di Massimiliano Amato Nel frattempo, giusto per dirne una (ma poi alla fine è l’unica che conta veramente) a Catanzaro si è insediato il primogenito, Vincenzo, 36 anni, sostituto procuratore presso il Tribunale. E i decenni che sono passati (4 ormai) dall’”ingresso in ruolo” (il suo alla Procura di Milano, in piena emergenza terrorismo) si condensano tutti in quella battuta che scivola, quasi inosservata, verso la fine del colloquio: “Le nuove leve sono tecnicamente preparatissime. Ma mancano quasi completamente del senso della storia, perché nessuno gliel’ha insegnata. Sono ottimi ragazzi spediti in una terra sconosciuta”. Della nuvola d’ira a cavallo della quale andò via da Salerno otto anni fa (sei trascorsi da consulente “bipartisan” all’Ambiente, prima con Pecoraro Scanio poi con la Prestigiacomo, e due alla Corte d’Appello di Roma) non c’è più traccia nell’aria. Il tempo veramente cancella tutto, e talvolta è così galantuomo da smussare anche i ricordi più spigolosi. Ma perché uno come Michelangelo Russo, giunto gloriosamente alle soglie dei 70 con una coscienza critica ancora saldamente in servizio, possa dirsi pacificato ce ne vuole. Il preludio all’intervista è una lunga telefonata, qualche giorno fa: “Mi mancano meno di tre anni alla pensione, mi metto a fare il diplomatico giusto ora che non ho più niente da perdere? Li sfrutterò tutti per parlare, denunciare, contrastare con tutte le forze i risorgenti progetti di normalizzazione”. Anche con le vignette, certo: ha ripreso forsennatamente a disegnare. Perché lui è fatto così: appena annusa odore di battaglia, affila la matita. E infilza il potere, con il quale ha un contenzioso aperto da mezzo secolo, o giù di lì. Partiamo da Salerno: due mesi fa il ritorno, in un momento di generale riorganizzazione, da presidente di uno dei tre collegi della Corte d‘Appello. Lunedì s’insedia Lembo, il nuovo Procuratore. Si apre una nuova stagione? “Parlo per me, per il mio ufficio. Ho trovato carichi nella norma. Elevati, d’accordo, ma non tali da configurare un’emergenza. Si vede che negli anni scorsi è stato fatto un notevole lavoro di razionalizzazione, di questo va dato atto al presidente della Corte d’Appello Claudio Tringali. Quanto a Lembo, è un uomo di poche parole, enorme esperienza e grande umanità. Se dice che concentrerà i suoi sforzi sulle infiltrazioni camorristiche nell’economia di qualche territorio in particolare è perché sente che quella può essere una priorità. Tra l’altro, comincia ad applicare sul campo una direttiva a mio avviso rivoluzionaria emessa a luglio dal Csm, poco prima della sua decadenza, che prescrive la predisposizione, territorio per territorio, di una griglia di priorità, sia nelle indagini, sia nell’attività giurisdizionale”. Perché rivoluzionaria? Non potevano pensarci prima? E non poteva pensarci il ministro? “Rivoluzionaria perché l’organo di autogoverno ha indicato una via d’uscita politica dal problema dell’ingolfamento della macchina giudiziaria. La predisposizione dei criteri di scelta, per le indagini e per i processi, non sarà la panacea ma permette ai 20 Distretti di Corte d’Appello italiani di organizzarsi come delle aziende, avendo come obiettivi la funzionalità della macchina e la necessità di fornire risposte rapide alle esigenze delle comunità”. In un certo senso, è una ridefinizione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. O no? “Anche. Ma è soprattuto un tentativo di razionalizzazione che, in certi casi, può dare un grosso aiuto a stemperare le tensioni che l’amministrazione della Giustizia inevitabilmente genera all’interno delle comunità, soprattutto quando il lavoro della magistratura tocca interessi vitali”. Vediamo se ho capito facendo qualche esempio “locale”. Se i criteri del Csm fossero stati adottati prima e, poniamo, ai processi Crescent e piazza della Libertà fosse stata concessa una corsia preferenziale l’azione della magistratura non sarebbe stata vissuta come un’interferenza nell’attività del Comune. E forse ci saremmo risparmiati anche gli attacchi quotidiani, sotto forma di sfida da parte di qualche indagato eccellente. E’ così? “Non entro nel merito di indagini e processi in corso, anche perché non ne conosco i dettagli. Certo, però, che l’elemento della velocizzazione, sia delle indagini che dell’attività giurisdizionale, in certi casi è fondamentale. Di fronte a fatti che coinvolgono profondamente una comunità – e sia chiaro: parlando di comunità intendo sempre sia l’amministrazione pubblica, sia i cittadini amministrati, sia chi si oppone ai provvedimenti ammnistrativi considerandoli lesivi di diritti soggettivi o oggettivi – un anno mi sembra il tempo ragionevole entro il quale