Il vuoto della vendetta - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Il vuoto della vendetta

Il vuoto della vendetta

Successo per “Qui e ora”, scritto e diretto da Mattia Torre e applaudito al Teatro Verdi per la regia di Angelo Generali

 Di GEMMA CRISCUOLI

Esiste qualcosa di peggio di un pauroso incidente: incappare in un uomo intollerante e intollerabile che, come se non bastasse, è il proprio specchio. Se è vero che nulla spaventa quanto la gente comune, la nerissima comicità di “Qui e ora”, scritto e diretto da Mattia Torre e applaudito al Teatro Verdi per la regia di Angelo Generali, è il ritratto spietato di chi non ha e non vuole alcun punto di riferimento, in un vuoto preannunciato dal segnale stradale, che, infatti, non offre indicazioni. Dei due uomini sopravvissuti allo scontro dei propri scooter, Aurelio (Paolo Calabresi, eccellente nella volgare aggressività di chi guarda agli altri come vermi lontani dal suo piedistallo) non si preoccupa certo di soccorrere Claudio (Valerio Aprea, che crea un perfetto equilibrio di rabbia, sofferenza e rivalsa), ma di non perdere la diretta radiofonica con il suo programma, che porta il nome dello spettacolo. Alternerà dunque paradossali interventi al cellulare in cui confermarsi “chef motivazionale”, che trasforma rucola e broccoli in pretesti per una vita da vincenti, ad offese di ogni tipo al malcapitato sdraiato a terra, il “parassita contadino” che dimostra “il fallimento delle politiche di inclusione sociale”. Nella sua vita di amarezze e tentativi di sbarcare il lunario dedotta dal dialogo, Claudio sembrerebbe umanamente superiore al “compagno di sventura”, fronteggiandone le nevrosi con ironia e lucidità: è a lui che vanno le immediate simpatie del pubblico, tanto più che i quindici anni di analisi vissuti da Aurelio sono ancora più disastrosi dei due ruote andati in pezzi. Lo scontro diventa sempre più violento, soprattutto quando è in gioco il possesso dell’unico cellulare funzionante. “Qui e ora” però non è solo il monito di chi non vuole perdere neppure un attimo per affermare il proprio egocentrismo: è anche un momento decisivo del tennis, l’impatto della racchetta con la palla che può decidere le sorti nei modi meno attesi. Ed ecco il colpo di scena: quel che è successo in una strada tagliata fuori da tutto non è stato casuale. Claudio ha voluto piombare addosso al suo interlocutore, fare giustizia di una classe sociale “alta” per esorcizzare la totale mancanza di senso della propria generazione. Il livore verso un equilibrio precluso e l’odio verso ogni diversità pongono i due sullo stesso piano. Il “vendicatore”non risulta di sicuro vittorioso e Aurelio, che muore abbandonato, non saprà mai fino a che punto sia vera l’accusa all’Italia di essere un “Paese di animali, analfabeti, bestie”.