di Michelangelo Russo
La vicenda dell’abbattimento fulminante dell’ex pizzeria storica Carminuccio riporta alla memoria il “ruspante” (in senso letterale) esordio della politica urbanistica del new-deal della amministrazione comunale governata ormai da trenta anni dal gruppo politico che conosciamo. Che all’inizio trova fortissimo consenso e plauso di vasti strati popolari e della borghesia cittadina, stanca degli intrighi e dell’immobilismo dei decenni precedenti. I primi anni della amministrazione di Sinistra sono veramente esaltanti, e portano innovazioni e ammodernamenti impensabili fino ad allora. Cresce in moltissimi la speranza di una Salerno moderna e all’avanguardia nel Meridione. Eppure, proprio nei primi anni, l’Amministrazione cittadina compie alcuni passi incomprensibili, per quel tempo, ma compatibili, con l’ottica dell’attualità, con un certo modo di concepire il Potere che adesso appare evidente. E’ il 1995. Lo Sceriffato si appresta a menare fendenti ad ambulanti, immigrati e prostitute sulla Litoranea. Gente che non ha nessun potere e nessun diritto di voto alle comunali. Ma ci sono fendenti anche per altri “sporchi, brutti e cattivi” (parafrasando Ettore Scola) che nessuno difende, perché, oggettivamente, così come sono, danno fastidio all’occhio. Si tratta di due vecchissimi palazzetti di via Fratelli De Mattia, proprio sul fronte mare, tra Piazza Concordia e il Cementificio, non ancora abbattuto. Sono palazzetti del primo decennio del Novecento, sobri ed essenziali, privi, è vero, di ogni fregio architettonico. Ma hanno la storia addosso. Portano sulla facciata innumerevoli fori delle mitraglie americane datati 9 settembre 1943. Il giorno dello sbarco. Nessuno, nei 50 anni precedenti, ha cancellato quei fori. Nessuno ha imbiancato gli intonaci esterni, o ridipinto le inferriate dei balconi. Fino ai primi anni ’80, qualcuno ancora abitava nei vecchi edifici. Ma l’ignavia dei proprietari di questi palazzetti da periferia alla Mario Sironi aveva accentuato il degrado delle due costruzioni, lasciate a deperirsi. Certo, una colpa dell’inerzia della proprietà dei locali. Che facevano parte, fino al 1962, di un quartiere profondamente diverso dall’aspetto attuale, gratificato da una edilizia scatolare tipica della corsa al mattone (e basta) della speculazione fondiaria degli anni ’60. Era un quartiere, quello della Ferrovia, che riusciva ad esprimere nella sua consistenza architettonica e urbanistica la vera forza ergonomica di una città che negli anni ’50 veniva definita la Milano del Sud. Una coesistenza proficua, nel quartiere, fra classe operaia dei mulini, botteghe artigiane, officine meccaniche di precisione, e borghesia direzionale di quegli opifici e quei laboratori. Questo melting-pot dei mestieri viveva in edifici senza sfarzo, essenziali ma profumati di mare, che stava di fronte al quartiere. I palazzetti di Via Fratelli De Mattia, di cui parliamo, furono improvvisamente abbattuti in un solo giorno, con la velocità con cui nella Palermo di Ciancimino fu abbattuto, nel 1959, un capolavoro liberty come Villa Deliella, costruita dal genio Ernesto Basile. La ruspa del 1995 che abbatte i due palazzetti non distrugge però opere d’arte, ma una parte dell’anima stessa di Salerno. Quale fu la necessità di quell’abbattimento impellente, rivelatosi peraltro inutile perché da 29 anni quello spazio è rimasto vuoto? Forse, allora, è stata solo un’occasione per mostrare i muscoli di un decisionismo adottato come metodo operativo vittorioso per gli anni a venire.
E’ dal 1995, quindi, che impera in città una visione del territorio fatta non di un costoso e lento recupero della storia cittadina, ma di uno strumentale uso del territorio stesso quale strumento di cattura di consensi biechi e interessati a uno sviluppo distorto del contesto urbano, quale fonte di arricchimento per pochi, felici di sdebitarsi con cordate di consenso elettorale per i privilegi fondati sulle ruspe scatenate.