Cala il sipario sulla mostra di Danilo Maestosi “Le tele di Penelope” negli spazi della Fondazione Ebris. Questa sera alle ore 18,30, il finissage con Massimo Bignardi e Giulio Corrivetti in dialogo con l’autore
Di Olga Chieffi
Sipario su “Le tele di Penelope – Dietro le quinte in 4 atti”, la mostra dell’artista romano Danilo Maestosi, ospite degli spazi della Fondazione Ebris di Salerno da oltre un mese. Stasera, infatti, alle 18.30, sempre negli spazi della Fondazione, si terrà il finissage con relatori Massimo Bignardi e Giulio Corrivetti, in dialogo con l’autore. “Danilo ed io – ha dichiarato Massimo Bignardi – riprendiamo un dialogo interrotto poco tempo prima che la pandemia ci costringesse a monologhi affidati alla memoria. Abbiamo discusso di pittura, unicamente e solo di pittura; lui elaborando i sentieri dei suoi numerosissimi viaggi, io in quei visionari viaggi che la storia dell’arte, il rapporto con gli artisti mi hanno fatto e mi fanno vivere. Merleau-Ponty sosteneva che la pittura ‘pura o impura’, ‘figurativa o no’, anche se destinata ad altro scopo non celebra mai altro enigma che quello della visione. È l’assunto che sostiene il nostro lavoro ma anche il desiderio di riprendere il dialogo”. Con Bignardi, direttore artistico del Museo-Fondo Regionale d’Arte Contemporanea, Baronissi già professore di Storia dell’arte contemporanea e direttore della Scuola di specializzazione in Beni storico artistici Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali dell’Università di Siena,ci sarà il padrone di casa, vice-presidente della Fondazione Ebris, Corrivetti. “Dietro le quinte in 4 atti” scandita in quattro capitoli, La Notte; Alla Luce; Torna la Notte Armata; Com’è profondo il mare, la mostra è quasi un labirinto, un percorso, che intreccia le donne del mito quali Penelope, Arianna, Medea e Trotula, attualizzando l’arcaicità di esso, fino a renderlo potentemente contemporaneo attraverso categorie quali il tempo, le donne e la guerra. Penso in particolare a un’architettura compositiva dove la sperimentazione diventa gesto laico per rileggere e rilanciare il senso originario del fare arte come esperienza individuale e collettiva. È la difesa di un’arte astratta in risposta alla crisi morale dei tempi, la difesa di un linguaggio che, pur affondando le radici nel mito, guarda verso il futuro. Maestosi si differenzia per il suo essere “inventore di miti”. Inventore di miti basantesi sulla solidità della tecnica, sulla padronanza del “mestiere” anche la forza creativa e la lirica complessità della visione, approfondita e precisa, diretta verso un’interna realtà fatta di schemi figurativi, riferimenti logici, immagini ed implicazioni letterarie (e lo stesso si può ripetere per il valore deI colore) che non vengono usati in funzione di mera illustrazione o descrizione di una natura esterna, come il tono della “cornice” può far sembrare, ma sono combinati, accostati e ripetuti fino alla loro estrema decantazione, elementi di mito, e superano come tali la generica formulazione dell’inizio per vivere nella creazioni d’una “unità di spazio” magica ed incantata: lirica nel senso romantico del termine: come in ogni poeta che prolunga la tradizione del romanticismo più profonda o segreta, mistica e visionaria, surreale, fondata su di una logica irrazionale, di tipo subconscio; perciò questo è, almeno per ora, il suo più valido risultato: di restituire agli “oggetti”, alle forme della nostra visione di tutti i giorni, un originario valore di un significato primordiale, magico ed incantato, e sempre ludicamente reale, come ogni mito in cui vivo, sotto forma di poesia, la misteriosa, inquietante verità della nostra più consapevole esistenza. Dunque, l’arte è la pratica di una trasformazione, l’oggetto diventa segno e da quel momento vive di vita propria e si compone in un nuovo organismo: il corpo della pittura, il corpo dell’immagine; che poi in quest’immagine rimanga riconoscibile l’oggetto o si realizzi un puro segno e un puro gesto non è poi così rilevante.Maestosi restituisce “romanticamente” alla visione ordinaria il suo doppio simbolico e mitico – per cui epiche battaglie o imbarcazioni sono evocate in paesaggi familiari rivelando, appunto, che l’immagine non è uno strumento di rappresentazione bensì di immaginazione. Immaginazione inevitabilmente intima, così personale che le etichette appaiono armature non di misura. In Maestosi l’intenzione è, rimanendo puntigliosamente nei confini del quadro, quella di estremizzare le conseguenze dell’uso delle strutture di rappresentazione del linguaggio convenzionale, abolendo ogni risvolto pittorico ed evidenziando lo scheletro geometrico-prospettico fino a svuotarlo di ogni senso naturalistico di realtà. La pura e semplice soglia che segna il confine fra la dimensione interna e quella esterna, fra le chiuse pareti della stanza e il cielo aperto: soglia che è poi la classica finestra (quella da Leon Battista Alberti a Matisse e Magritte), ma diventata vero e proprio quadro nel quadro, tanto che gli interni tendono a diventare cornici e i cieli superfici di quadri.