Nella cucina del cuoco filosofo, alla Tenuta Nannina di Fisciano, arriva prima di tutto l’amore per il cibo, per la tradizione, per la famiglia, per la materia prima, per la purezza dell’ingrediente. Tutto condito con una bella dose di peperoncino, aglio e cipolla.
Di GIULIA IANNONE
Continua il nostro viaggio tra gli ambasciatori della cucina campana e in particolare salernitana. Oggi vi raccontiamo il credo culinario di Rocco Iannone, che abbiamo incontrato tra i fornelli della Tenuta Nannina di Fisciano
Come nasce Rocco Iannone Chef?
“ Mi piacerebbe essere chiamato cuoco. Il cuoco è una persona che resta ancora nel mondo artigianale, molto legata al territorio. Lo chef è un grande professionista, che si appoggia molto alla globalizzazione e che si è allontanato un po’ dall’etica della grande ristorazione, quella di avere un contatto diretto con gli artigiani, gli agricoltori ed i pescatori. Quindi, preferibilmente mi sento più cuoco che chef”.
Allora riformulo: come nasce Rocco Iannone Cuoco?
“ Ormai sono trascorsi ben 25 anni dai miei esordi. Sin da piccolo, sono sempre stato molto appassionato di cucina, di ingredienti buoni e poi ho avuto anche la fortuna di avere i genitori- sono tutt’ora viventi- molto legati e sensibili alla natura. Un padre cacciatore, cercatore di funghi e tartufi e quindi a casa mia si è sempre mangiato bene. Ovviamente ho scelto l’alberghiero, perché sentivo già che il mondo della cucina era il mio posto. E’ sempre stato qualcosa di innato. Io ed il cibo buono, siamo la stessa cosa, siamo nati insieme oserei dire!”
Qual è la tua filosofia in cucina: secondo alcuni la cucina è fatta di ricordi. Sei d’accordo?
“ Il mio motto recita: “La cucina è una cosa seria”. In qualsiasi tipo di evoluzione, non bisogna dimenticare da dove si proviene, da dove si proviene è molto importante per uno come me che ha origini campane. In questa terra le origini, le tradizioni sono ancora molto forti, sentite, i sapori e i profumi rappresentano quello che è la mia espressione in cucina. Il ricordo più attento affianca una cucina nella quale bisogna esprimere l’innovazione. Questo tipo di ricordo, deve essere fatto concretamente di materie prime, preferibilmente di artigiani, eticamente proveniente da filiera certa, ovvero devo sapere chi ha messo le mani sui miei ingredienti. Gli ingredienti ,così pregiati, il lavoro lo fanno da soli e concorrono a creare il mio ricordo. Quando la materia prima è buona, il grande interprete dell’ingrediente non deve fare altro che non rovinare il sapore stesso della cucina. Sono adesso molto orientato verso una cucina molto semplice e naturale, che evidenzia soprattutto il valore essenziale della materia prima”.
Abbiamo parlato delle origini del cuoco, del valore dei sapori appresi in famiglia. Ora bisogna citare l’esperienza professionale. Dopo esserti iscritto all’alberghiero, che è successo al futuro cuoco?
“ Sono uno dei pochi cuochi in Italia che ha lavorato a contatto con tre stelle in Italia e tre stelle in Francia. Ringrazio moltissimo tutti i posti blasonati in cui ho avuto la fortuna di poter lavorare. Sono luoghi che ho scelto , con particolare attenzione, perché miravo i posti in quanto assomigliavano a quello che io volevo fare. Posso citare Alfonso Iaccarino a Sant’Agata sui Due golfi, San Domenico di Imola, Alain Ducasse a Montecarlo, la terrazze a Juan Les Pins in Francia. Tutti posti, che comunque assomigliano a quella che è la mia idea di cucina. Ovviamente, i posti fanno tanto, però credo di aver capito a distanza di tempo, che molto derivi in cucina da un dono del Signore. Gli chef ed i cuochi possono darti tanta esperienza, però alla fine il di più è sempre personale e soggettivo. Mi reputo un fortunato. Tanti mi dicono che ho un contatto con il cibo, simile ad un dono, raro da trovare. Questo per me è solo definibile come un dono del cielo”.
C’è un famoso film televisivo che si intitola: “In cucina niente regole”. Sei d’accordo o ci sono delle regole da seguire?
