di Erika Noschese
«Se consideriamo l’Europa come Stati Uniti, si potrebbe promuovere un coordinamento delle politiche sanitarie. Che consentirebbe una facilitazione negli scambi di buone pratiche e poi, come accaduto durante la pandemia, affrontare sfide comuni»: lo ha dichiarato Enzo Maraio, segretario nazionale del Psi e candidato capolista con Stati Uniti d’Europa nel collegio Sud. Maraio, la campagna elettorale è entrata nel vivo: in questi giorni ha già incontrato gli elettori di varie regioni del sud. Che aria si respira? «Il clima intorno al nostro progetto politico, la lista Stati Uniti d’Europa, è molto positivo. Più in generale e soprattutto dalle nostre parti, si comprende che con queste europee il Sud si gioca una carta fondamentale. Il clima nel nostro paese non è dei migliori e si è compreso bene che il Mezzogiorno non è nelle priorità di questo Governo. L’autonomia differenziata, la decontribuzione alle imprese cancellata, il ritardo sui fondi di sviluppo e coesione, solo per fare qualche esempio, sono un chiaro segnale della deriva intrapresa. Su questo bisogna dare atto al Presidente De Luca di aver iniziato una battaglia contro chi, da Palazzo Chigi, il Sud proprio non le vede. Come si può fare argine? Punendo dal Sud le scelte di questo Governo. Facendolo proprio attraverso il voto. Guardate, anche nella composizione delle liste, il centrodestra si presenta al Sud con chi non andrà in Europa in caso di vittoria, ma soprattutto non ha alcuna percezione dei problemi del nostro territorio. In questo, ho molto apprezzato la scelta di Matteo Renzi, un leader, che non ha voluto candidarsi come capolista, mettendo il suo nome al servizio del progetto e della squadra. E a proposito di candidature al Sud, io ribadisco sempre che sono tra i pochissimi capolista che è meridionale ma soprattutto qui vivo, lavoro e sono stato amministratore, da assessore a Salerno e da consigliere regionale a Napoli, e conosco le dinamiche e le difficoltà di questa terra». Lei ha lanciato un appello ai salernitani. Dalla sua città che riscontro si aspetta? «Nella mia città e in generale in tutta la Campania, il partito ha lavorato bene è sta crescendo ovunque anche e soprattutto grazie al lavoro dei nostri dirigenti nei vari territori. Grazie al lavoro del consigliere regionale, Andrea Volpe che coordina la mia campagna elettorale a quello del consigliere provinciale, Pasquale Sorrentino. Nel Salernitano abbiamo ritrovato vecchi compagni e altri li abbiamo incrociati nel nostro cammino. Nella grande comunità socialista, registriamo un entusiasmo diffuso, che mi auguro si trasformi in consensi». Come sintetizzerebbe il concetto di Stati Uniti d’Europa? «Quella che molti anni fa fu una grande intuizione, oggi deve essere rafforzata e difesa da chi vuole meno Europa. Gli stati Uniti d’Europa è la formula attraverso la quale rafforzare l’unità monetaria; avere una fiscalità unica; una difesa comune e soprattutto una politica estera davvero comune. Perché le grandi sfide sovranazionali o trovano risposte sovranazionali oppure soccombiamo. Con due conflitti bellici, nel cuore dell’Europa e in Medio Oriente, l’Europa deve essere capace di dare risposte ai suoi concittadini, ritornando a essere un player strategico nella politica estera». La sfida è riportare il sud al centro dell’Europa. Come riuscirci? «Il Pnrr è stato il faro che ci deve guidare. Abbiamo capito che l’Europa c’è ed è stata fondamentale per scavalcare la crisi della pandemia. Per anni non siamo stati capaci di spendere i fondi che l’Europa ci dava, una pigrizia amministrativa che ci ha penalizzato non poco. Ecco, noi dobbiamo essere capaci di un cambio di paradigma, che metta al centro innanzitutto una fiscalità comune che aiuti gli imprenditori e sostenga, ad esempio, il lavoro di giovani e donne. Altro step necessario, sarà quello di colmare il divario tra i Paesi e lavorare a migliorare le condizioni di chi oggi è in svantaggio. E ancora, potenziare il grande patrimonio ambientale e culturale trasformando il Mezzogiorno in un grande hub per la formazione e produzione di servizi. E per la particolare posizione nel Mediterraneo, pensare al Mezzogiorno come piattaforma di scambi con il Sud del mondo». Cosa potrebbe fare l’Europa per la sanità pubblica? «Se consideriamo l’Europa come Stati Uniti, si potrebbe promuovere un coordinamento delle politiche sanitarie. Che consentirebbe una facilitazione negli scambi di buone pratiche e poi, come accaduto durante la pandemia, affrontare sfide comuni. E ancora, fornire finanziamenti per migliorare le infrastrutture. Ma le possibilità sarebbero tantissime dallo scambio di informazioni alla collaborazione nella ricerca; sostenere campagne di sensibilizzazione e programmi di prevenzione comuni. Si potrebbe garantire un accesso equo ai farmaci e alle cure. Insomma si può fare tanto. Ma il primo step è investire di più in Italia. Il primo dato è che l’Italia deve investire di più nella sanità pubblica. Siamo il Paese in Europa che investe meno. Questo dato è fondamentale perché mina alla base il servizio sanitario nazionale e in modo maggiore, la sanità delle regioni del sud, spingendo il personale ad andare all’estero o correre verso la sanità privata perché le condizioni economiche, sono migliori. Se non recuperiamo primo questo gap che abbiamo con il resto dei paesi europei sarà difficile che l’Europa possa migliorare il nostro sistema». Giovani ed Europa, quale impegno? «L’Europa può impegnarsi nei confronti dei giovani in diversi modi per favorire il loro sviluppo, l’inclusione sociale e la partecipazione attiva nella società. Ma è chiaro che molto dipende anche da noi. E inutile che il governo alimenti una politica fatta di bonus perché, come ha rilevato l’altro giorno uno studio di Save the Children, non servono a nulla. Per fare un esempio, il rapporto tra maternità e lavoro è impietoso e come sempre a pagare il prezzo più alto della genitorialità sono le donne. Il 72 per cento delle dimissioni dal lavoro dei neogenitori riguarda le donne, E c’è un gap pazzesco tra Nord e Sud. Nel Mezzogiorno mancano servizi di supporto alla famiglia e questo determina due cose: o l’abbandono del posto di lavoro o la rinuncia a essere mamma. Un altro esempio nefasto, la rinuncia del Governo di non dare più attuazione al Family Act. Sì, si dirà che sono state aumentate altre misure a sostegno della famiglia. Ma è fuffa. Se si calcola che sono a vantaggio di Isee bassissimi e alcune a partire dal secondo figlio, si capisce che a percepirle sarà una parte residuale della società. Ecco perché crediamo che sia necessario effettuare riforme strutturali, che consentano di superare i dislivelli salariali ma anche e soprattutto di infrastrutturale le città con maggiori sostegni alle famiglie».