di Erika Noschese
«Mio figlio abbandonato dalla scuola e dalle istituzioni». A lanciare l’appello Antonella L., mamma di un bambino di 14 anni – di Cava de’ Tirreni – affetto da disturbo Adhd aggressivo. Si tratta di un disturbo da deficit di attenzione e iperattività. La famiglia, come già anticipato, vive a Cava de’ Tirreni dopo un trasferimento a Genova, per questioni lavorative, dove si è vista sottrarre il figlio dagli assistenti sociali per essere affidato alle cure di una struttura specializzata. «Mio figlio, come tutti i bambini, affetti dalla sindrome di Adhd, é iperattivo, ansioso ed ha bisogno dell’assistenza costante di un educatore, nonché di uno psicologo che lo segua anche nel doposcuola», ha spiegato ancora la mamma, Oss di professione, specializzata in psichiatria e disabilita e per motivi di lavoro, costretta – per l’appunto – a trasferirmi a Genova «e a portare ovviamente anche i miei figli, allora il mio bimbo con adh frequentava la scuola primaria». Il calvario del 14enne inizia nel 2016, con la frequentazione della quinta elementare. «Mio figlio fu costretto a cambiare istituto scolastico, poichè discriminato dagli altri ragazzini, dai professori e dal preside della scuola di Genova, in quanto ritenuto violento ed un “piccolo boss” del sud – racconta la mamma – Viene segnalato dai dirigenti scolastici alle assistenti sociali che iniziano un percorso con noi». La situazione del figlio di Antonella degenera, quando le assistenti sociali decidono di togliergli l’educatore, una figura di riferimento per lui. Da quel momento diventa più agitato e più violento, tanto che viene mandato in una comunità dove c’erano ragazzi più grandi con disturbi e dipendenze che non avevano nulla a che fare con
il disturbo dell’adolescente. «A me mi venne revocato l’affido, non solo nei confronti del bambino con Adhd ma anche nei confronti dell’altro mio figlio più piccolo – spiega ancora Antonella – Disperata nel vedere mio figlio peggiorato nei suoi comportamenti in quella comunità, per altro quotidianamente sedato, decido di attivarmi, al fine di cercare una struttura idonea nella quale esso possa essere curato in maniera adeguata alla sua sindrome». Ed è così che torna al sud ed individua una struttura che si trova a Nola. Dopo tante battaglie, portate avanti dalla donna, il figlio esce dalla comunità. La famiglia però da un anno attende, invano, un percorso per il figlio: a maggio gli è stato disposto dalla neuropsichiatra di entrare nella struttura a Nola ma ad oggi nulla è cambiato. «Ancora una volta invano attendiamo di essere chiamati per farlo curare perché l’Asl di riferimento, quella di Nola si rifiuta di dare il nullaosta. Nel frattempo, io ho perso il lavoro e mio figlio non frequenta più la scuola, poiché gli é stata rifiutata l’iscrizione da parte di un istituto scolastico di Cava,trascorrendo le sue giornate, girovagando per strada», racconta ancora la donna che si è rivolta al presidente Pignalberi, chiedendogli di sollecitare le istituzioni, nonché l’Asl di Nola, a prendersi cura del giovane, abbandonato a se stesso dalle assistenti sociali, dalla scuola e dalle istituzioni. «Questa struttura è idonea per il suo disturbo ma, inconcepibilmente, l’Asl di Nola non dà il nulla osta. Non si sa quale sia la motivazione. È vergognoso lasciare così un ragazzino, senza un percorso, senza scuola e io come mamma sentirmi dire che se accade qualcosa la responsabilità è mia». Mamma Antonella lancia così un appello alle istituzioni: «Fate qualcosa per mio figlio,perché la situazione sta degenerando, mio figlio si sente totalmente escluso ed emarginato». La mamma è estremamente preoccupata in quanto «si sentono troppe “brutte vicende” legate ai ragazzi – ha detto – Solo dopo che accadono “le tragedie” poi si vuol far finta di intervenire? Da mamma è straziante vivere con l’angoscia che possa accadere qualcosa». Da qui poi l’attacco al governo centrale e regionale: «invece di sperperare soldi pubblici per arricchire le comunità e le case famiglia, li utilizzassero per dare sostegno alle famiglie e non per distruggerle. E possibilmente sostengano prima le famiglie italiane e poi quelle degli immigrati, perché essere secondi in casa propria non se ne può più. Ma soprattutto anche la scuola non deve abbandonare questi alunni, seppure difficili, ma deve essere vicina alle famiglie, avendo insegnanti di sostegno che giustifichino lo stipendio che prendono per dare una mano alle famiglie».