di Aldo Primicerio
P“Autonomia e indipendenza presidi irrinunziabili della democrazia”. Lo ha detto Mattarella nel consueto annuale incontro al Quirinale con i MOT, i nuovi magistrati ordinari in tirocinio, nominati al termine delle durissime prove d’esame all’ultimo concorso. Quanto ci mancherà questo presidente quando lascerà l’incarico. Sentire le sue parole, il suo tono di voce, la purezza dei temi, la sua facilità conversativa, è sempre emozionante e piacevole. E le parole dell’altro giorno non sono state casuali. “Alla magistratura – ha proseguito il Capo dello Stato – è affidata dalla Costituzione la tutela dei diritti, attraverso l’applicazione della legge, un compito volto a garantire “l’uguaglianza e la pari dignità delle persone, valori, come è noto, e ovviamente, fondamentali in uno Stato democratico. A decine di magistrati che conosco personalmente, portatori autentici di questi valori, desidero ricordare che la consapevolezza di così alta funzione fa parte del patrimonio etico della magistratura italiana, la cui “traditio” è affidata all’Ordine giudiziario nel suo complesso, che è quindi tenuto anche a mantenere costante e rigorosa attenzione ai comportamenti dei suoi singoli componenti”. E’ chiara l’allusione ed il monito di Mattarella agli individualismi giudiziari. Rarissimi. Ma che ci sono, dovunque, anche in Campania.
Dicevamo della non casualità. Lui le ha pronunciate davanti all’attuale ministro della Giustizia, Carlo Nordio, presente come di prammatica all’incontro con gli ultimi giudici sfornati dal concorso. Nordio deve essere stato in grave difficoltà. Le parole di Mattarella era sottacitamente rivolte a lui, ex-magistrato, ex-Pm, poi deragliato verso le schiere jurisfobiche di Forza Italia. Un concorso, quello magistratuale, come sempre “stitico”. Esamina migliaia di partecipanti, ma ne promuove sempre troppo pochi, solo 400 all’anno, invece di un migliaio, minimo, che ne occorrerebbero. Perché parliamo di Nordio? E’ l’autore del disegno di legge che cancella alcuni snodi strategici nella gestione della cosa pubblica. Innanzitutto abroga un reato centrale nella Pubblica Amministrazione, quello di abuso d’ufficio. E che, peggio, svuota dei contenuti l’avviso di garanzia, impedendo ai giornalisti di esercitare il diritto d’informare ed ai cittadini di essere informati. E che, peggio ancora, esautora il Pm dal chiedere la custodia cautelare in carcere, perché a deciderlo sarà l’ufficio del giudice per le indagini preliminari in un’inedita “composizione collegiale“, cioè con tre magistrati invece di uno solo. La novità però non entrerà in vigore subito ma tra due anni, e solo perché avrebbe messo in crisi l’organico già carente. E che, sempre peggio, vieta al pubblico ministero di impugnare una sentenza di proscioglimento. L’Alta Corte ha già bocciato nel 2007 questo divieto dichiarandolo incostituzionale, perché altera la parità tra imputato (che può impugnarla), ed il Pm (che non potrà farlo). Facile pronosticare quindi una nuova bocciatura.
Quel che interessa di più sono i perché di questo disegno di legge, ed il tempo che c’è voluto invece di impiegarlo per problemi più importanti. Il ddl Nordio – ma solo qualcuno lo scrive argomentandolo – è stato spinto da venti interessati. Quelli della Lega di Salvini, di Italia Viva di Renzi, di Forza Italia di chi purtroppo non più tra noi, ma anche di alcuni ambienti vicini alla Meloni. E così con tutto questo soffiare la vela di Nordio si è gonfiata. E di lì questo ddl. Che sostanzialmente abroga l’art. 323 del codice penale, il cosiddetto abuso d’ufficio, ed al suo posto introduce e riformula il reato di traffico di influenze illecite, l’art. 346-bis.
