La Vedova e la Njegus Allegra - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

La Vedova e la Njegus Allegra

La Vedova e la Njegus Allegra

Di Olga Chieffi
“L’operetta – affermava il compianto Sandro Massimini, uno dei massimi interpreti di questo genere – è uno dei filoni di spettacolo più svillaneggiato in Italia. Si è perduta tutta una tradizione grazie a scelte culturali, se così si può dire, diminutive. Si è creduto che l’operetta sia avanspettacolo, e allora via con le battute aggiornate, coi doppi sensi, con le mediocrità. Invece, l’operetta è musica, è storia. E come tale bisogna rispettarla”. L’operetta, forma teatrale un po’ cantata, un po’ recitata, sarà al centro di questo week-end, con il suo titolo più conosciuto, “Die Lustige Witwe” di Franz Lehar. Ieri mattina, conferenza stampa champagne, con il Sindaco Enzo Napoli che, stavolta, ha scelto l’Italo Calvino delle Lezioni Americane, per la sua attesa citazione: “Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”, nel foyer del Teatro Verdi. Perlage, come ha da essere una Vedova Allegra, che saluterà in palcoscenico nei panni della “Signorina Njegus” Marisa Laurito, in una parte che non fa sconti, difficile, poiché ha da vedersela con partitura e cantanti e che qui ha visto per diverse produzioni un inteprete sopra le righe, l’indimenticato Gennaro Cannavacciuolo, in regia Riccardo Canessa, che siamo certi firmerà un’opera da “napoletano nobile”, ovvero senza farsi “ingabbiare” da certa pittoresca tradizione partenopea, come fu per l’operazione Salemme, nel 2008 proprio qui a Salerno e sul podio alla testa dell’Orchestra Filarmonica Salernitana “Giuseppe Verdi”, unitamente al coro, Francesco Rosa, il quale dovrà animare l’esecuzione con adeguata flessibilità, ricavando dalla partitura brillantezza, slancio e senso ritmico adeguati, senza trascurare gli impasti leggeri e le mezze tinte. Discorsi tecnici ieri mattina, nell’abituale incontro in cui si è definita “La Vedova Allegra” quale geniale partitura, confrontandola con l’opera vera e propria. Una riflessione lanciata dal Maestro Francesco Rosa, non conclusa ieri in conferenza, ma che ci trova in accordo col direttore sulla questione compositiva che prevede vocalità anomale, in particolare per le parti maschili, a cominciare dal Conte Danilo Danilowitsch, che qui avrà il timbro baritonale di Enrico Marabelli, praticamente un bari-tenore, così come il Barone Z, un altro spirito napoletano, in palcoscenico, il baritono Filippo Morace, che pure avrà da vedersela con note acute non certo comode. “La Vedova Allegra resta un’operetta – ha sottolineato il Maestro Francesco Rosa – una partitura pensata per cantanti di questo genere, con diversa emissione, non d’opera, quindi, per andare incontro ai gusti del pubblico e distrarli da tempi in cui l’unico suono reale, di lì a poco, sarebbe stato quello del cannone. Un’operetta questa, i cui ruoli più raffinati compositivamente sono quelli di Valencienne, alla quale darà voce e corpo Nina Solodovnikova e di Camille de Rossillon, il tenore Francesco Castoro, poi tessiture scomode e tanti raddoppi delle parti vocali, dal solo del tenore nel duetto con Valencienne, che ha sotto il violino e il clarinetto con cui deve andare perfettamente a tempo. Capolavoro, opera sono termini abbastanza pomposi per definire una partitura veramente ostica, addirittura contraddittoria in alcuni punti con gli assiemi, come ad esempio anche nell’attacco di “Venite orsù sirene della danza”, con il raddoppio del violino, che mette in difficoltà il Conte Danilo, certo musica bella e orecchiabile, che è nel sentire di noi tutti e che ha pur segnato una svolta, ma sempre nella storia dell’operetta, essendo la prima partitura per organico completo. Certamente potremmo avvicinare all’opera vera e propria “Die Fledermaus” di Johann Strauss, basta ascoltarne e leggerne la sinfonia”.
