di PEPPE RINALDI
La domanda di fondo è: una cittadina di circa ventimila abitanti in quali complesse ed articolate vicende giudiziarie, genericamente intese, è coinvolta tanto da dover «costringere» il proprio ente locale a pagare parcelle per incarichi legali per circa due milioni di euro in soli tre anni e mezzo? Per i boomers cosiddetti sarà agevole comprendere la portata della spesa: due milioni di euro corrispondono a quattro miliardi delle vecchie lire, insomma sono bei soldi come si dice in gergo.
Ma la domanda è ancora intonsa: in quali diaboliche vicende è coinvolto l’ente locale al punto da sborsare tanto danaro a colpi di quasi mezzo milione all’anno, euro più euro meno? Agropoli non è Napoli e neppure Salerno e neppure Eboli o Nocera, città di dimensioni di gran lunga superiori alla porta del Cilento e dove pure sarebbero, in sé, cifre spropositate dal momento che, come vanamente si sa, gli enti locali dispongono di uffici legali ad hoc: evidentemente, sono giudicati tutti ignoranti gli avvocati assunti in pianta stabile nei Comuni e persiste la necessità di ricorrere ai professionisti esterni. E allora cosa è successo ad Agropoli di tanto grave o di tanto delicato ed importante in questi ultimi tre anni e mezzo per scucire questa montagna di danaro? Nulla, non è successo praticamente nulla a quanto sembra di capire, se non la replica in serie del modulo tipico dell’amministrazione pubblica italiana, ancor di più meridionale, disegnata sull’utilizzo del danaro pubblico per la creazione della filiera clientelare. Niente di più e niente di meno di quanto il copione preveda un po’ ovunque, solo che, nel caso specifico, pare si stia andando un po’ oltre: e la ragione di tanta disinvoltura non può che radicarsi nella generalizzata convinzione che non accadrà nulla, nessuno andrà a mettere il naso in queste faccende, almeno non fino in fondo. Appare, infatti, quasi ovvio che ci sia all’origine di tanto allegro maneggiamento di soldi pubblici – al netto di un contesto amministrativo segnato da squilibri di bilancio più volte segnalati, seppur inutilmente – la convinzione/certezza di una sostanziale impunità. Per esempio: se il titolare della massima carica dell’organo di controllo del territorio acquista immobili dalle mani degli stessi soggetti sottoposti alla sua vigilanza e si ritrova con una bella villa con piscina in area ex agricola, beneficiando così di un cambio di destinazione d’uso ad personam da parte di un “altro” Comune, e tutto questo accade senza che nessuno muova un dito nonostante dettagliati rapporti investigativi e qualche articolo giornalistico, cosa mai ci si può aspettare che succeda a valle (con la “e” finale)? Se magistrati, ufficiali e/o sottufficiali delle forze dell’ordine, primari, sindaci, assessori, procuratori, vice prefetti, questurini, dirigenti di banca, vigilanti, ispettori vari, assessori, sindaci, consiglieri regionali, consiglieri locali multicolore e via dicendo, vanno a cena insieme, fanno qualche vacanza in comitiva, partecipano a feste di compleanni e anniversari, al punto da scordarsi del rischio che teoricamente corrono pubblicando pure le fotografie sui social, e non accade niente, ci si può allora meravigliare che anche l’ultimo degli apri-porta di un ente pubblico faccia il cavolo che gli pare? Ovviamente no. Ecco, se si parte dalla considerazione sulla qualità del contesto si capisce pure come sia possibile che un ente locale mandi al macero tanti soldi solo per pagare parcelle ad avvocati ed avvocaticchi vari che da anni infestano i corridoi dei vari palazzi istituzionali. A meno che Agropoli abbia veramente bisogno di tanta assistenza legale ma, a quel punto, si renderebbe necessario che la città diventasse un caso di studio vista tanta originalità.
Ora, al di là di queste scontate, ordinarie considerazioni (che, drammaticamente, la dicono lunga anche sulle condizioni del sistema dell’informazione) e sorvolando sulla circostanza che non è una questione di sindaci visto che ad Agropoli è sempre lo stesso nonostante cambino gli avatar, la situazione degli ultimi tre anni e mezzo e solo dal punto di vista delle spese legali patite dal Comune ammonta precisamente a 2.064.580, 94 euro. I dati sono pubblici, sono stati rilevati dalla piattaforma Siope che registra la contabilità di bilancio degli enti locali.
Mettendo in ordine le annualità: nel 2020 le spese legali ammontavano a 526.057,35 euro; nel 2021 a 463.563,26 euro; nel 2022 a 684.628, 57 e per i primi sei mesi di quest’anno, il 2023, siamo già a 390.331,76.
Volendosi divertire un po’ con i numeri e limitandosi a soli tre anni, dividendo la cifra di 2 milioni per 20mila (all’ingrosso, è la popolazione residente) vien fuori che ogni cittadino agropolese, dal neonato al centenario, sborsa circa 30 euro all’anno per pagare l’avvocato.
Di questo passo anche il 2023 dovrebbe far registrare un picco se la tendenza fosse confermata: e qualcosa ci dice che lo sarà. Tanto non succederà nulla.