di Erika Noschese
Il premio Sele d’Oro si è concluso e al netto dei risultati ottenuti non mancano le polemiche e le perplessità circa la decisione degli organizzatori di conferire il premio alla Memoria a Elena Croce alla fondazione Giambattista Vico, sotto la presidenza onoraria del professore Vincenzo Pepe, oggi indagato per truffa aggravata ai danni dello Stato. Nonostante il chiarimento da parte degli organizzatori, doverosamente pubblicato su queste colonne, tanti gli interrogativi posti anche e soprattutto dai tanti intellettuali che hanno avuto modo di seguire Elena Croce, tra le figure più rappresentative della cultura del ‘900. Scrittrice, memorialista, autrice di biografie esemplari dell’Italia unita, pioniera appassionata della battaglia per la difesa dell’ambiente, in un periodo tra il 1950 e il 1980 che registrò un vero “processo di distruzione, sempre più grave e più intenso, del patrimonio nazionale”, come hanno scritto gli organizzatori nelle motivazioni. Un premio che poteva, e doveva, essere consegnato alla famiglia Croce, alla figlia Benedetta Craveri, donna brillante quanto riservata che, probabilmente, avrebbe accettato di buon grado. O forse no. Chi può dirlo. Di certo vi è il poco tatto degli organizzatori nella decisione di fare in modo che la statua finisse nelle mani di Vincenzo Pepe che non ha avuto l’onestà intellettuale di riconoscere che quel premio non è un riconoscimento alla sua persona ma ad una donna brillante che si è fatta promotrice nel 1955 di Italia Nostra, “la più antica associazione italiana di tutela dei beni culturali, artistici e naturali, che ridisegnò un’idea ampia di ambiente, sia agrario che urbano, comprensivo di territori, monumenti e palazzi da salvare, ma anche di costruzioni da abbattere. Opera duratura e ispiratrice, nei suoi termini militanti, quasi epici, nell’imporre il nesso fra coscienza ambientale e coscienza civile”, come hanno scritto gli organizzatori. Nel corso della vita Elena Croce ha salvato dalla rovina Palazzo De Vargas a Vatolla, sottratto a una destinazione condominiale e invece restituito alla vita istituzionale della Cultura come servizio alla comunità e come energia etico-politica, promotrice di identità. “La Fondazione, nel ricordo del soggiorno del giovane Vico nel castello di Vatolla, ha saputo realizzare la profetica sollecitazione di Elena Croce e Gerardo Marotta e, attraverso il recupero degli antichi spazi, ha creato nella sede del Palazzo de Vargas un centro operoso di iniziative culturali, di formazione e di identità del luogo, proseguendo una linea di pedagogia politica e di affermazione valoriale”. Motivazioni sicuramente convincenti agli occhi di chi non conosce storie e personaggi perchè permettere a Pepe di salire su quel palco, permettergli di lanciare un messaggio diverso è uno schiaffo alla memoria, alla storia, alla figura di Elena Croce. “Il Premio Sele d’Oro – Mezzogiorno 2024, conferito al prof. Vincenzo Pepe, celebra la continuità dell’opera intellettuale di Elena Croce, figura emblematica del Novecento italiano”, ha infatti scritto Pepe (si, vogliamo ribadirlo ancora una volta) sui suoi canali social, lasciando intendere quella statuina è destinata alla sua persona e non, come chiarito dagli organizzatori, alla Fondazione Vico. Ma facendo un piccolo passo indietro un dettaglio non passa inosservato: Palazzo Vargas come centro operoso di iniziative culturali. Quali? Ad agosto un evento aperto al pubblico, nulla di particolarmente rilevante. A gennaio il grande annuncio: il Castello Vichiano si appresta a diventare un museo avente un respiro oltre i confini regionali. Poi, il nulla. Per il resto salotti “culturali” per discutere di politiche ambientali, turismo e sviluppo locale all’esterno del Palazzo con l’amico di merenda Luca Cerretani, ex consigliere comunale e provinciale. Analizzando gli “eventi” che vedono protagonista Pepe si parla di ambiente, Re-food Revolution, turismo, addirittura di un corso Its in Hospital ed F&B Management (qualcuno ci illumini, per favore) ma di cultura, quella seria, neanche l’ombra. Mancano le iniziative, manca la formazione, manca l’identità del luogo. Soprattutto, manca l’onestà intellettuale di ammettere che il premio Sele d’Oro ha preso uno scivolone imperdonabile. E forse, la famiglia di Elena Croce, sua figlia, merita le scuse.