Le sfuriate di De Luca - Le Cronache Ultimora
Ultimora

Le sfuriate di De Luca

Le sfuriate di De Luca

di Alberto Cuomo

Che abbia un caratteraccio si sa. E però De Luca ha sempre condito le sue sfuriate contro gli altri, il governo, i singoli ministri, il suo partito, con accenti di ironia, certo becera, pacchiana, rivolta a far ridere attraverso l’insulto, come è nelle piazze dei piccoli paesi (e del resto da un piccolo paese proviene) dove nei crocchi c’è sempre lo spiritoso che sfotte qualcuno, un povero cristo, alludendo a suoi difetti per provocare buonumore negli astanti alle sue spalle. E sarà per questo che De Luca piace ai comici che tentano di imitarlo per mettere alla berlina la politica di cui lo stesso governatore campano fa parte. C’è in lui un lato istrionico naturale e insopprimibile rivolto a strappare il sorriso e, quindi, l’approvazione compiaciuta di chi ascolta, una sorta di caricatura del consenso. Nelle sue tirate è come se facesse il piacione con il pubblico, il suo elettorato in primis, coinvolgendolo in una maldicenza, sicuro di renderlo complice ed essere spalleggiato. Così, giocando sulla bellezza, si fa per dire, di Elly Schlein e sul suo essere apolide, la segretaria diviene per lui Elena, nel nome dell’avvenente eroina della guerra di Troia. Meloni, cresciuta nella periferia romana, diviene la “stracciarola”, e così via. Stavolta però, nella strigliata al sindaco, agli assessori ed ai superburocrati del comune di Salerno, chiamati a sé presso il Mediterranea Hotel, a proposito dell’errore nel bilancio di previsione approvato che ha fatto registrare un disavanzo, non vi sono state ironie o improperi quanto una stroncatura violenta dell’attività della giunta e, particolarmente della neo-assessora Eva Avossa e del presidente della commissione bilancio, Fabio Polverino, professoressa di lettere l’una, commercialista l’altro, di fatto nominati nel ruolo in quanto politici, portatori di voti. Qualcuno ha voluto vedere nell’arrabbiatura del governatore un rinnovato interesse per l’andamento dell’amministrazione comunale al cui vertice egli stesso si candiderebbe in un piano B rispetto all’eventuale, quanto sempre più possibile, mancata ricandidatura alla Regione. É indubbio che una tale ipotesi sia vera ma, allora, perché arrabbiarsi: più errori fanno i suoi figliocci dell’amministrazione comunale maggiormente sarebbe acclamato il suo ritorno sul ponte di comando del comune. Viene da pensare forse vi sia dell’altro. Che possa sfumare anche il piano B? In Puglia il presidente Emiliano ha eliminato da ogni possibile tenzone elettorale il sindaco De Caro rivelando ambiguamente di averlo accompagnato a casa della parente di un boss. Che possa andargli male la ricandidatura per un terzo mandato in Regione gli sarà possibile comunque ricandidarsi a sindaco di Bari. Singolarmente, malgrado il voto di scambio sia avvenuto alle elezioni regionali e l’assessora Maurodinoia che ne aveva fruito sia stata nominata allo scranno da Emiliano, è il povero De Caro a pagare pegno nel Pd. In Campania, sino a due settimane fa, De Luca sosteneva che la questione del terzo mandato non si poneva, dal momento l’assise regionale non ha mai fatto propria la regola nazionale. Anche alcuni avvocati avevano offerto il parere in tal senso, quasi la nostra regione sia una repubblica autonoma diversa dalle altre regioni e aliena alla norma romana. Certo una tale posizione rischierebbe un contenzioso amministrativo, ma con i nostri tempi della giustizia, qualora eletto al terzo mandato, De Luca potrebbe dormire sonni tranquilli. Che cosa è motivo di turbamento allora nel nostro presidente regionale tanto da fargli perdere, con la calma, la sua sprezzante ironia? Indubbiamente le inchieste in Puglia e in Piemonte riguardanti uomini del Pd sono inquietanti per tutti gli iscritti al partito. É noto, del resto, come tangentopoli abbia prodotto in alcuni circoli politici e finanziari la sindrome dell’accerchiato portando taluni, pur non accusati di alcunchè, a recarsi in procura a Milano al fine di confessare propri presunti reati. A Salerno, alla fine di marzo, Vittorio Zoccola, a processo per un ipotizzato rapporto tra cooperative di pulizia e mazzette, ha testimoniato, a proposito dei voti dati ai candidati alla Regione, che «alle elezioni regionali De Luca decide per tutti». Niente di male naturalmente nel chiedere voti per amici, Savastano e Picarone, anche se Savastano e Zoccola non sembra fossero più amici. Nel mese di febbraio invece furono arrestate per reati vari alcune persone tra cui un ex consigliere comunale al tempo del primo sindacato di De Luca, Enzo Bove. Tre giorni fa, inoltre, numerosi manifestanti hanno presidiato con don Patriciello il tribunale di Napoli perché non siano restituiti, per un vizio di forma, 220 milioni ai fratelli Pellino condannati per disastro ambientale nella “terra dei fuochi”. Lamentando la diserzione delle istituzioni (la Regione?) hanno quindi invocato Gratteri e la procura a fare giustizia dei tanti morti causati dall’avvelenamento dei terreni. Intanto Sergio Amato procuratore aggiunto di Gratteri, indaga nel merito e il pentimento di Francesco Schiavone, alias Sandokan, potrebbe condurre a rivelare i rapporti tra camorra e politica nell’area che va da Casal di Principe a Caserta. La Campania insomma scotta sempre di più e forse non è igienico mettersi in luce nella regione.