L’operetta ha visto nascere i suoi capolavori sulle rive del Danubio, come uno dei momenti della Belle époque. Il suo padrino è stato il valzer, la sua madrina l’eleganza e la sofisticata avventura sentimentale. E’ stata una forma di spettacolo compiutamente borghese, con le sue evasioni nel bel mondo, con i suoi principi fasulli e le sue belle dame oneste e avventurose. Il valzer, col suo girare in tondo, con le sue ebbrezze veloci, con il suo magico distendersi nella felicità più immediata, rappresentava lo scintillio di un momento di magia, di abiti svolazzanti e di divise che non avevano più nulla di marziale. Nelle feste mascherate dell’Impero in decadenza, i violini evocavano i bei caffè di Vienna e Budapest, i saloni dei nobili, e perfino i sogni delle sartine. In mancanza di un turismo organizzato ecco le puntate nell’esotico, fra paesi fantastici di ipotetiche Balcanie e crociere mentali in Orienti da cartolina. Un po’ di tenerezza e un po’ d’amore , da contrapporre agli eroi wagneriani con lance e scudi e al Risorgimento verdiano. Non più Nabucchi e Sigfridi, ma vedove allegre e dall’ago al milione, simbolo dello spirito borghese ispirato al dio danaro, anche in amore. L’aria di Parigi, coi suoi sapori un po’ vietati, col suo Chez Maxim’s, era come un profumo sopraffino, e l’operetta viennese non poteva farne a meno. Quando, lasciato alle spalle l’Ottocento, il genere scivolò nella più modesta piccolo borghese, fu soprattutto Franz Lehar a prenderne su di sé l’eredità. Le melodie divennero più facili, più bonarie, i dialoghi meno “letterati”: alla brillantezza si sostituì un pizzico di malinconia, con qualche dose di folklore tzigano. Ed ecco la nostra “Vedova Allegra”, capolavoro del genere, ancora sulla scia del valzer. Esempio di una piccola cultura danubiana, la “vedova” suggerisce una delle ultime avventure mondane, in un mondo di ambasciatori, contesse, gigolò, viveurs squattrinati e alcove proibite. Un mondo dove la pochade si unisce alla commedia di sentimenti e dove ci si può ancora commuovere. Elementi basilari per la riuscita di questa operetta sono cantanti di buona qualità e dal fisico credibile, oltre che fini attori per realizzare uno spettacolo con scene e costumi alla pari col lusso del tempo: Anna Glavari, la “vedova” vivrà della voce del soprano rumeno Mihaela Marcu, che considera il ruolo un suo cavallo di battaglia, che ha interpetrato in tutto il mondo, mentre a completare il cast saranno Antonio Palumbo (Visconte Cascada), Francesca Micarelli (Sylviane), Christian D’Aquino (Kromow), Valeria Padovano (Olga), Antonio Cappetta (Bogdanowitsch), Vittorio Di Pietro (Pritsctsch), Vincenzo Tremante (Raul De Saint Brioche), Sara Vicinanza (Praskovia). Coro eclettico, quello diretto da Francesco Aliberti, dal quale sono state scelte le celeberrime Grisettes, Francesca Napoletano, Francesca Siani, Jaqueline Ciardiello, Valeria Feola, Margherita Rispoli, Filomena Rega. I costumi e le scene saranno a cura di Alfredo Troisi, mentre per le coreografie ritorna Pina Testa.
L’appuntamento è per il 10 novembre alle ore 21, andare nei “cafè chantant”, pranzare a lume di candela, lasciando correre la fantasia sulle ali dei valzer. Anche se sappiamo che l’operetta è menzogna, che è incredibile, e che si danzava su un pavimento ormai marcio, in un paese il Pontevedro che fa rima con Montenegro, indossiamo il frac del conte Danilo e salviamo le finanze della patria.