Il 25 giugno sarà disponibile il cd inciso dal pianista Costantino Catena con il Quartetto Savinio nella chiesa di San Giorgio, per l’etichetta giapponese Camerata di Tokyo
Di OLGA CHIEFFI
Cinque musicisti nell’atrio del Duomo di Salerno, luogo storico, artistico e simbolo di sei anni di grande musica, quando sul finire degli anni ’80 il gotha mondiale è stato ospite sul palcoscenico del Salerno Festival. Parte da questa immagine il viaggio del Quartetto Savinio, composto da Alberto Maria Ruta e Rossella Bertucci al violino, Francesco Solombrino alla viola e Lorenzo Ceriani al cello, che si è unito al pianoforte del nostro Costantino Catena per incidere il Quintetto per pianoforte e archi op.44 e il Quartetto op.47 di Robert Schumann. Il cd, inciso nella Chiesa di San Giorgio, grazie alla sua ottima acustica, pubblicato per l’etichetta giapponese “Camerata di Tokyo”, sotto l’egida dell’Ente Provinciale del Turismo di Salerno, diretto da Angela Pace, che ha fatto del pianista-filosofo, il quale racchiude nella sua tastiera la forza, i silenzi e l’incanto dei monti Alburni, il direttore artistico delle rassegne di musica da camera, promosse da questo ente, sarà disponibile dal 25 giugno. Il lavoro si apre con il quintetto il primo autentico capolavoro concepito per un ensemble comprendente il pianoforte e il quartetto d’archi, autentico modello ideale, oltre che stilistico per la posterità che ha fatto di questa pagina l’ “Imperatore” dei quintetti e di tutta la musica da camera romantica con pianoforte. L’opera è caratterizzata da dinamismo e freschezza che sposa il rigore stilistico del quartetto alla fantasia immaginativa, alla ricchezza e alla libertà concertante della scrittura pianistica di Schumann. I suoi quattro tempi sono pensati come un inarrestabile cammino verso il finale, dove la lunga elaborazione del microcosmo tematico raggiunge la sua pienezza. Una lettura di grande eleganza formale, sì, ma avvincente e all’insegna di una spigliata vitalità. Il Quartetto Savinio e Costantino Catena hanno amalgamato magnificamente le intenzioni e cinque bagagli diversissimi di esperienze, in queste due opere cameristiche fondamentali. Difficile il ruolo di Catena, interpretare questo autore sul “suo” strumento è questione ardua. Sul pianoforte confluiscono, infatti, complessità al limite della contraddizione insanabile: canto popolare, passionalità romantica, le grandi ombre di Beethoven e di Bach, basta un nonnulla per trasformare un volo d’aquila in una marcia di prussiani o un’accorata pronuncia di parole poetiche in una lagna sentimentale. In effetti, in esso non v’è stata pagina che abbia lasciato trasparire alcunché di manieristico, i temi risultano intensi e si lasciano ammirare per la loro armonica costruzione, nella loro struttura articolata ma compatta e l’intreccio delle parti strumentali segue il corso di una logica naturale, grazie alla ricerca del bel suono e all’umiltà dei musicisti nei confronti della pagina. La qualità di ognuno, la resa di tutti, la precisione e la sensibilità, la chiarezza e il calore, il gusto del dettaglio e la visione del tutto, una profonda cordialità nel fare musica insieme, la facilità con cui risolvono passaggi difficili, superandoli non solo con il gesto tecnico, ma con la qualità del risultato musicale, hanno schizzano gli abbandoni al canto della pagina. L’esecuzione dell’opera 47 è stata attraversata da un’emozione interiore, calibrata sulla tensione progettuale dei singoli movimenti, quasi una guida all’interpretazione nello sperimentalismo dei percorsi formali e nella robusta nobiltà di un’eloquenza che non può conoscere cedimenti sentimentalistici. Non meno significative sono la regolare naturalezza della condotta ritmica e la sensibilità di suono con cui sono rese le inflessioni e le sfumature di fraseggio, tanto più efficaci quanto meno appariscenti. Ancora una volta Costantino Catena ha saputo offrire assieme al quartetto Savinio, con musicalità davvero rara una lezione di entusiasmante intelligenza interpretativa, riconducendo le nevrosi romantiche anche nei movimenti più brillanti, affrontati sempre con sorprendente nitore tecnico e singolare chiarezza espositiva, ad un equilibrio di olimpicità classica e si tingono di quel garbo d’eloquio donde discende quella particolare “melanconia”, patologica, metafisica che ha nel concetto di lontananza e del ricordo la sua causa prima.