di Andrea Pellegrino
Nel mentre la Procura di Salerno avvia l’indagine su quanto accaduto prima e dopo la chiusura dello stabilimento Ideal Standard, gli ex dipendenti scrivono all’Asl chiedendo chiarimenti sulla vicenda amianto. Si arricchisce di nuovi particolari il caso raccontato nelle settimane scorse da Cronache del Salernitano. In attesa della decisione del Tribunale del Lavoro sulla nomina di un ctu (l’udienza è fissata il 12 gennaio) ed in attesa ora di sviluppi da parte della Procura di Salerno (il pm Erminio Rinaldi ha chiesto una informativa al Noe) la vicenda approda anche all’attenzione dell’Azienda sanitaria locale di Salerno. Nell’esposto il racconto degli ex operai che hanno lavorato dal 1977 al 1999 presso lo stabilimento della zona industriale. Alcuni di loro, poi, richiamati dalla società Sea Park. «Le materie prime utilizzate per gli impasti che venivano colati nelle forme di gesso contenevano fibre di amianto», scrivono gli ex operai che spiegano: «I manufatti realizzati venivano caricati su carrelli dotati, nella parte di contatto, di un cordone di fibra di amianto che svolgeva anche la funzione di isolante termico nei forni di cottura. Peraltro, l’attrito tra i carrelli provocava lo sfaldamento dei cordoni con ulteriore dispersione di fibre. In vari ambienti di lavoro dotati di ventilatori, posizionati, peraltro, ad immediato contatto delle lastre di eternit che ricoprivano l’intero tetto di copertura dello stabilimento, venivano utilizzate fibre di asbesto quali isolanti. Tutti i cicli produttivi erano caratterizzati da un massiccio impiego di Mca». Ancora scrivono: «Per tutto il periodo di lavoro vi è stata, dunque, esposizione dei lavori al rischio di polveri e fibre di amianto con valori superiori a quelli consentiti dagli articoli 24 e 31 D. Lgs. N. 277 del 15/08/1999». Poi il dato drammatico evidenziato e sottoposto all’attenzione dell’Azienda sanitaria, guidata dal commissario Antonio Postiglione: «Diversi lavoratori sono affetti da malattie (tecnopatie) dell’apparato respiratorio (fibrosi e ispessimenti pleurici) cagionate dall’esposizione alle polveri di amianto e diversi altri sono deceduti a causa di malattie oncologiche. Dai dati epidemiologici rilevati risultano circa 60 decessi di cui due avvenuti negli ultimi 40 giorni che, purtroppo, si prevede aumenteranno nei prossimi mesi. E’ stata di recente accertata la presenza di amianto nell’impasto ceramico dei sanitari e, in particolare nel feldspato. Tale notizia è stata confermata in esito alle indagini condotte dall’Asl di Viterbo che richiesto all’Università di Torino di analizzare campioni di feldspato provenienti dal distretto ceramico di Civita Castellana, il cui referto effettivamente individua la presenza di “Tremolite di amianto” nei campioni analizzati. Nell’industria delle ceramiche sanitarie si utilizzava, in passato, anche il talco contaminato e si sospetta la presenza di amianto anche in altri componenti degli impasti. Tutto ciò potrebbe giustificare l’alta mortalità di operai addetti al settore e le misure già adottate dall’Asl di Roma per il monitoraggio della salute dei lavoratori». «La Regione Lazio – dicono – ha demandato ai servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (S.PRE.S.A.L.) delle Asl – in virtù del loro specifico compito di tutela della salute dei lavoratori – l’assistenza delle persone esposte ed ex esposte ad amianto e la programmazione della sorveglianza sanitaria mediante l’istituzione di appositi “Sportelli Amianto”. Va considerato altresì che l’attività lavorativa è cessata nel 1999 (peraltro per molti di essi è proseguita sino al 2004 nello stesso ambiente per le opere di asportazione di macchinari ed impianti anche negli ultimi anni successivi) e che la ormai notoria latenza degli effetti dell’esposizione a polveri di amianto ha durata più che triennale. Il picco di maggiore incidenza (ossia il numero di nuovi casi di malattia in un anno) per il mesotelioma pleurico è atteso tra il 2020 e 2025 secondo il piano nazionale amianto marzo 2013». Infine il caso dei rifiuti interrati dopo la chiusura dello stabilimento: «Con diverse interviste agli operai addetti allo smantellamento dell’opificio è stato denunciato l’avvenuto interramento del materiale di risulta (forni, caldaie, impianti etc.), in apposite buche scavate nel piazzale antistante l’edificio, tutt’ora esistente, con conseguente contaminazione del sito».