di Andrea Pellegrino
«La notizia diffusa da Cronache mi indigna e mi amareggia. Apprendo con stupore che ad altri è stato riservato un trattamento di favore che a me invece è stato negato». Andrea De Simone, ex funzionario di partito e già senatore della Repubblica, sulla pensione di Vincenzo De Luca mostra serie perplessità. Non fosse altro che con De Luca c’è un pezzo di strada comune, all’interno del Pci. Ma De Simone, a quanto pare, non ha beneficiato di nessun trattamento pensionistico. «Al termine del mio mandato istituzionale, infatti, mi sono recato all’Inps per verificare la situazione contributiva pregressa allo scopo di ricongiungere i versamenti previdenziali», racconta Andrea De Simone, già a capo, tra l’altro, dell’amministrazione provinciale di Salerno. «Con sorpresa apprendo che la contribuzione della “Ditta” termina nel 1992 e coincide con la mia elezione alla Camera dei Deputati. Ovvero anziché applicare il periodo di aspettativa, come stabilisce la legge, la “Ditta”, a mia insaputa e senza alcun accordo né notifica, spedisce una lettera all’Inps comunicando il mio licenziamento. Una odiosa “azione ad personam”, riservata al candidato reo di essere stato eletto al Parlamento al posto del segretario dell’epoca. Una prassi assolutamente illegittima. Una “vigliaccata” mi dice l’anonimo funzionario Inps che mi comunica la notizia. “Nessun dipendente è stato mai licenziato per cariche istituzionali”, aggiunge». «Dopo l’Inps, mi reco dai nuovi dirigenti di partito regionali e nazionali per comunicare loro l’anomala situazione che mi impedisce di ricongiungere, alla passata situazione, la nuova condizione contributiva derivante dal mio lavoro», racconta ancora De Simone. «Restano anch’essi increduli e rispondono che la “Ditta”, dopo la “Bolognina”, non opera più e, dunque, niente altro si può fare. La “ditta”, ovvero il Pci finisce alla “Bolognina”. Finisce per me. Ma ha continuato a vivere, come vedo, per altri». Quindi? Chiude la “Ditta”? Si licenzia? Come è possibile allora fruire di contributi “figurativi” per un quarto di secolo se viene meno il presupposto dell’occupazione in una “Ditta” che non c’è più? Come sia stato possibile? Sarebbe utile che un ufficio competente fosse in grado di dare una risposta, chiede Andrea De Simone. «Faccio notare che mi sono preoccupato del ricongiungimento contributivo alla luce delle proposte, che condivido, di unificare i trattamenti riservati ad alcune categorie “privilegiate” tra le quali i parlamentari, alle norme in vigore per tutti i lavoratori. Chiarisco che sono d’accordo alla riforma dei vitalizi nel senso proposto da più parti. La riforma che più convince potrebbe essere proprio quella di unificare i periodi contributivi e trattare allo stesso modo dipendenti privati, pubblici ed eletti. Ovvero, considerare periodo lavorativo, quello prestato alle istituzioni, almeno prima, c’era una trattenuta previdenziale molto alta. Si aggiunga che noi parlamentari, in quello stesso periodo, versavamo al Partito circa il 50% delle indennità». Su questa materia vedo molta demagogia, incalza: «Chi “spara alto” di solito è chi non vuole fare niente. Dieci o venti anni di trattenute sulle indennità debbono avere un valore, uguale a quello che si riserva ad ogni dipendente, d’accordo, e lo si faccia. Ma non si passi dal privilegio all’ingiustizia. Si passi da una condizione di privilegio ad una condizione di normalità. Questo sì. Solo in tal modo si può porre fine ad una situazione che, giustamente, indigna, ma che si presta a speculazioni e populismi, spesso alimentate da categorie che godono di ben altri privilegi. Dunque si risparmi il sobillatore di turno che potrebbe far notare la mia condizione. Io sono profondamente d’accordo con chi vuole cambiare seriamente. Stesso trattamento pensionistico per eletti e per lavoratori. Né privilegi né penalizzazioni. Ed io, oltre al lavoro nel partito e nelle istituzioni, ho sempre lavorato, nel periodo scolastico ed universitario e, dopo gli anni delle cariche elettive, mi sono dedicato prima all’impresa di famiglia, nel settore dell’accoglienza ed oggi nel settore, nell’editoria sociale. Come dovrebbe essere per tutti. Un periodo breve o medio nelle istituzioni elettive. Poi si torni alla vita normale». «Ma, come leggo, vedo che non è per tutti. E, tornando al merito della situazione che Cronache ha denunciato, ciò che stupisce di più è che alcuni, invece, possano utilizzare, negli stessi anni nei quali si presta il mandato elettivo, sia dei contributi figurativi e, dunque ottenere una pensione Inps da dipendente di una “Ditta” chiusa, sia della contribuzione utile al vitalizio, sia dell’indennità di carica. Tre. Non una sola cosa».