Olga Chieffi
Giro di boa per la LXXII edizione del Ravello Festival, firmato dal direttore artistico Lucio Gregoretti. Dopo l’esplosivo weekend in jazz, con tre pianoforti verso l’infinito di Bollani, Moroni e Rea, questa sera, alle ore 20, sul Belvedere di Villa Rufolo, spazio ai talenti del territorio, quali sono i giovani dell’Orchestra Filarmonica di Benevento, diretta da Diego Ceretta, che ospita il violoncello pluripremiato di Ettore Pagano. Il programma principierà con una trascrizione del quarto notturno dai Six Morceaux op.19 di Pëtr Il’ič Čajkovskij, La prima parte della serata presenta tre brani poco frequentati di Čajkovskij per violoncello ed orchestra, frutto delle collaborazioni tra il 1887 e il 1889 con due dei più celebri solisti del suo tempo, il tedesco Fitzenhagen e il russo Brandukov, ove il clima sognante, malinconico della dolente maturità dell’autore e le difficoltà virtuosistiche per il violoncello assicureranno al pubblico del Ravello Festival, un’esperienza di forte impatto e la riscoperta di un Čajkovskij meno noto ma sempre trascinante. Seguirà quello che è considerato da molti compositori, tra cui Shostakovich e Rachmaninov, il più grande di tutti i Concerti per violoncello, il Concerto in la minore di Camille Saint-Saëns viene eseguito per la prima volta il 19 gennaio 1873 al Conservatorio di Parigi. Il solista è Auguste Tolbecque, dedicatario dell’opera e uno dei musicisti più autorevoli legati alla Société des Concerts du Conservatoire, baluardo di conservatorismo che quasi mai programma opere di maestri contemporanei; per Camille Saint-Saëns, allora trentasettenne, questa esecuzione sancisce la sua definitiva accettazione negli ambienti musicali francesi. L’opera, ben equilibrata, con temi distribuiti tra solista e orchestra senza che mai l’uno prevalga sull’altra, presenta spunti molto originali e vivacità d’espressione. La struttura può essere considerata classico-romantica; nell’unico movimento sinfonico convivono infatti tre singole sezioni, strettamente correlate da idee musicali condivise, che, in sostanza, rispettano i canoni della normale forma da concerto. L’inizio è poco tradizionale; dopo un brevissimo strappo dell’orchestra, il violoncello enuncia immediatamente il motivo principale. L’orchestra fa propri gl’interventi plastici del solista riproponendoli in un susseguirsi di chiamate e risposte che danno vita ad uno scenario di profondo pathos. Si passa, poi ad una seconda sezione, che offre nuovi spunti tematici, che si conclude con la ripresa del secondo tema del movimento precedente. Un grazioso Minuetto introdotto dagli archi costituisce l’idea principale, il violoncello intona un delicato controcanto che evolve poi in un valzer, aggiungendo così un tocco enigmatico nella percezione storico-temporale. Anche in quest’ultimo movimento Saint-Saëns ripropone materiale precedente, evidente riferimento ai modelli ciclici di Liszt. Il tema principale si delinea come una delicata, melodiosa aria d’opera; i ritmi e melodie della prima sezione, qui ripresi, sono quasi irriconoscibili, ammorbiditi nei toni e dilatati nei tempi. Il violoncello appare solenne e drammatico nel sostegno corale dell’orchestra; intenso e struggente è l’episodio conclusivo. La seconda parte del programma sarà interamente dedicata, alla esecuzione La seconda parte della serata sarà interamente dedicata all’esecuzione della VII sinfonia di Ludwig Van Beethoven. La grandiosa visione di Wagner della “ Settima” come “apoteosi della danza” serve a introdurre il discorso in un contesto piú specificamente musicale: la “Settima” costituisce un punto di arrivo e di passaggio nello stesso tempo, che dal punto di vista formale e stilistico corona in modo del tutto particolare la conquista beethoveniana del dominio sinfonico. La continua espansione della ricerca sulle possibilità della sinfonia, quale si era concretata nella seconda maniera, approda infatti nella “Settima” a una riduzione dell’ambito formale che in sintesi significa un passaggio di livello nel modo di considerare i rapporti e le funzioni all’interno dell’itinerario formale della grande forma sinfonica. Questo processo risulta evidente sia sul piano del carattere e del divenire dei temi, sia su quello delle loro funzioni nei rapporti di contrasto e di opposizione nello svolgimento dei quattro tempi, sia nella tecnica degli sviluppi e delle elaborazioni, sia, infine, nella ricerca sulle proprietà strutturali dei fondamenti del linguaggio; e questi non sono che alcuni, anche se i principali. Su un piano piú generale tale riduzione, che si arricchisce già dei connotati precipui che porteranno agli esiti massimi delle opere dell’ultimo periodo, condiziona anche l’ulteriore grado di appropriazione del modello della forma-sonata, che qui dà vita ad una concezione formale unica ed assoluta proprio in quanto è il risultato di un processo che, disimpegnatosi via via dalle strette dell’individualismo eroico in lotta, è giunto ad analizzare e ad oggettivare i termini stessi del proprio sviluppo. Nella Settima dunque, Beethoven realizza un decisivo passo verso un modo nuovo di concepire la musica e, in particolare, la costruzione sinfonica, fondandosi unicamente sul contrasto nel fluire del tempo degli elementi puramente musicali organizzati al loro stadio primario: essenzialmente, come successione e opposizione di ritmi. Il ritmo è il fondamento strutturale che sta alla base della Sinfonia e che, materializzandosi, ne riempie di contenuto formale lo schema astratto che Beethoven derivava dalla tradizione (forma-sonata per i due tempi estremi, rondò e scherzo, rispettivamente, per quegli intermedi); il rilievo assoluto che il ritmo vi assume spiega fra l’altro l’origine della interpretazione di Wagner, la sua immagine poetica e figurativa: che cosa è infatti la danza se non sublimazione del ritmo musicale? Ma piú importante è forse ribadire come in questa Sinfonia sia superato ogni concetto di contrasto tematico (perché non esistono temi come individualità distinte e autosufficienti in lotta fra loro), e perfino sia abbandonata la traccia convenzionale dell’itinerario tonale, anch’essa come travolta nell’incessante divenire ritmico: lo sfruttamento delle possibilità connesse alla articolazione ritmica secondo un principio che si potrebbe definire di « variazione integrale », da una parte, la loro organizzazione in funzioni e relazioni che esse stesse concorrono a creare, dall’altra, questi sono i concetti fondamentali che in-formano la struttura di questa splendida pagina.