pretendere la definizione di almeno una parte del procedimento. Con la scelta delle priorità, questo risultato è più facilmente raggiungibile”. E sull’azione della magistratura vissuta come un fastidio? Quando partirono i primi provvedimenti nell’inchiesta sulla Fondovalle Calore, una parte degli indagati sparò pesantissime bordate contro la Procura, che sembrano riecheggiare in certe intemerate di oggi. Con la differenza che queste ultime hanno il pregio di essere più raffinate… “La Giustizia ha un dovere d’intervento ineludibile in caso di denunzia. Nei casi richiamati, ce ne saranno state a decine, di denunce. Tutto il resto è fuffa, chiacchiere. Non va minimamente preso in considerazione”. L’impressione, comunque, è che il consenso intorno alle vostre iniziative, che tanta parte ebbe nel successo delle inchieste di Mani Pulite, non sia più quello del biennio 1992-’94. Mi sbaglio? “Un po’ ci siamo anche fatti male da soli: la mia generazione, quella per intenderci dei pubblici ministeri d’assalto che hanno vissuto l’impegno in toga all’insegna dell’autonomia dal potere politico, dell’interventismo in tema di esercizio del controllo di legalità e del coraggio, ha avuto moltissimi, maldestri, imitatori. Non farei i nomi nemmeno sotto tortura, ma d’altronde non è difficile intuire a chi mi riferisco. Voglio dire la stagione del grande protagonismo della magistratura ha conosciuto profonde degenerazioni, che qualcuno di noi, e penso al povero Enzo Albano (già Presidente del Riesame di Napoli e del Tribunale di Torre Annunziata, tra i fondatori di Magistratura democratica, mancato prematuramente qualche anno fa, ndr), aveva cominciato a intravedere addirittura in corso d’opera. In quegli anni Enzo mi parlava spesso dei rischi di una deriva autoreferenziale. Guardava lontano: oggi i garantisti siamo noi, quelli che 20 anni fa venivano considerati forcaioli e giustizialisti”. E’ un ritorno alle origini: quando nacque, Md era la componente garantista dell’Anm. “Md non esiste più, o meglio il suo ciclo vitale si è concluso. Esiste, anzi resiste, una generazione di magistrati, che io chiamo Generazione ’68, che è l’obiettivo principale del progetto punitivo di riforma del governo Renzi”. Riforma punitiva è forte. “Lo dice l’Anm e io sono d’accordissimo. E’ la verità, se vogliamo leggere le cose per quelle che sono. Il progetto di riforma del Guardasigilli Orlando punta al prepensionamento della Generazione ’68. Guarda caso, della generazione di magistrati che, dopo aver fatto Mani Pulite, si è distinta per le grandi inchieste sugli intrecci tra criminalità organizzata e politica e su Berlusconi. Lasciamo stare la storia delle ferie: uno spot. E concentriamoci sugli effetti che potrà avere sulla nostra economia il fatto che ci metteranno fuori anticipatamente dall’ordine giudiziario. Effetti inesistenti. Anzi, deleteri, perché lo Stato dovrà anticipare subito le liquidazioni, in un momento di grave difficoltà per i conti pubblici. Se non c’è risparmio, allora c’è un disegno. Una strategia politica”. L’attuale età pensionabile, però, fa di voi una casta. “Sbagliatissimo, se rapportato alla delicatezza del compito che ci è affidato, per il quale sono necessarie doti di equilibrio, saggezza e ponderazione che si affinano sempre più con l’avanzare dell’età. La scienza ci dice che i piloti d’aereo danno il meglio di sé tra i 55 e i 60 anni. Sembra strano, no? Ecco: per i magistrati vale più o meno lo stesso principio. E allora, se non c’è risparmio, e anche la funzionalità del servizio ne esce ridimensionata, ci dev’essere per forza qualcos’altro…”. Il Patto del Nazareno, con Berlusconi che potrebbe aver chiesto a Renzi un aiuto per consumare la sua vendetta contro i magistrati che lo hanno tenuto sotto pressione per tutti questi anni? “Non lo so. In assoluto, il desiderio di vendetta di chi ritiene di aver subìto un torto riesce a tenere in vita perfino chi alla vita non ha più nulla da chiedere. Ricordo una storia risalente a quando muovevo i primi passi da magistrato qui a Salerno. C’era un ottuagenario, molto malato, che riteneva di essere stato danneggiato da un famoso avvocato. Lo aspettava davanti al Tribunale tutti i giorni brandendo un nodoso bastone e ripetendogli sempre la stessa frase: “non mi interessa più niente, voglio solo campare un giorno più di te”. Era il desiderio di vendetta a farlo sentire vivo”. E come andò a finire? “Il famoso avvocato, parecchio più giovane del suo antagonista, morì per un colpo apoplettico. E, cinque o sei mesi dopo, ebbi notizia che il vecchino col bastone era passato pure lui a miglior vita. Però si era tolto la soddisfazione”.
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