“ Se si tratta di una cucina, come la interpreto io, sono pienamente d’accordo. Personalmente sono un istintivo, come cambiano le giornate, il tempo, il sole, l’umore dei collaboratori, così cuciniamo. Questo perché si tratta di un momento artistico, non ripetibile, che si consuma in quel momento. Ecco perché la regola non esiste, se è un fatto artigianale il piatto non può essere mai uguale, né nell’estetica, né nel gusto, perché gli ingredienti cambiano tutti i giorni. Quindi W gli artigiani! Se poi la regola è quella degli “Chef”- ma non per essere polemico- per cui la ricetta deve avere una fotografia, gli ingredienti seguiti alla lettera, non bisogna mai sbagliare perché tutto deve essere sempre uguale, allora dico che la regola esiste. In tanti posti in cui ho lavorato, non si può cambiare lo schema della ricetta, purtroppo lì la regola è esatta”.
Lo abbiamo capito benissimo, tu hai un rapporto col cibo, con la natura, con l’ambiente, molto speciale. Cosa troverò allora nel piatto, quando vengo a mangiare da te?
“ Ho aperto una nuova attività . Si trova a Penta di Fisciano e si chiama Tenuta Nannina. Essa finalmente rappresenta la mia idea di cucina. Ho lottato molto per realizzare la mia attività, all’interno della mia azienda agricola, quasi 12 anni ho impiegato per realizzare questo progetto. La definisco una vetrina aperta nella natura, rappresentata da un bellissimo orto, castagneto, un noccioleto, un meleto di mele annurche, facciamo il miele, produciamo olio, tantissimi tipi di frutta. Questo è un traguardo molto importante raggiunto nella mia carriera, perché finalmente sono riuscito a tornare indietro ma guardando avanti, perché oggi tornare indietro vuol dire essere avanti. Sembra un controsenso, ma è proprio così. Seguire il prodotto dall’inizio, curarlo, coccolarlo, senza usare additivi, pesticidi o fitofarmaci e poi portarlo in cucina e dopo in tavola, probabilmente oggi nel 2020 è essere avanti. Avere un uovo prodotto da una gallina felice che si muove libera nella natura all’aria aperta, toccandolo con mano, questa è la più grande innovazione che si possa avere. Sono molto appassionato ed innamorato del mio lavoro, e questo mi fa cucinare proprio felice e gratificato, sicuro di quello che porto in tavola ai miei ospiti in sala”
Il tuo slogan a tenuta Nannina non è Km 0, bensì mm 0?
“ Ormai da noi è tutto 0. Questa mia nuova realtà, che sta a Fisciano, rappresenta il punto di partenza, ma soprattutto perché abito in un territorio, pieno di artigiani e tutti i giorni si può prendere ancora insegnamento da qualcuno, che ti dà dei veri e profondi valori. Tanti miei colleghi sono persi, e non si riesce neanche più a parlare con loro di gastronomia, perché il business e l’aspetto economico vengono prima dell’amore per il cibo e la cucina. Per me, arriva ancora prima l’amore per la cucina, certo poi anche i soldi e l’attività, non posso negarlo, perché l’attività deve funzionare per poter pagare i dipendenti e tutto quello che c’è intorno, ma prima di tutto penso e valorizzo il cibo, perché amo moltissimo quello che faccio”
Puoi citare un paio dei tuoi piatti che più ti rappresentano in questo momento?
“ In questo periodo dell’anno, mi fa piacere raccontare il raviolo farcito con le bietoline di terra asciutta – provenienti dalla mia azienda agricola- con le fave, il guanciale e rosmarino. Tutti ingredienti locali e della mia terra che rappresentano sia il periodo pasquale che l’inizio della primavera, per l’utilizzo delle fave. È una esplosione di sapori. E’ un piatto che ripeto da 20 anni, e pubblicizzo anche sui miei canali social. Sono gli ingredienti del momento che hanno anche dei profumi straordinari. La sala di un ristorante deve profumare di cibo, nel mio ristorante credo che questo sia il mio biglietto da visita, quando noi serviamo i piatti. Io non trovo più profumi ed odori in giro per i ristoranti. Ma quando il cibo è salubre e buono, ovviamente diffonde molto profumo. Il secondo piatto che mi va di citare, è la mia rivisitazione dello spaghettone di Gragnano con la colatura di alici. Questo prodotto cetarese, è diventato davvero un prodotto nobile da prodotto povero che era. Lo reinterpreto con una crema di patate, praticamente è una maionese, fatta con la colatura ma con la base della patata che fa da emulsionante naturale e poi il procedimento è lo stesso. In una bacinella, si mette l’aglio tritato, il prezzemolo, la colatura, un po’ di questa emulsione di patata e colatura ed a freddo si mantecano gli spaghetti. E’ un piatto che trova anche molto consenso a Fort Village, dove lavoro ormai da quasi vent’ anni, ed al pubblico straniero, piace moltissimo”.
Ora ti provoco. Ti piace contaminare la tua cucina con ingredienti provenienti da altre cucine? Sei favorevole a questa invasione da Oriente e dall’Africa?
