Il giudice copia e incolla snobba il Csm - Le Cronache Ultimora

di Peppe Rinaldi

 

Nel 2019 questo giornale si occupò di un magistrato del distretto di Salerno descrivendone una particolare caratteristica operativa: il copia-incolla dello stesso documento, traendo materiale ora da internet ora da precedenti pronunce. Stiamo parlando di un gip (Giudice per le indagini preliminari) in forza prima in un ufficio distrettuale, poi trasferito altrove seppur all’interno della medesima circoscrizione salernitana. Il magistrato si chiama M.S. i provvedimenti al centro della notizia sono le opposizioni alle archiviazioni decise dallo stesso gip su istanza del relativo pubblico ministero: neanche tanto originalmente, definimmo la cosa come «tecnica del ciclostile», nota stortura del sistema giustizia spesso giustificata con la sempreverde attenuante del carico eccessivo di lavoro.

Per semplificare, si rende necessaria una breve premessa: al termine di un’indagine il pm può chiedere il processo per gli indagati oppure l’archiviazione rivolgendosi al Gip, teoricamente giudice terzo (non sempre è così, ma questa ora è una storia diversa), il quale dovrà decidere a seconda del caso. Se archivia, la parte interessata può fare opposizione, lo dice la legge, purché offra al giudice elementi nuovi e/o altre informazioni ritenute importanti per andare avanti. A quel punto il gip deve valutare se l’opposizione sia fondata e, di conseguenza, se riaprire il caso ordinando ulteriori indagini o archiviarlo definitivamente. In entrambe le ipotesi deve motivare la scelta, cioè deve spiegare perché ha deciso di fermare il treno o di farlo proseguire sui binari investigativi, anche questo è regolato da apposite leggi, circolari, regolamenti. E’ qui che il fatto si trasforma in notizia, peraltro di sicuro interesse pubblico viste le scosse telluriche che allarmano il pianeta giustizia da tempo.

 

Archiviazioni «pavloviane»

 

Il giudice, in pratica, sembra avesse una sorta di vizietto nel rigettare in automatico, «di default» si direbbe oggi, le opposizioni alle archiviazioni attraverso un collaudato sistema di copia-incolla da altri procedimenti replicato in serie, archiviazioni «pavloviane» insomma. Ne sarebbero state accertate oltre una decina di queste opzioni scapigliate nelle pur veloci e sommarie ricerche, là dove anche una sarebbe troppo. Non solo: il gip oltre a rigettare de plano le opposizioni, nella parte motiva dell’atto pare ripetesse puntualmente la stessa formula. Ad esempio, che l’opposizione “non ha fornito elementi nuovi o spunti per le indagini tali da rendere meritevole il prosieguo delle stesse”, roba più o meno così, ripetuta indipendentemente dal merito, cambiava solo il numero di protocollo per distinguere un procedimento dall’altro. Questo pare accadesse anche se nell’atto di opposizione erano stati acclusi allegati su allegati con elementi ritenuti nuovi e/o necessari per le indagini, si trattava solo di mettersi lì, leggerli e valutarli: del resto i magistrati vengono pagati (bene) anche per questo oltre al fatto che svolgono un servizio pubblico di particolare sensibilità, al netto delle oggettive difficoltà che ogni settore registra. In buona sostanza, il giudice pare manco leggesse l’atto di opposizione, tombando il fascicolo con un sigillo standard sia che si trattasse di furto o corruzione, sia che si trattasse di usura o abigeato. Strano? Mica tanto, non è la prima volta, la recente esperienza del presidente ligure Toti, azzoppato da un copia-incolla fatale tra pm e gip, è solo l’ultima pietanza servita dello sterminato menu della guerra caldo/fredda tra politica e magistratura. Il punto è che non tutti sono Toti e non tutti sono presidente di Regione, nel bene e nel male. Dalla sua il gip avrebbe, però, la notevole pressione esercitata “dall’alto” per sveltire i procedimenti, chiudere le pratiche, tumulare i fascicoli, fare in fretta insomma, di modo che le statistiche di produttività dell’ufficio appaiano imbellettate quanto più possibile agli occhi di chi dovrà valutare. Ci sono ragioni – diciamo – un po’ dappertutto, e sono da tenere in conto.

