giustamente, oggi non sembra intenzionata a mollare la presa su un sistema che ha messo radici nel Cilento, portandolo alla distruzione totale. Tutto, nel mondo di Franco Alfieri, girava attorno alle opere pubbliche, il mezzo più veloce per ottenere e fidelizzare il consenso. E così è stato. Ma Alfieri non era solo, non lo è mai stato e, soprattutto, non agiva da solo, ma la regia era la sua, da sempre, perché in ballo c’era la sua poltrona, la sua mania di protagonismo, questo Alfiericentrismo che oggi sembra averlo spedito direttamente in carcere, oltrepassando la linea del lecito, del consentito, del pulito. Tutto è stato macchiato da mani che hanno avuto, fin dal giorno zero, un solo obiettivo: il potere. Dimostrare di avere consenso, sempre e comunque. Da Torchiara a Capaccio, passando per Agropoli. Un potere che ha mantenuto anche dopo la scadenza dei mandati quando, per capriccio forse, sceglieva di candidarsi alla carica di primo cittadino in un comune diverso, senza mai interrompere il filo diretto con l’altro ente. E caso emblematico è la campagna elettorale ad Agropoli. Candidato sindaco Roberto Antonio Mutalipassi, uomo del Pd che negli anni sembra aver gradito non poco quel concetto tanto indegno delle fritture di pesce. Ebbene, nel giorno di uno dei più importanti appuntamenti con l’elettore, al CineTeatro Eduardo De Filippo, Franco Alfieri sale sul palco e monopolizza la scena. Per lui, solo per lui, standing ovation, cori da stadio, perché il messaggio che Alfieri ha fatto passare era uno ma chiaro: le sorti di quella città dipendevano ancora da lui e sarebbe stato sempre così. Roberto Antonio Mutalipassi avrebbe solo dovuto mettere in pratica ciò che lui riteneva opportuno, senza alcuna autonomia. Nulla di più vero. Nulla di più grave. Tutto ciò ancora oggi caratterizza quest’amministrazione. E non è la sola. Oggi abbiamo la consapevolezza di avere al potere – e in non pochi comuni della provincia – amministratori incapaci di agire in totale libertà, nel solo interesse del popolo. Abbiamo marionette, oggi in preda a crisi isteriche che gridano giustizia e verità. E no, non per i cittadini ma per quell’uomo che dovrebbe avere il coraggio di dire addio alla poltrona, alla fascia tricolore, al consenso. Ammettere gli errori, fare un passo indietro, uscire di scena. Accompagnato, questa volta sì potrebbe essere consentito, da un lungo applauso.