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Carriere separate dei magistrati

Carriere separate dei magistrati

di Nicola Russomando

Si è tenuto sabato 9 novembre a Giffoni Valle Piana per iniziativa dell’amministrazione comunale e del sindaco Antonio Giuliano il dibattito sulla separazione delle carriere in magistratura. Occasione del dibattito è stata la presentazione del saggio del Sostituto Procuratore generale di Caltanissetta, Gaetano Bono, “Meglio separate”, cui hanno partecipato, oltre all’autore, Virginio D’Antonio, direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Salerno, e Lucio Basco, avvocato penalista del foro di Salerno. La dibattutissima questione della separazione delle carriere tra magistratura requirente, i pubblici ministeri, e magistratura giudicante, i giudici propriamente intesi, è approdata all’esame del Parlamento mediante un disegno di legge costituzionale di iniziativa governativa, che prevede una corposa modifica al titolo IV della seconda parte della Costituzione dedicato alla Magistratura. In particolare, la modifica costituzionale introduce all’art. 102 la previsione di “distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti”, la duplicazione dell’attuale Consiglio superiore della Magistratura in due distinti organi per giudicanti e pubblici ministeri composti da membri scelti con sorteggio all’art. 104, l’introduzione ex novo di una “Alta Corte disciplinare” per la giurisdizione disciplinare su tutti i magistrati, come di seguito delineata dall’art. 105, formata da quindici giudici e con funzioni anche di esame, in diversa composizione, delle impugnazioni delle sentenze emesse in primo grado dallo stesso organo. Innanzi ad un disegno di riforma così radicale è del tutto naturale che si alimenti un serrato dibattito tra “separatisti” e “unionisti”, come sono stati definiti i sostenitori dell’una e dell’altra tesi dallo stesso procuratore Bono, il quale, almeno nelle intenzioni, ha inteso mantenere una posizione dialettica tra le occasioni di maggiore specializzazione derivanti da un’eventuale separazione e il pericolo sempre incombente di subordinazione dei giudici all’esecutivo. Illuminante è stata l’analisi comparatistica tratteggiata dal prof. D’Antonio tra il modello francese, che vede i giudici dipendere dal ministro della giustizia pur con tutte le garanzie dell’ordine giudiziario, e quello tedesco, in cui vi è una reale separazione delle carriere con un pubblico ministero inserito nella pubblica amministrazione senza preclusione però per un suo passaggio alla funzione giudicante, a dimostrazione che non esiste una soluzione univoca per assicurare indipendenza alla funzione giudiziaria. D’Antonio, del resto, ha ricordato una celebre affermazione di Hobbes per il quale i giudici sono “leoni sotto il trono”. L’autore del Leviathan faceva riferimento al potere dell’unico detentore della forza, lo Stato incarnato allora dal Monarca assoluto, mentre oggi il trono è rappresentato dalla soggezione dei giudici soltanto alla legge, come ricorda solennemente l’art.101 della Costituzione. E su questa esclusiva soggezione alla legge s’innesta la vera indipendenza della magistratura che può essere assicurata solo dai giudici stessi mediante il loro concreto operato. Tuttavia, da trent’anni a questa parte, in Italia si assiste ad uno scontro ricorrente tra politica e magistratura con accuse reciproche di invasione dei rispettivi campi di attribuzione. Le conseguenze sono anche rappresentate da una sfiducia generalizzata del cittadino per i meccanismi della giustizia e per i suoi esiti. Anche la stessa funzione disciplinare, a Costituzione vigente esercitata da apposita sezione del CSM, ha suggerito talvolta l’impressione di un esercizio corporativo, cui intende porre rimedio l’introduzione di un’Alta Corte disciplinare. Tutti gli intervenuti al dibattito hanno però convenuto sullo scadimento generalizzato della tecnica legislativa in Italia, che vede sovrapporsi un coacervo di leggi con una proliferazione di quelle penali, spesso prive di quella tassatività richiesta alla fattispecie incriminatrice con conseguente arbitrarietà interpretativa. Così come sorprendente si è rivelata la posizione del penalista Basco che ha denunciato un eccesso di garanzie per l’indagato e per l’imputato a scapito di quelle riconosciute alla persona offesa dal reato. Se la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definita è l’architrave costituzionale delle garanzie a tutela dell’inviolabilità della libertà personale, essa è anche un correttivo al potere del pubblico ministero che, in fase di indagini, è obbligato a cercare le prove anche dell’innocenza dell’indagato. Sottotesto del dibattito è stato comunque lo spettro di volta in volta evocato della subordinazione dei giudici alla politica. A prova di ciò, Bono ha citato il caso della modifica al codice di procedura penale nella parte in cui non prevede l’obbligo di riferire sulle indagini in corso ai superiori gerarchici da parte degli organi di polizia giudiziaria. Questa riforma, introdotta surrettiziamente dal Governo Renzi con il decreto legislativo 177 del 2016 che ha soppresso il Corpo forestale dello Stato, impugnata per conflitto tra i poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale e dichiarata illegittima, è la prova di come si possa intervenire su questioni capitali, come il segreto investigativo, in modo del tutto obliquo. La decisione del Giudice delle leggi ha sanato il “vulnus” dall’interno dello stesso ordinamento. Nel caso della riforma sulla separazione delle carriere è lo stesso proponente, il guardasigilli Nordio, ad invocare alla luce del sole il referendum confermativo. Resta il problema sempre ricorrente dello scontro tra i poteri dello Stato, quello che Jefferson, padre della Dichiarazione di indipendenza americana e della successiva costituzione, riconduceva ad una prevedibile “invidia tra i poteri”. La Costituzione degli Stati Uniti ha retto alla prova del tempo dal 1787 con pochissimi emendamenti al suo testo, fondata com’è su pesi e contrappesi. C’è da augurarsi che la nostra, nata solo nel 1948, non venga travolta dall’ansia riformatrice dettata però solo dalle contrapposte contingenze del momento. Una nota a margine del dibattito: esso si è svolto nella “Antica Ramiera”, sede operativa della “Fondazione Giffoni” delle cui vicende si è occupata di recente questa testata, promotrice dell’evento con il Comune. “Fondazione non riconosciuta”, che risulta ancora alla ricerca di una propria personalità giuridica.

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