Ciò non ostante, si immagini però cosa implica questa condotta, ove sia definitivamente accertata, per le parti interessate, per il lavoro degli stessi avvocati e, soprattutto, per il servizio giustizia nel suo complesso, che già di suo pare non si senta troppo bene. Succede, quindi, che un legale salernitano scopra questo magheggio in occasione di un fatto collegato all’omicidio nel 2010 del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, fascicolo derivante da uno stralcio della nota inchiesta fattasi poi trampolino di lancio per la carriera politica di un alto magistrato, a dispetto del flop dell’inchiesta medesima.

Essendo non molto allineato ai ritmi delle liturgie relazionali tra toghe di parte opposta – magistrati e avvocati – che a volte corrodono la radice di un’intera collettività, l’avvocato salernitano C.V. si ribella (comprensibilmente) e presenta un paio di dettagliati esposti disciplinari al Csm, organo oggi sempre più indebolito non si capisce bene se dalla furia autodistruttiva della categoria o dalla cronica pavidità della politica oppure, ancora, dall’irrisolta, non recente ma perdurante ambiguità del colle più alto. Ma questo è un punto di vista. Un fatto, invece, continua ad essere ciò che stiamo per aggiungere al lungo racconto.

 

Incontro chiarificatore

 

Passa il tempo, la vita giudiziaria continua, le due denunce contro il giudice vagliate dal Csm vengono archiviate, ma pure questa non è una novità, come non lo è il fatto che fosse avvenuto sotto traccia senza dar conto dell’esito a chicchessia, men che meno alla parte denunciante. Così girano le cose in quel mondo. Nel frattempo c’era pure stato un chiarimento tra il magistrato e l’avvocato: mi scuso per quanto accaduto ma, sa com’è, sono solo io in organico, i fascicoli arretrati non si contano, non c’è personale, non accadrà più in futuro, anzi se lei dovesse notare altro non esiti a farmelo sapere, eccetera. Fu più o meno questo il senso delle parole che il gip consegnò al legale. Stretta di mano, sorrisi saluti e via, gli uomini così si comportano. Pace fatta? Manco per idea perché, dopo aver atteso sette mesi per depositare la propria decisione su un’opposizione all’archiviazione per un caso sempre patrocinato dallo stesso avvocato, si scopre che il magistrato è ricascato nel vizio, un po’ come succede con le dipendenze, ci si impegna tanto, ci si sacrifica, si fanno mille promesse ma, poi, al primo incidente esistenziale si ricade nel baratro. Infatti l’avvocato scopre che l’atto di opposizione era stato rigettato dal gip il quale, stavolta, pare avesse copia-incollato un elaborato di uno studio legale del Nord, uno dei tanti pareri, sentenze, etc che chiunque può trovare rovistando nella rete. Ovvio, a questo punto, che l’avvocato voglia piantare un paletto: così si presenta nell’ufficio del gip il quale, diversamente dalla cordialità manifestata nel primo incontro “chiarificatore”, assume un (legittimo) atteggiamento ostile nei confronti del legale, accompagnandolo alla porta unitamente a questo assunto: «A me degli esposti al Csm nun m’pass’manc pa cap’» che, non essendo puro british né latino ecclesiastico, significa in pratica che lui, dell’organo di controllo se ne stra-fregava. Legittimo anche questo, peraltro neanche tanto eretica come presa di posizione visto che già due esposti contro di lui erano stati archiviati autorizzandolo a sentirsi tranquillo. Ora, non sappiamo se il giudice lo sia tutt’oggi visto che sul tavolo della Commissione disciplinare del Csm giace un altro, pesante esposto contro di lui, notificato, va da sé, anche al ministro Nordio e ai massimi e minimi vertici giudiziari competenti. Una denuncia che non riguarda il sistema del ciclostile in quanto tale. Contro il gip pendono ora due accuse più gravi derivanti dalla scombiccherata vicenda sin qui narrata: falso e calunnia. Chissà se pure ora «non gli passino per la capa», sarebbe legittimo pure questo. Va da sé che non è più un fatto di solo rilievo disciplinare ma anche di pertinenza diretta di altra procura della repubblica, con tutto ciò che questa circostanza comporta. Ma cosa è successo dopo il secondo incontro tra il magistrato e l’avvocato? Cose turche, come si dice. (1_continua)

 

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