Uno sterminato e prestigioso patrimonio storico – culturale sul quale poter puntare, solo che Salerno e la sua provincia non se ne accorgono. E’ questo il dato fondamentale che emerge dal rapporto, stilato dall’Osservatorio economico provinciale della Camera di Commercio in collaborazione con l’Istituto Guglielmo Tagliacarne, sulla filiera dei beni culturali presenti in provincia di Salerno e presentato ieri mattina presso la sede di rappresentanza dell’Ente camerale dal presidente della Camera di Commercio, Guido Arzano, dal vicepresidente Antonio Ilardi, dal segretario generale Raffaele De Sio e Paolo Cortese, responsabile Osservatori economici dell’Istituto Gugliemo Tagliacarne.
Una posizione di metà classifica per la provincia di Salerno per quel che concerne il contributo economico della filiera culturale (il sistema integrato dei beni culturali distinti tra “core”, ovvero beni, attività culturali e industrie culturali, e “filiera” collegata indirettamente alla cultura, ovvero enogastronomia tipica del territorio, architettura ed edilizia di riqualificazione, produzioni artigiane, turismo) al prodotto interno lordo. In sostanza, la provincia di Salerno, ricchissima dal punto di vista dei beni culturali non è in grado di far fruttare questo tipo di economia.
A confermare il dato, il presidente dell’Ente, Guido Arzano, il quale sottolinea come qui «vi sia enorme difficoltà da parte delle imprese ad aggregarsi e a fare rete (allo stato solo il 6%, secondo l’indagine, afferma di far parte di una rete e solo il 3% dichiara di essere interessato, ndr) al fine di riuscirea sfruttare nel miglior modo possibile le potenzialità offerte dal territorio».
In questa direzione si muovono le iniziative della Camera di Commercio che ha dato il via ad una serie di progetti. « In collaborazione con la Fondazione Carisal, abbiamo in fase di partenza il progetto Invest in Salerno, che può contribuire all’attrazione di capitali nella nostra provincia. In questo contesto, siamo convinti che una delle direttrici di marcia fondamentali possa essere quella della realizzazione di un parco tematico in ambito archeologico e artistico nella piana del Sele: riteniamo che in questo modo si possano cogliere le ricadute positive di uno dei principali attrattori del turismo culturale nel sud come i Templi di Paestum».
Indubbiamente, il sistema culturale salernitano si configura come importante elemento della produzione di ricchezza e occuopazione del territorio con una incidenza pari al 16,2% (dato più alto tra le province campane) e con il 19,1% degli occupari che, tradotto in termini di ubnità, sono circa 65mila addetti, con un coinvolgimento del 28,5% delle imprese. Una forza che proviene, in particolar modo, dal settore della filiera più che da quello del “core”, ovvero direttamente legate al settore dei beni culturali. Un dato che viene confermato anche dall’indagine condotta su un campione di duecento imprese del tessuto culturale salernitano, la cui maggior parte sembra non essere direttamente consapevole della propria partecipazione alla produzione di beni, contenuti e servizi culturali: in media, esse attribuiscono ad attività di valorizzazione del patrimonio culturale meno della metà del loro fatturato (44,5%) e il 17% del personale, quote che scendono rispettivamente al 33,0% e al 13,4% per il core culturale.
Tra i motivi alla base di questo restio atteggiamento da parte delle imprese ci sarebbero l’inadeguata disponibilità di risorse finanziarie e finanziamenti pubblici, il lunghi iter burocratici e una scarsa valorizzazione del settore da parte delle istituzioni.
Insomma, le imprese del settore culturale vorrebbero essere messe in condizione di poter fare qualcosa per la promozione dei beni culturali.
A tal proposito, il presidente dell’azienda speciale della Camera di Commercio, Polaris, Demetrio Cuzzola, ha avanzato la proposta di protocollo di intesa con la Soprintendenza per rilanciare la concezione del fare impresa con il grande patrimonio dei beni culturali di cui dispone la provincia di Salerno.