“Per la verità devo dire proprio di no. Secondo me, gli ingredienti che vengono dall’estero non hanno niente a che vedere con i nostri. Sono campano ed italiano, cucino italiano, però viaggio tanto, non sono contrario a quelli che sono i sapori che non appartengono alla mia terra ed alla mia tradizione di gusti però, credo che, se una persona viene a mangiare da me, deve mangiare, assorbire e definire quella che è la nostra cultura gastronomica. Mi reputo interprete di quella che è la gastronomia del mio territorio. Se arriva un francese o un americano, un giapponese, nel mio ristorante non vuole mangiare i suoi, ma i miei ingredienti. Vuole trovare la mozzarella di bufala campana, il basilico, il pomodoro, l’agnello ed il pesce locale. “
Il vino come lo fai sposare con i tuoi piatti così puri e puliti?
“ In merito al vino vorrei essere un po’ critico verso il pubblico che beve il vino. Se non ha mangiato un piatto, non può capire quale sia l’abbinamento giusto. Questo lo dico anche ai sommelier professionisti, che tante volte abbinano i vini solo per via di alcuni ingredienti. Un abbinamento standard o accademico. Secondo me, a tavola ed a letto, non c’è rispetto e tra il cibo ed il vino, non c’è rispetto. Uno mangia e beve quello che gli piace ed alla fine chi è più contento su questo è il consumatore finale. Un abbinamento perfetto, per quanto mi riguarda, non esiste. Esiste ciò che piace in cucina. Anche l’abbinamento è un fatto commerciale, perché fa vendere di più. Ognuno può fare quello che vuole, in base al gusto personale. Gianfranco Vissani, sosteneva che il vino rosso, può stare bene anche col pesce, dopo tanti anni, per la verità, gli do’ quasi ragione”!
Chi è il tuo mito in cucina?
“ Mia mamma. Si chiama Giovanna Amato, ed è figlia di contadini, di origini casertane. E’ nata cresciuta ed allevata da nonne e mamme, che hanno sempre cucinato. Non solo. Mio padre, anni fa decise, di non farla lavorare grazie alla sua proficua attività lavorativa. Quindi, mia madre si è dedicata solamente alla famiglia ed in sintesi per 40 anni ha solo cucinato. Avere un modello del genere, come punto di riferimento, e riuscire a fare le ricette che lei ha proposto tutti i giorni, per sfamare padre, figli e nipoti, per me sarebbe il più grande successo della vita e della mia carriera. Di sicuro mamma, quando cucina le sue ricette, non sbaglia un colpo, e lo fa senza interessi, ma solo per amore e per cucinare bene. Lei non deve vendere. Questo è un grandioso mito e punto di riferimento pulito. Solo una madre può essere il meglio che possa esistere nella gastronomia”.
Un’ altra provocazione. Che rapporto hai con premi e riconoscimenti, che sicuramente sono venuti nella tua giovane carriera?
“ Sono molto grato, per tutti i premi ed i riconoscimenti che mi hanno dato, e credo di essermeli tutti meritati e guadagnati. Ho sempre grande rispetto dei premi, delle guide, delle stelle. Sono tutti utili per farsi conoscere e per essere appetibili sul mercato, ben vengano e speriamo che esistano sempre. Se non dovessero arrivare più, ed il pubblico di blogger o i giornalisti non dovessero frequentare più il mio ristorante, non me ne farei certo un problema. Continuerei a lavorare per il consumatore finale e per il cliente, che tutti i giorni sceglie di venire da me ad apprezzare la mia cucina”.
Desideri aggiungere qualcosa?
“ La cucina è una cosa seria. Il futuro della cucina, come ho già anticipato dieci anni fa quando sono intervenuto a difesa della grande cucina italiana, mettendomi contro gli additivi chimici, sta svoltando dove dicevo, anche se nessuno in Italia lo riconoscerà mai. Non fa niente, non mi aspetto riconoscimenti in merito. Il futuro sarà naturale, di cucina vera, fatta di cuochi che stanno dietro ai fornelli, e si fanno vedere poco su giornali e televisione, – quelli appartengono alla fase degli chef- e soprattutto ci sarà qualcosa di fenomenale, cui assisteremo penso tra 20/30 anni. Le persone andranno nei grandi ristoranti, per potersi curare da tante malattie degenerative date dal cibo avvelenato. I grandi cuochi del futuro, saranno a servizio della comunità, per salvare il salvabile. Il professionismo sarà un professionismo diverso: prima di tutto basato sullo studio, perché bisogna andare all’università e studiare bene la chimica degli alimenti, ed essere a servizio dei consumatori, perché attraverso il cibo sano, tante problematiche saranno inferiori. E’ un processo molto lungo. Nel mio piccolo, ho iniziato, speriamo di continuare”.
Giulia Iannone