Ferragosto ad Avezzano per l’esecuzione dell’opera di Giacomo Puccini affidata agli allievi delle accademie di Glenn Morton e Donata D’Annunzio Lombardi evento lirico della XXXIX edizione del Festival Internazionale di Mezza Estate, firmata da Jacopo Sipari di Pescasseroli
Di Olga Chieffi
Ferragosto ad Avezzano per l’esecuzione dell’opera di Giacomo Puccini affidata agli allievi delle accademie di Glenn Morton e Donata D’Annunzio Lombardi evento lirico della XXXIX edizione del Festival Internazionale di Mezza Estate, firmata da Jacopo Sipari di Pescasseroli realizzato col patrocinio del M.I.C, della Regione Abruzzo, della Città di Tagliacozzo, fortemente sostenuto dal Sindaco Vincenzo Giovagnorio e del suo Assessore alla cultura Chiara Nanni, della Banca del Fucino e della Fondazione Carispaq, una produzione dell’Accademia Adalo di alto perfezionamento vocale Daltrocanto del Maestro Donata D’Annunzio Lombardi e della Classic Lyric Art del Maestro Glenn Morton, i cui allievi debutteranno in Suor Angelica di Giacomo Puccini questa sera a Villa Massimo, in Avezzano, tra il verde di monte Salviano, alle ore 20,45, con apericena previsto per le ore 19. “Sono le migliori stagiste qui presenti al festival appartenenti alle due Accademie – ha dichiarato il soprano D’Annunzio Lombardi – che usano il termine Daltrocanto, una definizione, questa, che lascia intendere, appunto, che esiste un’altra modalità per studiare la tecnica del canto, agganciata alle forze egemoni del corpo, e in particolare quelle della colonna vertebrale. Noi non ammettiamo la maschera nel corpo, essa deve essere un risultato, non la causa dell’adduzione cordale. Daltrocanto è anche l’associazione che ha organizzato la recita in questa incantevole chiesetta, con le ragazze scelte per i ruoli più per il loro temperamento che per la loro maturità vocale. Infatti, alcune di loro sono già pronte per calcare palcoscenici prestigiosi, altre sono ancora alle prime armi, ma già cariche di quella urgenza espressiva, che le porterà in alto”. Certo non occorrono commenti per spiegare con quanta esattezza Suor Angelica, datata 1918, corrisponda alla prassi moderna di alludere ad una realtà nefanda, mettendo sul tappeto, in sua vece, evasivi primitivismi e candori. Qui si tocca con mano il Trittico pensato come plurimo esercizio stilistico, come svolazzo estetico, preziosismo e amaro gioco dove le immagini, novecentescamente, si celano nel loro contrario. Suor Angelica divide col Tabarro il ruolo centrale che il fattore tempo riveste nell’economia del dramma. In particolare, il passato è premessa indispensabile della tragedia claustrale, dove la protagonista non ha mai vissuto una vera felicità: quasi due terzi dell’opera sono costellati di riferimenti tramite cui si prende gradatamente coscienza del lento fluire del presente. “Le tre sere della fontana d’oro” sono le uniche in cui le recluse contemplano il tramonto e conducono le suorine alla riflessione malinconica: “un altr’anno è passato”. Il candido desiderio di Suor Genovieffa (Marina Fita) (“Da cinqu’anni non vedo un agnellino”) è una delle tante premesse perché Angelica (Ginevra Gentile) a colloquio con la Zia Principessa (Valentina Pernozzoli), una sorta di Scarpia al femminile, col suo sadismo (bigotto) preannuncio della Principessa di gelo, Turandot. A completare il cast La Badessa Martina Sannino, la Suora Zelatrice Nadia Trishnevska, la Maestra delle novizie Ester Esposito, Suor Osmina Katiuscia D’Andrea, Suor Dolcina Rosaria Angotti, la Suora Infermiera Claudia Spiga, Le Cercatrici Daniela Esposito e Rebecca Sois, le novizie Mariagrazia Aletto e Rosaria Angotti, mentre al pianoforte troveremo Nicola Polese e in veste di regista, Donata D’annunzio Lombardi. Nel duetto con la nipote la Zia Principessa s’immedesima vocalmente in un rigido declamato e in un canto scolpito disegno musicale reso inquietante dai cromatismi, attraverso cui constati dolorosamente che “sett’anni son passati” da quando è entrata in clausura. Tutte le strutture temporali, insomma, devono essere rievocate per poter contestualizzare l’attimo che si vive sulla scena. Un secondo parametro vincola saldamente Angelica alle altre due opere: l’inedito ruolo giocato dalla caratterizzazione musicale dell’ambiente in rapporto allo sviluppo dell’azione e alla forma musicale dell’atto unico. Nell’asettico convento di clausura, dove si svolge la vicenda, la vita non pulsa e l’amore manca, mentre regnano il senso di colpa e l’ipocrita bigotteria. Preghiere, rintocchi di campane, inni in latino, sottolineati da una scrittura modale e da timbri sfumati e algidi, marcano un distacco dal mondo degli affetti terreni che è frutto della costrizione e della rinuncia. Angelica è sottratta a ogni inserto naturalistico, di cui invece Tabarro è permeato; pure il luogo claustrale fornisce l’occasione per costruire un tessuto musicale omogeneo e rigoroso, che riflette un clima peculiare. Puccini amò questo atto unico più degli altri due, perché gli consentiva di tornare all’amore colpevole di Manon Lescaut e frainteso di Madama Butterfly. Peraltro, Angelica si differenzia profondamente: dopo avere vissuto l’amore senza un’ombra di egoismo, ne viene privata. Le due eroine precedenti hanno un ruolo attivo nel determinare la propria sorte, mentre la monaca è costretta a subire le angherie del suo milieu aristocratico, e viene rinchiusa tra le mura di un convento per seppellire una colpa che tale non è. In nome delle convenzioni bigotte della sua classe le viene negato il diritto alla maternità, sebbene un istinto biologico fortissimo le consenta di sopravvivere, sorretta com’è dal pensiero di un’altra esistenza che comunque cresce, mentre il tempo intorno a lei si è fermato. La brutale rivelazione della morte del bimbo le toglie l’ultimo appiglio, e il suicidio viene, dopo il grande assolo – “Senza mamma”, vertice fra i più toccanti dell’arte di Puccini – come diretta conseguenza della contrazione dei tempi drammatici. L’orchestra, qui affidata allo spartito pianistico, dalle iniziali trasparenze, s’è fatta planctus preludiante, figurante poi come trenodia su armonie modali, poi melodia dolce e consolatoria che ascende in tonalità maggiore “Ora che sei un angelo del cielo”(un chiaro prestito da Madama Butterfly una pagina nascosta fra il duetto dei fiori e la veglia notturna là dove Cio-cio-san chiede dolcemente a Suzuki “un tocco di carminio”) e coda “Dillo alla mamma”. Quanto al finale, col suo miracolo, un vero e proprio complesso speciale aggiunge al finale sonorità arcane e luminose, quasi una risposta beatificatrice alla disperazione di Angelica.