Sole che sorgi libero e giocondo: silenzio, stasera a Paestum dirige Beatrice Venezi - Le Cronache
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Sole che sorgi libero e giocondo: silenzio, stasera a Paestum dirige Beatrice Venezi

Sole che sorgi libero e giocondo: silenzio, stasera a Paestum dirige Beatrice Venezi

Di Olga Chieffi

Non c’è concerto ed esibizione della Beatrice Venezi che non sollevi un gran chiacchiericcio, gli ultimi l’esecuzione dell’ Inno al Sole di Giacomo Puccini all’apertura delle celebrazioni per il centenario della scomparsa del genio toscano, pagina divenuta colonna sonora delle adunate fasciste, la vicinanza al governo di destra, il gran rifiuto dei cittadini nizzardi del suo ingaggio per il concerto di Capodanno, loggionisti e barcacciani sempre pronti con la tastiera sotto le dita. Stasera, alle ore 21, la Beatrice Venezi, salirà alle ore 21, sul podio alla testa della Nuova Orchestra Scarlatti, tra le antiche pietre di Paestum, in rappresentanza della musa Euterpe, ospite del cartellone Le Muse ai Templi. Desidereremmo che il polverone si placasse e ci si concentrasse unicamente sulla musica, sul gesto, sulla scelta d’intenzione, l’agogica, colori, contrasti, affinchè l’evento  non diventi altro, il bel vestito, il rosso dei suoi capelli che s’intoneranno certamente alle colonne doriche illuminate, le parole pronunciate in qualità di Consigliere alla Musica del Ministro della cultura, lo schieramento politico e tanto altro, non riferito all’arte dei suoni. Con negli occhi l’ Hector Berlioz de’ “Le chef d’orchestre: théorie de son art” ci accingeremo a seguire il programma che la Venezi andrà a proporre al pubblico di Paestum. La serata partirà nel segno scintillante della Sinfonia dell’Italiana in Algeri di Rossini, con i legni in grande spolvero. 

L’orchestra farà quindi esibire la sua prima tromba, Davide Battistoni in una pagina obbligata a tutti i trombettisti, per i quali insieme al Concerto di Hummel rappresenta un banco di prova obbligatorio, il Concerto per tromba e orchestra in mi bemolle maggiore di Joseph Haydn. Questa partitura non è solo uno dei vertici dell’intero repertorio per tromba solista, ma ricopre al suo interno un ruolo decisivo nello sviluppo della tecnica strumentale. Fu infatti scritto, nel 1796, su misura per la nuova tromba a chiavi messa a punto da Anton Weidinger, amico di Haydn e trombettiere dell’esercito imperiale viennese. Weidinger aveva cominciato a lavorare sull’inedito meccanismo tre anni prima: diversamente dalla tromba “naturale” (la cosiddetta tromba clarina) fino ad allora in uso, il nuovo strumento disponeva ora di un sistema di quattro leve (o “chiavi”) per aprire e chiudere agevolmente i fori. Questo permetteva di poter suonare, anche velocemente, tutti i semitoni della scala cromatica a partire dal mi bemolle, per un’estensione di oltre due ottave. Una vera svolta che avrebbe portato rapidamente fino alla moderna tromba a pistoni. Il primo movimento è caratterizzato da un brillante dialogo tra il solista e l’insieme orchestrale. L’introduzione propone un tema dai tratti scorrevoli e quasi militareschi affidato agli archi; al suo ingresso, la tromba ne riprende il profilo con figurazioni arpeggiate. Un secondo gruppo tematico è introdotto da una melodia discendente sostenuta da flauti e archi. Il discorso musicale prosegue con una serie di passaggi, veloci, in progressione e in registri contrastanti, che al solista richiedono doti di grande abilità. L’Andante è

incentrato sul carattere della cantabilità, questo movimento è valorizzato dalla sapiente armonizzazione dei diversi timbri sonori. In apertura si riconosce la melodia iniziale del Lied “Gott! Erhalte Franz den Kaiser”, sulla quale Haydn costruisce il “Poco Adagio cantabile” del Kaiserquartett op. 76 n. 3, divenuto dopo varie vicissitudini l’inno tedesco. Finale Allegro in forma di rondò; brillanti episodi della tromba caratterizzati da rapide figurazioni e ampi salti melodici. Un tema brioso anima l’orchestra e prolunga l’attesa per l’entrata del solista, che se ne appropria al suo ingresso, lo riespone e spinge i “tutti” verso un secondo motivo. A seguire, l’ouverture della “Gazza ladra”, che si apre in modo inusitato: tre rulli di tamburo portano ad un “Maestoso marziale” di dubbia serietà. Che cosa ha voluto esprimere Rossini con questa introduzione che ha un sapore grottesco con quei ritmi “nobili” giocati fra trillo e trillo? Forse un ironico accenno all’atmosfera militaresca che pesa nella vicenda della “Pie voleuse” (il dramma di Théodore Badouin d’Aubigny e Louis-Charles Caigniez, dal quale fu ricavato il soggetto dell’opera), per poi tirar fuori due temi tutt’altro che estrosi, nei quali l’impulso ritmico sembra caricarsi di nuove connotazioni espressive che rivelano un nascente dinamismo drammatico. Poi il Verdi degli anni di galera con la Sinfonia della Giovanna D’Arco che inizia con un lungo rullo dei timpani – a cui dà miracolosamente un suono leggerissimo, sottile, quasi immateriale – su cui s’innesta il tema degli archi, dapprima pianissimo, per raggiungendo il fortissimo con un lungo e ben graduato crescendo: quest’orchestrazione semplice ma raffinata e il tema cromatico di sorprendente modernità  danno subito il segnale che non è affatto un opera volgare e rudimentale. Anche il motivo pastorale e quello guerresco che seguono dovranno essere trattati con attenzione unitamente alla coda, trascinante e iperdrammatica, in cui si potrebbe cadere nell’effetto banda. La Traviata procurerà una ricaduta del nostro inguaribile male: le pagine di quest’opera non ingialliscono mai e più forte penetra in noi e affonda il loro profumo nella memoria. Ascolteremo il preludio del I atto, con il suo primo tema tragico e drammatico che trasmette le tensioni e le sofferenze della protagonista, Violetta, la morte presente insieme a lei, per poi aprirsi con “Amami, Alfredo!”, sintesi dell’amore e dello spirito di sacrificio che guidano le sue azioni e chiudere con la festa in cui Violetta e i suoi invitati trascorreranno il tempo nell’ebrezza dei piacere mondani. Finale con la Sinfonia del Nabucco una sinfonia alla tedesca, che enuclea, i temi dell’opera che il compositore ha ritenuto più efficaci nel tessuto del racconto: la maledizione a Ismaele, la melodia del “Va’ pensiero”, il finale del primo atto e una citazione scopertamente donizettiana.