Il pianista francese inaugurerà domani alle ore 21 la stagione concertistica del teatro Verdi
Di OLGA CHIEFFI
Aspettando la prima di Madama Butterfly, in scena dal 22 maggio, domani alle 21 sarà il venticinquenne pianista Lucas Debargue, il talentuoso “premio della critica” del Concorso Caikovskij ad inaugurare la stagione concertistica del teatro Verdi di Salerno. Il solista, amato dallo Czar Valery Gergiev dedicherà alla platea salernitana tre gemme della letteratura pianistica, principiando il rècital con la Sonata in Si minore di Franz Liszt composta tra il 1852 e il 1853, un “oggetto straordinario”, la monumentale e proteiforme pagina dedicata a Robert Schumann. Un lavoro che colloca il compositore quale geniale promotore delle più ardite tecniche di scrittura di pieno Ottocento, vulcanico ideatore di nuove possibilità di formulazione di architetture formali, propositore di un ruolo protagonistico del pianoforte che sta al centro della scena e suona con i colori e le possibilità inusitate di un’orchestra, quasi ne fosse clone spettacolare e dirompente. Libertà formale, dunque, mancanza di strutture obbligate, capacità strabiliante di variare ed elaborare il materiale tematico, che diviene magmatico elemento di permutazione, permettono a Liszt di costruire un edificio musicale assai articolato, con molti movimenti interni e più idee, spunti, temi e motivi, che trapassano da una sezione all’altra. La costruzione stessa della Sonata (la quale non è in un «tempo» solo, come comunemente si afferma, bensì fa seguire l’uno all’altro senza interruzioni e quasi estrae, a poco a poco, dal flusso di un discorso senza pose, i classici momenti dell’Introduzione-Adagio, dell’Allegro, dell’Adagio di mezzo, dello Scherzo e del Finale); desunta da tre temi che vengono immediatamente esposti al principio del lavoro, nel giro di sole quindici battute, corrisponde a un piano d’ordine psicologico, assolutamente nuovo. Così dicasi del libero ordinamento nelle successioni modulative; dell’inserzione di un recitativo, posto a rompere il declamato di una frase melodica, grandiosamente scandita, dell’idea di ottenere un «soggetto di fuga» dalla somma del secondo e terzo tema iniziali. Come appare chiaro, molti fra gli atteggiamenti qui ricordati si erano già visti negli ultimi Quartetti e nelle ultime Sonate beethoveniane: Liszt, però, spinse i dati del suo predecessore fino alle ultime conseguenze, appunto perché, nel suo concetto, i diritti del pensiero, i diritti dell’immaginazione intesi in senso assoluto, erano ben più forti dei diritti esclusivamente musicali. Seguirà la Sonata op.30 n°4 in Fa Diesis, terminata da Alexandre Skrjabin nel 1903. Ideologicamente, una Ouverture da concerto: Andante introduttivo e Prestissimo volando in forma-sonata con apoteosi finale del tema dell’Andante. L’epigrafe – “Volo dell’uomo verso le stelle, simbolo della felicità” – spiega benissimo le intenzioni del compositore, fondamentalmente un mistico. La forma viene perfettamente dominata da Skrjabin, altrettanto perfetta è la curva retorica che dall’incertezza iniziale porta fino all’esaltazione orgiastica dell’ultima pagina, perfetta è la scrittura pianistica, fortemente influenzata dal tardo Chopin: la Sonata n. 4 è uno di quei capolavori che nascono in momenti di totale equilibrio interiore e di immedesimazione del creatore nel linguaggio e nei modi di espressione. “Gaspard de la nuit” di Maurice Ravel il brano che ha incantato la giuria del Caikovskij, chiuderà la serata. Sottotitolo dei brani che compongono Gaspard de la nuit, datati 1908 è Trois poèmes pour piano d’après Aloysius Bertrand, uno scrittore sentimentale e “frénetique” del primo Ottocento francese, da cui provengono immagini di forte e spesso scontato romanticismo. Delle poesie egli prende a prestito gli spunti quasi per farne la guida di un’invenzione musicale che non segue parametri formali, ma che privilegia le piccole strutture e quasi un andamento improvvisativo. Ondine, il primo dei tre brani, rievoca il movimento dell’acqua, l’elemento naturale nel quale vive una ninfa, Le gibet, ossia La forca, tende a riprodurre il macabro spenzolare dell’impiccato attraverso l’ossessiva ripetizione del pedale di si bemolle, al quale Ravel prescrive un’amplissima varietà di colorazioni espressive e Scarbo, è una sinistra figura di nano la cui ambiguità viene riassunta nella compresenza di due temi, uno di tre note, l’altro basato su una nota ribattuta, un re diesis.