Sarebbe stato interessante scendere giù nei dettagli della storia dell’art. 323. Per spiegarlo a noi stessi, a chi ci legge, ed anche a chi ciancia di giustizia, in tv e sui giornali, arrampicandosi sugli specchi del generalismo e del superficialismo, figli della fretta e della disinformazione. Per non usare altri termini. Ma ci perderemmo anche noi nei tormenti tra teoria e prassi dell’abuso d’ufficio. Un reato peraltro da cui è prosciolti nell’85% dei casi quando “si esercita un potere discrezionale”, come recita anche una recente (e non molto condivibile) sentenza della Cassazione, la 13136 del 2022. Con la sua abrogazione tout court e se il testo licenziato dal CdM diventasse legge, l’Italia diventerebbe l’unico Paese del mondo sviluppato in cui questa condotta non costituisce reato. Una vittoria di Nordio e dei berlusconiani, che hanno insistito sulla cancellazione per tutelare – a loro dire – gli amministratori locali dalla famigerata “paura della firma“. Lega e Fratelli d’Italia, invece, avrebbero preferito un ulteriore ridimensionamento della fattispecie, che dopo la riforma del 2020 si applica già in casi limitatissimi. Il governo ha scelto di ignorare gli avvertimenti degli addetti ai lavori, che – ascoltati in audizione sulle proposte di legge depositate sullo stesso tema alla Camera – avevano avvertito come l’eliminazione dell’abuso d’ufficio ci avrebbe posto in contrasto con gli impegni internazionali sottoscritti con l’Onu e l’Unione europea. E non è un caso che, nella relazione, il ministro lasci la porta aperta a un passo indietro: “Resta ferma la possibilità di valutare in prospettiva futura specifici interventi additivi volti a sanzionare, con formulazioni circoscritte e precise, condotte meritevoli di pena in forza di eventuali indicazioni di matrice euro-unitaria che dovessero sopravvenire”. Una ammissione del genere appare come una condanna etica e politica del ministro, che in qualsiasi altro Paese sarebbe stato invitato ad andarsene.
Tutto questo è un altro grande errore ed un netto passo indietro di questo governo. I cittadini italiani saranno furiosi per come si pensa di esercitare l’azione amministrativa. I magistrati tra gli invitati in Commissione Giustizia alla Camera sono stati inascoltati. I deputati devono aver passato il loro tempo sbadigliando. Per loro, e per gli esponenti della destra, l’obiettivo era ed è quello di eliminare tutte le norme che impediscano ai sindaci di “fare il loro dovere”, cioè quello che vogliono.
Era questo anche l’obiettivo dell’Anci, l’associazione dei Comuni Italiani, che da tempo chiedeva di restituire agibilità, certezza e dignità ad un ruolo che negli anni è stato esposto a imputazioni penali troppo spesso infondate. Capirai, che certezza e dignità!
Quel che è ancora più grave è l’imprevidenza di Nordio e di questo governo. L’esistenza dell’abuso d’ufficio nel nostro Paese è vincolato da una convenzione Onu, quella di Merida, che all’art. 9 recita testualmente così: “Ciascuno Stato esamina l’adozione di misure legislative per conferire carattere di illecito penale al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della propria posizione, ossia di compiere, o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi, al fine di ottenere un indebito vantaggio per sè o per un’altra persona o entità” . Se si sa leggere l’italiano, si confronti quest’articolo della convenzione di Merida con l’art. 323 del nostro codice penale, e si risponda come si può abrogarlo senza stravolgere la direttiva Onu. Si va quindi verso una clamorosa violazione del diritto internazionale e contro le stesse posizioni dell’Unione Europea. E non è tutto. Abrogare l’abuso d’ufficio innesca alla fine un problema di spendibilità politica dell’Italia nelle relazioni con gli altri Paesi. Che già sono state compromesse dalla vicenda del Qatargate, lo ricordate, lo scandalo politico di corruzione e riciclaggio di denaro, scoppiato al Parlamento europeo nel dicembre 2022, dove alcuni europarlamentari, tra cui un campano, avrebbero ricevuto denaro in cambio della difesa degli interessi del Qatar .
Una vicenda che fece dichiarare alla stampa europea come il Qatargate fosse un esempio di Italian job. Ecco come ci considerano altrove. Da cittadino di questo Paese di cui vado fiero, spero molto che le acrobazie di questo governo con il suo ddl vengano neutralizzate da una sentenza di incostituzionalità da parte dell’Alta Corte.